Papa Francesco – Omelia del 5 marzo 2015 a casa Santa Marta

639

MEDITAZIONE MATTUTINA NELLA CAPPELLA DELLA
DOMUS SANCTAE MARTHAE

La mondanità anestetizza l’anima

Papa Francesco celebra la messa nella cappella della Casa Santa Marta e ricorda che il Signore non ci abbandona mai, anche se abbiamo un cuore mondano.

[divider]

La mondanità oscura l’anima, rendendo incapaci di vedere i poveri che vivono accanto a noi con tutte le loro piaghe: così, in sintesi, Papa Francesco nella Messa del mattino presieduta a Casa Santa Marta. Ce ne parla Sergio Centofanti:

Commentando la parabola del ricco epulone, un uomo vestito “di porpora e lino finissimo” che “ogni giorno si dava a lauti banchetti”, il Papa osserva che non si dice di lui che fosse cattivo: anzi, “forse era un uomo religioso, a suo modo. Pregava, forse, qualche preghiera e due-tre volte l’anno sicuramente si recava al Tempio a fare i sacrifici e dava grosse offerte ai sacerdoti, e loro con quella pusillanimità clericale lo ringraziavano e lo facevano sedere al posto d’onore”. Ma non si accorgeva che alla sua porta c’era un povero mendicante, Lazzaro, affamato, pieno di piaghe, “simbolo di tanta necessità che aveva”. Il Papa spiega la situazione dell’uomo ricco:

“Quando usciva da casa, eh no … forse la macchina con la quale usciva aveva i vetri oscurati per non vedere fuori … forse, ma non so … Ma sicuramente, sì, la sua anima, gli occhi della sua anima erano oscurati per non vedere. Soltanto vedeva dentro la sua vita, e non se ne accorgeva di cosa era accaduto a quest’uomo, che non era cattivo: era ammalato. Ammalato di mondanità. E la mondanità trasforma le anime, fa perdere la coscienza della realtà: vivono in un mondo artificiale, fatto da loro … La mondanità anestetizza l’anima. E per questo, quest’uomo mondano non era capace di vedere la realtà”.

E la realtà è quella di tanti poveri che vivono accanto a noi:

“Tante persone che portano la vita in maniera difficile, in modo difficile; ma se io ho il cuore mondano, mai capirò questo. Con il cuore mondano non si può capire la necessità e il bisogno degli altri. Con il cuore mondano si può andare in chiesa, si può pregare, si possono fare tante cose. Ma Gesù, nell’Ultima Cena, nella preghiera al Padre, cosa ha pregato? ‘Ma, per favore, Padre, custodisci questi discepoli che non cadano nel mondo, che non cadano nella mondanità’. E’ un peccato sottile, è più di un peccato: è uno stato peccatore dell’anima”.

In queste due storie – afferma il Papa – ci sono due giudizi: una maledizione per l’uomo che confida nel mondo e una benedizione per chi confida nel Signore. L’uomo ricco allontana il suo cuore da Dio: “la sua anima è deserta”, una “terra di salsedine dove nessuno può vivere”, “perché i mondani, per la verità, sono soli con il loro egoismo”. Ha “il cuore ammalato, tanto attaccato a questo modo di vivere mondano che difficilmente poteva guarire”. Inoltre – aggiunge il Papa – mentre il povero aveva un nome, Lazzaro, il ricco non ce l’ha: “non aveva nome, perché i mondani perdono il nome. Sono soltanto uno della folla benestante, che non ha bisogno di niente. I mondani perdono il nome”.

Nella parabola, l’uomo ricco, quando muore si ritrova tra i tormenti negli inferi, e chiede ad Abramo di inviare qualcuno dai morti ad ammonire i familiari ancora in vita. Ma Abramo risponde che se non ascoltano Mosè e i Profeti non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti. Il Papa afferma che i mondani vogliono manifestazioni straordinarie, eppure “nella Chiesa tutto è chiaro, Gesù ha parlato chiaramente: quella è la strada. Ma c’è alla fine una parola di consolazione”:

“Quando quel povero uomo mondano, nei tormenti, chiede di inviare Lazzaro con un po’ d’acqua per aiutarlo, come risponde Abramo? Abramo è la figura di Dio, il Padre. Come risponde? ‘Figlio, ricordati …’. I mondani hanno perso il nome; anche noi, se abbiamo il cuore mondano, abbiamo perso il nome. Ma non siamo orfani. Fino alla fine, fino all’ultimo momento c’è la sicurezza che abbiamo un Padre che ci aspetta. Affidiamoci a Lui. ‘Figlio’. Ci dice ‘figlio’, in mezzo a quella mondanità: ‘figlio’. Non siamo orfani”.

Fonte

[ads1]