โFino a quando Signore implorerรฒ e non ascolti, a te alzerรฒ il grido โViolenza!โ e non soccorri? Perchรฉ mi fai vedere lโiniquitร e resti spettatore dellโoppressione?โ
La domanda del profeta: โFino a quando?โ รจ denuncia dellโingiustizia e della condizione di oppressione e violenza. Ed รจ anche implorazione a Dio. Domanda che rimane sospesa. โFino a quando Signore?โ ร la preghiera anche dei salmi che rivolgendosi a Dio non possono non guardare allo scandalo del male e dellโingiustizia. โPerchรฉ mi fai vedere lโiniquitร e resti spettatore dellโoppressione?โฆ Non ha piรน forza la legge nรฉ mai si afferma il diritto. Lโempio infatti raggira il giusto e il giudizio ne esce stravoltoโ.
La triste esperienza della legge stravolta, dei giudizi tramutati in esaltazione della truffa, lโarroganza dei disonesti che schiacciano i deboli e la corruzione del giudizio, fa sorgere la drammatica domanda che investe la stessa fede e la spoglia di ogni presunzione e sicurezza.
Abacuc guarda non solo alle sofferenze di un singolo ma pone una domanda che tocca una realtร piรน ampia. Come puรฒ Dio, il santo, colui che ha occhi troppo puri per vedere il male, permettere che sia un popolo barbaro a compiere vendetta e che popoli malvagi vengano offesi da popoli ancora piรน malvagi? La sua domanda si pone nella linea della provocazione di Giobbe: disorienta le teologie che intendono tutto spiegare. La sua pagina รจ esemplare del coraggio del profeta che apre domande difficili e le rivolge a Dio stesso. Nellโannuncio della risposta di Dio viene indicato un termine: lโingiustizia e la violenza non sono lโultima parola. Ma รจ richiesto di attendere, di sperimentare una radicale fiducia in Dio.
Come tenere insieme la fiducia nel Dio buono e giusto e le tragedie storiche dโingiustizia e oppressione? Abacuc invita ad avere il coraggio di lanciare verso Dio il grido che sorge dal dolore, a vivere lโattesa.
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Eโ la domanda che risuona nel grido di ogni credente che non volge le spalle ad Auschwitz. Ed รจ ancora e sempre la domanda che si leva come grido silenzioso di fronte alla barbarie, allโorrore, alla violenza.
Abacuc nel suo breve libro richiama lโatteggiamento del giusto: โsoccombe colui che non ha lโanimo retto, mentre il giusto vivrร per la sua fedeโ. Il giusto รจ colui che, senza scorciatoie, senza facili risposte al male, mantiene la sua fedeltร rivolta al Dio della vita. Trova la sua stabilitร in tale affidamento.
La sfida del credere รจ vivere il presente, con il cuore rivolto a Dio senza far venir meno la domanda โfino a quando?โ Credere non รจ quindi percorso senza problemi. La fatica interiore del credente proviene dallo scorgere le contraddizioni della storia.
La fede rimane sospesa alla fedeltร di colui che non verrร meno alle sue promesse, che chiama a solidarietร con le vittime dellโingiustizia.
Il vangelo richiama lo stile del credere: credere non รจ adesione ad una serie di dottrine, รจ invece incontro e cammino, coinvolgimento della vita in una relazione con Dio. Eโ affidamento. โAccresci la nostra fedeโ รจ espressione di un cammino che sempre mantiene la ricerca. Non sono facilmente eliminati i problemi e le difficoltร del pensare, del confronto con la storia e la vita. Non sono eliminate le fatiche di vedere il suo cammino come una sorta di illusione inutile. Il credente รจ presentato nel vangelo di Luca come colui che non trova in sรฉ la forza per affidarsi a colui che salva.
Per parlare della fede Gesรน indica un granellino di senapa, il piรน piccolo di tutti i semi. La vita della fede non รจ opera umana, non รจ realtร che sโimpone e nemmeno qualcosa di grande, รจ piuttosto lasciare spazio allโazione di Dio. Per questo la preghiera del credente รจ richiesta di cammino: โAccresci in noi la fedeโ. Chi crede รจ โ dice Luca โ come colui che risponde ad un incarico affidatogli. Sta qui il messaggio al centro della parabola del servo. Il senso della sua vita sta nella relazione con qualcuno che attende e a cui rispondere. Non รจ questione di diritti e pretese, ma riconosce di essere โsemplice servoโ (non โinutileโ, ma unicamente servo).
Nel rapporto con Dio il grande dono รจ poter assumere lโattitudine di Gesรน che รจ stata quella del servo: e rimanere come lui. Nellโimmagine qui utilizzata del servo, che agisce e attende, lโaccento non sta sul rapporto servo-padrone quasi che lโatto di fede sia riconducibile ad un rapporto schiavistico e oppressivo della libertร . Piuttosto chi crede scopre come tutto ciรฒ che รจ ed ha proviene da un dono e va messo a servizio di altri. Come Gesรน che si รจ chinato per lavare i piedi dei suoi discepoli assumendo la condizione del servo. E indicando ai suoi: anche voi fate cosรฌ.
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p. Alessandro Cortesi opSono un frate domenicano. Docente di teologia presso lโIstituto Superiore di Scienze Religiose โsanta Caterina da Sienaโ a Firenze. Direttore del Centro Espaces โGiorgio La Piraโ a Pistoia. Socio fondatore Fondazione La Pira โ Firenze.
