Seconda Catechesi – Incontro Mondiale delle Famiglie – Dublino 2018

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SECONDA CATECHESI

LE FAMIGLIE ALLA LUCE DELLA PAROLA DI DIO

“I SUOI GENITORI SI RECAVANO OGNI ANNO A GERUSALEMME PER LA FESTA DI PASQUA(LC 2,41)

Aiuta, o Madre, la nostra fede! Apri il nostro ascolto alla Parola,
perché riconosciamo la voce di Dio e la sua chiamata.
Sveglia in noi il desiderio di seguire i suoi passi, uscendo dalla nostra terra e accogliendo la sua promessa.
Aiutaci a lasciarci toccare dal suo amore, perché possiamo toccarlo con la fede.
Aiutaci ad affidarci pienamente a Lui, a credere nel suo amore, soprattutto nei momenti di tribolazione e di croce,
quando la nostra fede è chiamata a maturare. Semina nella nostra fede la gioia del Risorto.
Ricordaci che chi crede non è mai solo. Insegnaci a guardare con gli occhi di Gesù, affinché Egli sia luce sul nostro cammino.
E che questa luce della fede cresca sempre in noi, finché arrivi quel giorno senza tramonto,
che è lo stesso Cristo, il Figlio tuo, nostro Signore!
(Papa Francesco, Enciclica Lumen fidei 29 giugno 2013)

L’icona evangelica che fa da sfondo a queste catechesi ci mette subito a conoscenza dello spessore religioso della Santa Famiglia di Nazareth. Come leggiamo nel Vangelo di Luca, ogni anno, puntualmente per la festa di Pasqua, Giuseppe e Maria con Gesù si recano al tempio di Gerusalemme per compiere insieme il loro atto di fede. Siamo dinanzi ad una famiglia in cui tutti i membri, padre, madre e figlio, insieme intraprendono un lungo viaggio, con tutti i disagi e gli imprevisti del tempo (tanto è vero che nel cammino di ritorno Gesù si è smarrito proprio), per celebrare il loro atto di ringraziamento pasquale a Dio per la liberazione che ha operato verso il popolo di Israele dalla schiavitù d’Egitto. È una famiglia che facendo memoria dell’amore salvifico di Dio lo rende vivo e operante nel proprio presente in vista di un futuro in cui la fedeltà divina darà pienezza e compimento alla Sua promessa. Il pellegrinaggio non è soltanto un semplice atto devozionale e religioso facente parte delle tradizioni del proprio popolo. Non è certamente una novità vedere famiglie al completo di ogni membro partecipare a feste religiose che richiamano l’attenzione di intere collettività, come la festa del Santo Patrono o le manifestazioni religiose che caratterizzano alcune culture nel loro vivere i tempi forti dell’anno liturgico, soprattutto il Natale, la Settimana Santa e la Pasqua. Quello che la Santa Famiglia compie non è solo un atto tradizionale ma qualcosa che rivela un importante “background” di cui siamo a conoscenza tramite gli stessi racconti  evangelici  anteriori  alla  narrazione  di  questo  episodio. 

Sia  Maria  che  Giuseppe sono entrambi interpellati da una Parola che, venuta dall’Alto in modo del tutto inaspettato e sorprendente, li provoca ad una risposta di fede. La non approfondita lettura dei due racconti evangelici, quello di Luca riguardo Maria e quello di Matteo relativo a Giuseppe, non sempre fa cogliere la totale adesione di fede dei due al misterioso progetto divino. Spesso diamo così per scontata ed evidente l’apparizione dell’angelo a Maria nella sua casa di Nazareth e a Giuseppe nel sogno, che ci sembra normale che i due diano il loro assenso. In realtà i due racconti evangelici intendono trasmettere un incontro con il divino ed una Sua conseguente chiamata avvolti in un mistero così profondo che le parole non sarebbero in grado di esprimere. Luca non parla proprio di apparizione ma usa l’espressione “entrando da lei” (Lc 1,28), mentre Matteo, pur scrivendo “gli apparve in sogno un angelo del Signore” (Mt 1,20), afferma la non così evidente manifestazione del divino perché di fatto essa avviene nel sogno. Non è quindi la cosiddetta “teofania” il messaggio centrale dei due evangelisti, ma è la Parola di Dio che interpella il cuore di Maria e il cuore di Giuseppe ad una risposta totale che segnerà tutta la loro vita. Tale Parola comunica, informa, mette  i due a conoscenza di eventi nuovi, straordinari e inaspettati, ma soprattutto desidera creare relazione con la persona interpellata.

