Consiglio Episcopale Permanente di Gennaio 2020 – Introduzione del Card. Gualtiero Bassetti

1233

CONSIGLIO PERMANENTE

Roma, 20 – 22 gennaio 2020

Introduzione del Cardinale Presidente 

Cari Confratelli, vi saluto di vero cuore, grato della presenza di ciascuno di voi e del lavoro che, insieme, porteremo avanti in questi giorni di Consiglio, a servizio del bene delle nostre Comunità e del nostro stesso Paese.

“Non siamo più in un regime di cristianità perché la fede – specialmente in Europa, ma pure in gran parte dell’Occidente – non costituisce più un presupposto ovvio del vivere comune, anzi spesso viene perfino negata, derisa, emarginata e ridicolizzata”. Avete senz’altro riconosciuto in queste parole un passaggio del discorso del Santo Padre alla Curia Romana in occasione del Natale. Francamente, mi hanno fatto pensare alcuni titoli  e commenti dei media, che si sono mostrati sorpresi davanti a questa constatazione. In realtà, la fotografia messaci davanti da Papa Francesco corrisponde pienamente a quanto viviamo nelle nostre Chiese. Certamente – almeno per ragioni anagrafiche – siamo stati testimoni di un tempo in cui “era più semplice distinguere tra due versanti abbastanza definiti: un mondo cristiano da una parte e un mondo ancora da evangelizzare dall’altra”. Sappiamo che non funziona più così: è venuto meno quel tessuto culturale unitario, che permetteva di riconoscersi e parlare una lingua comune, ampiamente plasmata dalla fede e dai valori che essa ispira. Oggi la situazione è davvero diversa e noi “non siamo più gli unici che producono cultura, né i primi, né i più ascoltati”.

In un tale contesto pluralistico, che spesso finisce per considerare irrilevante la fede, sorgono le posizioni più diverse: ecco le reazioni esasperate di chi fatica ad accettare questa stagione e ha quasi bisogno di prenderne le distanze, invocando un impossibile ritorno indietro delle lancette della storia; ci sono, poi, le scorciatoie di quanti considerano ineluttabile la secolarizzazione della società: anche fra quanti si riconoscono cattolici, prevale spesso una religiosità debole, per cui del magistero ecclesiale si accetta solo ciò che è in sintonia con il proprio stile di vita. Mentre si riduce lo spazio d’incidenza delle istituzioni – tra cui la Chiesa – viene avanti anche una solitudine diffusa, che accompagna tante persone, le quali si sentono prive di riferimenti culturali e di alleanze educative su cui contare.

Non possiamo né vogliamo rigettare la responsabilità di lasciarci interpellare da queste situazioni, che – come spesso ricorda il Santo Padre – richiedono innanzitutto fra noi un profondo cambiamento di mentalità. Intendiamo assumere questo impegno anche con gli Orientamenti pastorali che nei prossimi mesi metteremo a punto insieme. In continuità ideale con il cammino educativo che ha attraversato il decennio, vogliamo farci missionari, portatori appassionati della proposta cristiana, convinti come siamo che l’incontro con il Signore Gesù rimane la risposta alle attese e alle domande di vita che albergano nel cuore; un incontro che diventa pieno quando suscita l’esperienza liberante della fraternità. A livello ecclesiale non sarà, infatti, l’attivismo – pur sostenuto dalle migliori intenzioni – a far la differenza: “di una cosa sola c’è bisogno”, ci ricorda con chiarezza l’episodio evangelico delle sorelle di Betania. L’ascolto, l’accoglienza della Parola, la contemplazione… sono atteggiamenti primari ed essenziali, quelli che poi generano il servizio concreto al prossimo. Sappiamo per esperienza che, quando le persone – penso in particolare ai giovani – incontrano la Parola, ne ricavano una ricchezza inenarrabile, che conduce a scelte di vita donata nelle forme più diverse.

Nasce da questa convinzione la nostra adesione alla scelta del Santo Padre di istituire la Domenica della Parola di Dio: la celebreremo per la prima volta domenica prossima, 26 gennaio. Già a conclusione del Giubileo straordinario della misericordia, Papa Francesco aveva chiesto che si pensasse a una domenica dedicata interamente alla Parola di Dio; una domenica “non una volta all’anno, ma una volta per tutto l’anno”.

Mi ha suscitato un sorriso amaro leggere il racconto di uno scrittore contemporaneo, che in uno dei suoi testi confida di essersi trovato una sera a cena da amici e di aver parlato loro di una storia biblica, dando per scontato che fosse risaputa, fino a trovarsi invece come a divulgare un inedito… Nonostante l’ardore e l’insistenza con cui già il Concilio esortava alla lettura frequente della Parola, l’ignoranza della Sacra Scrittura rimane ampiamente diffusa, anche fra le persone colte.

Riscoprirne la centralità è condizione per dirsi e diventare cristiani: occorre tornare a un incontro personale e comunitario con la Parola. Parola mai ovvia, mai banale, tesoro inesauribile, che non afferreremo mai nella sua ricchezza e profondità.

Alla Parola sentiamo di appartenere: è all’origine del cammino interiore, risveglia il senso di Dio, l’apertura e la tensione verso il mistero. Della Parola vive ogni discepolo; per la Parola crede; sulla Parola poggia la pietà, la catechesi e la fede vissuta; dalla Parola si riversano sugli altri i gesti della carità e si genera e rigenera la comunità. Attorno alla Parola ci si ritrova fratelli, per cui essa è il “luogo” principale in cui vivere anche questa Settimana per l’unità dei cristiani. Sentiamoci convocati dalla Parola: sarà più facile avvicinare e riconoscere pure i tanti immigrati, che vivono accanto a noi, la maggior parte dei quali è di fede cristiana; la loro presenza porta con sé una serie di implicazioni pastorali che devono trovarci attenti e disponibili. Quando si permette alla Parola di liberare la sua carica profetica, diventano visibili i segni dello Spirito anche in mezzo alle ambiguità e alle contraddizioni del presente. Si diventa, allora, capaci di cogliere ciò che nella vita è vero, giusto, conforme al Vangelo e ciò che non lo è, per discernere e comportarsi di conseguenza.

