Se la famiglia allungata e allargata soffre di overparenting

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Per educare in famiglia è necessario educare i genitori ad essere famiglia. Potrebbe essere riassunto così l’intervento della professoressa Paola Milani (docente di Educazione familiare all’Università di Padova) alla Scuola del lunedì. “Educare è certamente un processo complesso – ha esordito la docente – fortemente condizionato dai rapidissimi mutamenti socio culturali che hanno segnato e continuano a segnare il nostro tempo”. 

Per dare l’idea dei cambiamenti profondi intercorsi nelle dinamiche familiari nell’ultimo secolo, la professoressa Milani ha innanzitutto confrontato quelle che potevano essere le aspettative di una ventenne della fine del XIX secolo con quelle di una ventenne di oggi. Una ragazza nata a metà dell’Ottocento aveva una prospettiva di vita di 38 anni, una media di 10 gravidanze, 7 figli nati dei quali solo 4 o 5 sopravvissuti all’età infantile. Una ventenne di oggi ha una prospettiva di vita di 86 anni e, in Italia, si inserisce in un contesto di natalità di 1,3 figli per donna.

“Tutto questo – ha spiegato la docente – ha prodotto un rovesciamento della piramide familiare. Le famiglie dei nostri nonni erano composte da pochi adulti, tantissimi bambini, pochissimi anziani. Le famiglie dei nostri nipoti sono formate da pochissimi bambini, molti adulti e moltissimi anziani e grandi anziani. Se tre generazioni un secolo orsono erano difficili da vedere insieme, quattro generazioni all’interno di una famiglia sono oggi quasi la norma”. 

Le famiglie si sono dunque allungate, ma a causa di frequenti divorzi e separazioni, si sono anche allargate, portando così a conformazioni quasi tribali, o che dicono gli inglesi, alle blended family, famiglie “amalgamate”, fondate su rapporti puramente affettivi e per questo molto fragili.

Tale revisione delle strutture familiari comporta importanti ricadute nei processi educativi.

La professoressa Milani ne ha evidenziate, nella seconda parte della sua relazione, tre. Innanzitutto è cambiata la posizione del bambino all’interno della famiglia. Il bambino ha assunto un ruolo di autorità rispetto al genitore che vede invece ridimensionata la propria capacità decisionale nei confronti del figlio. Il bambino è posto al centro di ogni dinamica famigliare e tutto sembra ruotare attorno a lui. Il genitore si percepisce così più come sostegno che non come guida del figlio.

Da qui ne deriva la seconda conseguenza, ovvero il prevalere della componente educativa “materna” rispetto a quella “paterna”: dell’affetto e della protezione, piuttosto che dell’educazione etico normativa. Lo sviluppo dell’autonomia del bambino (ossia la sua capacità di darsi da solo delle regole) viene così ritardato e si assiste a quel fenomeno di “ecclissi del padre” oggetto di tante ricerche e discussioni.

L’ultimo aspetto su cui si è fermata la prof. Milani riguarda la necessità di mobilitare il potenziale educativo dei genitori a partire da un dato emerso in modo piuttosto evidente anche da ricerche recenti: i primi cinque anni di vita (prima cioè dell’ingresso del bambino nella scuola dell’obbligo) sono assolutamente determinanti per tutta quella che sarà la vita successiva della persona ed è dunque in questo periodo che si deve far crescere la capacità di adattamento del bambino alle diverse situazioni e contesti di vita.

Don Alessio Graziani

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