Ad entrambi Dio comunica una medesima Parola: “Non temere” (Lc 1,30; Mt 1,20). Illuminanti, a tal proposito, sono le parole di Papa Francesco in Amoris laetitia: «la Parola di Dio non si mostra come una sequenza di tesi astratte, bensì come una compagna di viaggio anche per le famiglie che sono in crisi o attraversano qualche dolore, e indica loro la meta del cammino, quando Dio “asciugherà ogni lacrima dai loro occhi e non vi sarà più la morte né lutto né lamento né affanno” (Ap 21,4)» (Al 22). Se Maria e Giuseppe vanno ogni anno nel tempio di Gerusalemme per la festa di Pasqua, ben disposti ai sacrifici e agli imprevisti che un viaggio di quel tempo comporta, portando con sé anche Gesù, è perché hanno fatto e continuano a fare esperienza della Parola di Dio nella loro vita concreta. Tutta la loro storia è una trama intessuta dal medesimo filo che è la Parola. È la Parola che li conduce a partorire il Figlio nella grotta di Betlemme compiendo quanto la Scrittura aveva profetizzato con Michea: «E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei affatto la minima fra le città principali di Giuda; perché da te uscirà un principe, che pascerà il mio popolo Israele» (Mt 2,6); è la medesima Parola che li invita a fuggire in Egitto per salvare Gesù dalle mani di Erode (Mt 2,13); ed ancora è la Parola che li fa ritornare nella terra d’Israele alla morte di Erode (Mt 2,19-23). La Santa Famiglia con le sue vicissitudini insegna a tutti noi che la Parola di Dio non è una trasmissione di verità religiose o una catechesi o un insegnamento di norme morali da mettere in pratica; la Parola è relazione viva e profonda con Dio che diventa storia nella vita di ogni famiglia. Ecco perché il luogo proprio originario in cui si trasmette la narrazione dell’esperienza della Parola divina è proprio la famiglia, come lo stesso Papa Francesco ribadisce: «La Bibbia considera la famiglia anche come la sede della catechesi dei figli.

Questo brilla nella descrizione della celebrazione pasquale (cfr Es 12,26-27; Dt 6,20-25), e in seguito fu esplicitato nella haggadah giudaica, ossia nella narrazione dialogica che accompagna il rito della cena pasquale. Ancora di più, un Salmo esalta l’annuncio familiare della fede: “Ciò che abbiamo udito e conosciuto e i nostri padri ci hanno raccontato non lo terremo nascosto ai nostri figli, raccontando alla generazione futura le azioni gloriose e potenti del Signore e le meraviglie che egli ha compiuto. Ha stabilito un insegnamento in Giacobbe, ha posto una legge in Israele, che ha comandato ai nostri padri di far conoscere ai loro figli, perché la conosca la generazione  futura, i figli che nasceranno. Essi poi si alzeranno a raccontarlo ai loro figli” (78,3-6). Pertanto, la famiglia è il luogo dove i genitori diventano i primi maestri della fede per i loro figli. È un compito “artigianale”, da persona a persona: “Quando tuo figlio un domani ti chiederà […] tu gli risponderai” (Es 13,14)» (Al 16).

Siamo talmente abituati a ridurre la trasmissione della fede solo all’insegnamento di norme, di verità, di pratiche religiose, da dimenticare che la fede è esperienza viva e concreta di Dio. Ma se questa esperienza non si realizza e non si fa carne tra le quattro mura domestiche, la fede cristiana si limita soltanto ad un mero atto religioso ritualistico dentro gli edifici delle nostre chiese con pochissime risonanze nella realtà quotidiana. È luogo comune lamentarsi che spesso i ragazzi e i giovani di oggi, avendo ultimato l’itinerario di iniziazione cristiana con l’ammissione ai sacramenti, non frequentano più le parrocchie, non entrano più nelle chiese per alcun atto liturgico, neppure per le cosiddette “feste comandate” di Natale e Pasqua. Sono pochi coloro che si chiedono come possa un giovane avere il solo desiderio di andare in chiesa se non sperimenta poi la concretezza della Parola di Dio in casa e nella vita di ogni giorno. Urge, allora, cambiare registro, e cominciare daccapo come se si annunziasse per la prima volta Gesù Cristo. A ragione Papa Francesco insiste molto su questo: «Davanti alle famiglie e in mezzo ad esse deve sempre nuovamente risuonare il primo annuncio, ciò che è “più bello, più grande, più attraente e allo stesso tempo più necessario”, e “deve occupare il centro dell’attività evangelizzatrice”.

