Nuovo alfabeto del sacro

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Un abbecedario per disobbedienti

Le prime parole pronunciate da Gesù, come le registrano i Vangeli, pretendono la superbia di una disciplina.
«Lascia così, ora: conviene compiere ogni giustizia» (Mt 3, 15).
«Compiuto il tempo, è vicino il regno di Dio: convertitevi, credete nella buona notizia» (Mc 1, 15).
«Perché mi cercate? Non sapete che è necessario io sia nelle cose del padre mio?» (Lc 2, 49).
«Cosa cercate?… Venite, vedrete» (Gv 1, 38; 39).
Nel Vangelo di Luca, Gesù si rivolge ai genitori: ha dodici anni, è seduto nel tempio di Gerusalemme, «in mezzo ai dottori», lo cercano da tre giorni. Marco riferisce la predica dopo il battesimo impartito dal Battista; Giovanni la stupefatta perplessità di alcuni discepoli del Battista al vedere Gesù («Rabbi, dove stai?», domanda che implica un inginocchiatoio). Matteo ricalca il breve dialogo, quasi
un sussurro, tra Gesù e il Battista. Ovunque, c’è qualcosa da lasciare, qualcosa da compiere e qualcosa che è compiuto: c’è una conversione, o meglio, una cerca. Tutti cercano qualcosa: i genitori un figlio, i discepoli un maestro, Giovanni il Battista (un maestro) il Messia. Tutti sono assetati,
presi da una fame che non assolve.

Davide Brullo


“L’Ecce Homo di Mark Wallinger è un Cristo che si fa prendere alle spalle. Ha le mani legate, grandezza naturale, nessun piedistallo, occhi negli occhi ed è bianco, immacolato. Intorno, ricordo, le ossa scarnificate dell’Hangar Bicocca, vene scoperte, anno 2005, l’anima della fabbrica svuotata non aveva ancora ceduto del tutto al processo distruttivo della Milano culturale dei book shop ed egli aperitivi bio. Puzza di olio motore nelle narici, rumore assordante, bestemmie lombarde, grasso, urla, barzellette sconce, litanie sgranate al dio dell’altrui profitto… giuro, si potevano ancora sentire sospese nello stomaco di quella bestia industriale che pure tutto aveva vomitato del tempo passato e lì, lì in mezzo: Cristo. Bianco, sfacciato, debole, esposto al sacrilegio di noi spettatori, muto. Anni dopo incontrai davvero operai che in quella fabbrica avevano immolato la loro parte migliore, non riuscii a dire nulla. Ormai è tutto finito, avevano ragione.

Ho amato quell’Ecce Homo, l’ho amato come potevo, usandolo. Sprecando parole, esponendolo, aggredendolo con spiegazioni e approfittando del suo silenzio per sfogare la mia fede infantile e ideologica. Prete alle prime armi, si può usare tutto per avvicinare l’altro, a Cristo, fingevo senza voler sapere”.

Alessandro Deho’

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