Non rinnoveremo la nostra pastorale se non richiamandoci alla Parola, convinti come siamo che “ogni volta che cerchiamo di tornare alla fonte e recuperare la freschezza originale del Vangelo spuntano nuove strade, metodi creativi, altre forme di espressione, segni più eloquenti, parole cariche di rinnovato significato per il mondo attuale” (EG 11). È questa la condizione per esserne a propria volta annunciatori, capaci di viverla nel quotidiano e di testimoniarla con gioia. Nessuno, del resto, aprirà la porta del proprio cuore ad “evangelizzatori tristi e scoraggiati, impazienti e ansiosi” (EG, 10): la gente è già carica di tante preoccupazioni quotidiane: figli che non nascono, figli che stentano a trovare un lavoro dignitoso, figli che prendono la strada dell’estero; e, ancora, le tante preoccupazioni e difficoltà che, in un modo o nell’altro, segnano ogni famiglia, negli affetti coniugali, nelle relazioni tra generazioni, nella cura prestata ad anziani, disabili e non autosufficienti; una cura tanto più impegnativa laddove si misura con la penuria di servizi socio-sanitari sul territorio.

A livello sociale, pesa una condizione materiale e morale di affanno permanente, un clima di precarietà diffusa, di incertezza e instabilità; e questo clima suscita disagio e malcontento, i cui effetti vanno oltre le stesse pagine della cronaca nera.

Sì, è notevole il carico che grava sulle spalle di gran parte della popolazione; un carico di cui chi, tra noi, a volte si lamenta delle rinunce e dei sacrifici che la vocazione porta con sé, si rivela ben poco consapevole.

È a questa gente – che sentiamo come la nostra gente – che vogliamo tornare a rivolgerci con disponibilità, in spirito di semplicità e di condivisione. Da questa prospettiva, guardiamo con attenzione all’istituzione, con la Legge di bilancio, di un Fondo relativo all’assegno universale e ai servizi alla famiglia: vi riconosciamo una visione circa il valore sociale assicurato dalla famiglia, un passo rispetto alla libertà di scelta dei genitori sull’educazione dei figli, un percorso che incentiva i giovani nell’avvio di un’attività professionale e un tentativo di armonizzare l’esperienza delle genitorialità con quella lavorativa. Il sostegno alla famiglia richiede politiche affidabili e continuative, che finalmente introducano sgravi fiscali proporzionati al numero dei figli. Per il bene di tutti, chiediamo che le forze politiche, insieme alle parti sociali, sappiano davvero investire sulla famiglia, riportandola nello spazio pubblico, quale luogo decisivo da cui far ripartire il Paese.

Un pensiero permettetemi di esprimerlo anche sull’Incontro del Mediterraneo del prossimo mese. Vuol essere l’occasione per dare risonanza, dalle diverse sponde del Mare, a quanto accade e poter avviare un processo di visioni condivise e collaborazioni fattive. L’incontro cade in un momento di crisi, particolarmente drammatico: alcune compagini statali – dalla Libia, alla Siria all’Iraq – sono in frantumi, altre sono attraversate da tensioni fortissime. La guerra, in più punti del Mediterraneo, è l’esito di scelte miopi e interessate, dalle quali non sono estranee nuove logiche coloniali, avanzate dalle grandi potenze. Come Chiese intendiamo offrire una testimonianza di comunione, che non si rassegna a situazioni violente e a strutture sociali ingiuste.

***

Come Pastori della Chiesa, vorremmo ripetere a ciascuno le parole di Pietro al paralitico: “Non possediamo né argento né oro, ma quello che abbiamo te lo diamo: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, alzati e cammina!” (At 3,6). Contengono la nostra disponibilità ad ascoltare e far nostre le inquietudini e le attese che attraversano il cuore degli uomini del nostro tempo: nella Sacra Scrittura esse trovano voce e risonanza, apertura e ragioni di speranza; a maggior ragione devono poter essere ascoltate ed accolte nella Comunità ecclesiale.

Vorrei concludere rivolgendo, a nome di tutti noi, un duplice ringraziamento. Come Pastori, un pensiero di gratitudine è per i nostri sacerdoti, che della Parola sono i primi ministri tra la nostra gente: quanti di loro, per lo più nel silenzio, non si limitano ad annunciarla agli altri, ma la meditano loro per primi, la rendono preghiera, criterio che trasforma e a cui conformano la vita (cfr. Presbyterorum ordinis, 17).

Analogamente, vogliamo dire il nostro grazie ai nostri catechisti: sono migliaia, che con fede, passione e pazienza interpretano la responsabilità dell’intera Chiesa locale. Educano a uno sguardo evangelico e a un’esperienza ecclesiale, che integra la vita; lo fanno valorizzando le Sacre Scritture, la Tradizione viva, la bellezza della liturgia e quella del creato. A cinquant’anni esatti dalla pubblicazione del Documento di base – era il 2 febbraio 1970 – proprio la fedeltà alle intuizioni e alle indicazioni che ci ha offerto, esige oggi scelte pastorali e itinerari formativi nuovi.

Gualtiero Card. Bassetti
Arcivescovo di Perugia – Città della Pieve
Presidente della CEI

Roma, 20 gennaio 2020