È l’annuncio principale, “quello che si deve sempre tornare ad ascoltare in modi diversi e che si deve sempre tornare ad annunciare durante la catechesi in una forma o nell’altra”. Perché “non c’è nulla di più solido, di più profondo, di più sicuro, di più consistente e di più saggio di tale annuncio” e “tutta la formazione cristiana è prima di tutto l’approfondimento del kerygma”» (Al 58). Come annunziare il kerygma oggi? Ancora una volta Giuseppe e Maria ci spianano la strada. Loro vanno a Gerusalemme non per una festa qualunque, ma proprio per la Pasqua, che non è solo la festa più importante per il popolo di Israele, a causa del suo significato, ma è quella che tocca realmente il vissuto concreto della persona. In altre parole, i genitori di Gesù hanno sperimentato nelle vicende della loro vita la Pasqua; non è pura memoria del passato, non è solo celebrazione rituale, ma è esperienza viva di morte e di resurrezione nella loro esistenza.

Certamente non hanno la benché minima conoscenza e consapevolezza della Pasqua del Figlio Gesù, ma sappiamo che chi scrive i racconti del Vangelo parte sempre dal kerygma, dall’annunzio fondamentale di morte e risurrezione di Cristo per poi narrare tutti gli altri episodi alla luce di quell’evento. Maria e Giuseppe vivono il loro essere Famiglia secondo i ritmi della Parola perché sono totalmente innestati nella logica pasquale. Allo stesso modo la Parola di Dio si fa carne in ogni cosiddetta Chiesa domestica soltanto vivendo il mistero pasquale nella vita familiare; anzi, è proprio la Pasqua di Cristo a dare gusto e sapore di famiglia alle nostre case. E la Pasqua non è un’idea o una verità o un annunzio da trasmettere alle famiglie, ma è già presente in ciascuna famiglia dal giorno della celebrazione del Sacramento del Matrimonio. Il loro Sacramento nuziale è attualizzazione del mistero pasquale di Cristo vivo e operante nella loro relazione di amore.

Quanti sposi cristiani sono a conoscenza di questa straordinaria verità? Quanti sanno che la loro vita coniugale e familiare, in forza della grazia nuziale donata dal Sacramento del Matrimonio, è una continua celebrazione della Pasqua? A quanti è stato rivelato che tutti gli eventi di sofferenza, di dolore, di morte sono innestati nella logica pasquale, ragion per cui non esiste evento così doloroso che non sia sempre la penultima parola e il preludio di una sorprendente risurrezione? Se nessuno spezza la Parola di Dio per loro, chi potrà mai alzare lo sguardo e percepire il Mistero Grande adombrato nella loro carne? Ecco perché «i Padri sinodali hanno anche evidenziato che “la Parola di Dio è fonte di vita e spiritualità per la famiglia. Tutta la pastorale familiare dovrà lasciarsi modellare interiormente e formare i membri della Chiesa domestica mediante la lettura orante e ecclesiale della Sacra Scrittura. La Parola di Dio non solo è una buona novella per la vita privata delle persone, ma anche un criterio di giudizio e una luce per il discernimento delle diverse sfide con cui si confrontano i coniugi e le famiglie”» (Al 227).

Perché le nostre famiglie diventino ciò che sono in forza del Sacramento, è essenziale una pastorale ordinaria che si muova e si orienti in tal senso. È un lavoro artigianale che richiede piccole attenzioni quotidiane che spianino la strada ad una vera spiritualità coniugale e familiare. Prezioso è, allora, il contributo e il sostegno dei pastori che sono chiamati a «incoraggiare le famiglie a crescere nella fede. Per questo è bene esortare alla Confessione frequente, alla direzione spirituale, alla partecipazione ai ritiri. Ma non bisogna dimenticare di invitare a creare spazi settimanali di preghiera familiare, perché “la famiglia che prega unita resta unita”. Come pure, quando visitiamo le case, dovremmo invitare tutti i membri della famiglia a un momento per pregare gli uni per gli altri e per affidare la famiglia alle mani del Signore. Allo stesso tempo, è opportuno incoraggiare ciascuno dei coniugi a prendersi dei momenti di preghiera in solitudine davanti a Dio, perché ognuno ha le sue croci segrete. Perché non raccontare a Dio ciò che turba il cuore, o chiedergli la forza per sanare le proprie ferite e implorare la luce di cui si ha bisogno per sostenere il proprio impegno?» (Al 227).

Più che di insegnare o di ammaestrare o di educare Papa Francesco parla più volte di “incoraggiare”, perché sa che l’arte del vero maestro non è soltanto quella di saper insegnare, ma soprattutto quella di infondere forza dinanzi alle difficoltà e di saper trasmettere più col cuore che con la ragione ciò che si vuole donare all’altro. Il Santo Padre è ben consapevole che per mettere su famiglia ci vuole molto coraggio, e lui stesso ne è molto sorpreso (e lo scrive proprio all’inizio di Amoris laetitia) che «malgrado i numerosi segni di crisi del matrimonio, “il desiderio di famiglia resta vivo, in specie fra i giovani, e motiva la Chiesa”» (Al 1). Pregare, allora, dinanzi ad un dramma familiare, come la perdita improvvisa di un figlio o la morte prematura del proprio coniuge o la perdita di lavoro di entrambi o la forte crisi di coppia, non è così facile e scontato. Se non si entra nella logica del mistero pasquale sempre vivo e operante in ciascun matrimonio, gli insegnamenti restano parole che facilmente volano via al primo soffio di vento. Serve, allora, molto incoraggiamento; ma servono anche testimonianze concrete che spianino la strada e mostrino che in Cristo morto e risorto tutto è possibile.

Quale migliore testimonianza di vita possiamo trovare più della Famiglia di Nazareth? Le famiglie «come Maria, sono esortate a vivere con coraggio e serenità le loro sfide familiari, tristi ed entusiasmanti, e a custodire e meditare nel cuore le meraviglie di Dio (cfr Lc 2,19.51). Nel tesoro del cuore di Maria ci sono anche tutti gli avvenimenti di ciascuna delle nostre famiglie, che ella conserva premurosamente. Perciò può aiutarci a interpretarli per riconoscere nella storia familiare il messaggio di Dio» (Al 30). La Parola di Dio, pertanto, dona a ciascuna famiglia saggezza di vita e luce necessaria per riuscire ad interpretare ogni singolo evento familiare, grande o piccolo che sia, e così gustare il preludio di quelle Nozze Eterne cui ogni famiglia è da sempre chiamata.

In Famiglia

Riflettiamo

  1. Perché la Parola di Dio viene spesso vista nelle nostre famiglie come un qualcosa di lontano, di prettamente religioso e di incomprensibile? Quali le cause e quali le possibili proposte?
  2. Raramente una famiglia, nei momenti di profonde difficoltà e di dura crisi, si rivolge a trovare luce e sostegno nella Parola di Dio. Cosa è mancato e che cosa è possibile fare?

Viviamo

  1. Ci sono state vicende familiari in cui la Parola di Dio si è veramente incarnata fra le vostre mura domestiche? Raccontate.
  2. Si celebra la Pasqua in famiglia soltanto se la si vive. Dare gusto pasquale alle vicende familiari è come assaggiare il vino nuovo delle nozze di Cana. Alla luce della catechesi, avete fatto esperienza del mistero pasquale vivo e operante nella vostra casa?

In Chiesa

Riflettiamo

  1. Se «la Bibbia è popolata da famiglie» (Al 8), come ci dice Papa Francesco, come mai la Sacra Scrittura viene vista troppo astratta e lontana dalle famiglie di oggi? Quale pastorale o, meglio, quale spiritualità è mancata nelle nostre comunità cristiane?
  2. Assistiamo sempre più ad una minore frequenza di cattolici alle nostre liturgie e ci fermiamo spesso a questo segnale esterno sintomo di una problematica più profonda. In quale modo la Chiesa potrebbe o dovrebbe affrontare questa situazione?

Viviamo

  1. Come fare affinché la Bibbia non solo entri o sia letta nelle case ma diventi luce vera per le famiglie?
  2. Si è più preoccupati a celebrare il mistero pasquale nelle nostre Chiese e meno a farlo vivere nelle famiglie? Quali potrebbero essere le proposte per un cambiamento di mentalità?