Quando cerchiamo di leggere la relazione tra parola di Dio contenuta nelle sante Scritture e popolo di Dio, ci risulta evidente che oggi tale legame purtroppo รจ garantito quasi esclusivamente della liturgia eucaristica domenicale, in cui la proclamazione della Parola e lโomelia del presbitero che presiede lโassemblea raggiungono gli orecchi dei fedeli ascoltatori.
Nonostante la fine dellโesilio della Bibbia dalla comunitร cristiana avvenuta con il concilio Vaticano II, non รจ ancora maturata in ambito cattolico lโassiduitร personale con la parola di Dio, tramite la lettura o la lectio divina al di fuori del contesto liturgico. Restano pochi, se si escludono presbiteri e religiosi, quelli che quotidianamente attingono soprattutto al Vangelo per nutrire la loro vita di fede e per orientare il loro agire nella compagnia degli uomini, nella storia, nel mondo. In pochissime comunitร la lectio divina comunitaria settimanale e lโomelia nella liturgia eucaristica sono articolate come due momenti distinti, con una propria forma, un proprio stile, unโadeguata collocazione nel ritmo liturgico. Per le comunitร cristiane ordinarie, come si diceva, lโomelia domenicale resta lโunica occasione di ascolto e di meditazione della Parola.
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Ciรฒ rende importante interrogarsi su come lโomelia รจ fatta e recepita oggi, essendo un atto decisivo, la cui efficacia e ricezione plasmano la fede e la vita dei battezzati. Che cosa dunque ci sembra urgente precisare? Oggi โ va riconosciuto โ quasi tutte le omelie vogliono essere ispirate dalle letture liturgiche, in particolare dal Vangelo, e tuttavia poche sono realmente capaci di essere euanghรฉlion, buona e bella notizia comunicata agli uomini e alle donne del nostro tempo.
ร vero: รจ sempre meno attestata unโomelia segnata dal letteralismo, dove cioรจ la lettera del testo รจ ridetta senza la fatica dellโinterpretazione e del discernimento dello Spirito santo presente nelle Scritture. ร ugualmente rara lโomelia che attraversa i testi come siti archeologici, fermandosi cioรจ in modo noioso alla redazione o allโanalisi storico-critica. Si รจ perรฒ ancora lontani dallโassunzione della parola di Dio presente nei testi ma leggibile e comprensibile solo nella storia, solo nellโascolto del mondo. Il predicatore deve innanzitutto essere un ascoltatore non solo del Signore che parla nelle Scritture ma anche del popolo destinatario della parola, dellโumanitร tutta, qui e ora.
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Significativamente, nellโEvangelii gaudium papa Francesco ha dedicato unโampia sezione allโomelia (nn. 135-175), talmente ampia da sembrare sproporzionata rispetto allโintera esortazione, ma lo ha fatto nella consapevolezza del cambiamento necessario in questa diaconia della parola. Tutto il suo insegnamento ruota attorno alla necessitร che il predicatore, evangelizzato dalla Parola, sia un evangelizzatore capace di esortare il popolo destinatario dellโomelia. Francesco fornisce anche indicazioni molto pratiche sia per la preparazione, sia per il linguaggio e lo stile da adottare, ma ciรฒ che mi pare piรน rilevante nella sua esortazione sullโomelia รจ una duplice urgenza: primato della Parola e primato dellโascolto concreto, quotidiano. Ascolto sia della comunitร cristiana che รจ โprofeticaโ, capace di sensus fidei, sia dellโumanitร che attende una parola in grado di rendere sensata la vita di ciascuno.
Cosa occorre dunque affinchรฉ lโomelia sia realmente quella buona notizia che invita alla conversione e spinge ad aderire, a credere a questa Parola ricolma di efficacia, capace di salvezza? In primo luogo occorre guardare a Gesรน, nella cui vita umanissima Dio ha voluto rivelarsi. Gesรน ha predicato il Vangelo di Dio (cf. Mc 1,14), mostrando di essere abitato da una sapienza (sophรญa) umana (cf. Mc 6,2), che gli era riconosciuta nel suo annunciare, predicare, dialogare con quelli che incontrava. E se la gente si stupiva del suo insegnamento (didachรฉ), ciรฒ era dovuto allโautorevolezza (exousรญa) che emanava dalle sue parole (cf. Mc 1,22). Gesรน appariva come un maestro, un profeta credibile e affidabile perchรฉ vi era coerenza tra il suo vivere e il suo parlare: non cโera frattura tra le sue parole, i suoi gesti e i suoi sentimenti. Questa sua integritร , questa sua pratica umana della fede suscitava lโesclamazione: โMai un uomo ha parlato come costuiโ (Gv 7,46). E non perchรฉ ci fosse in lui qualcosa di sovrumano, ma proprio per la sua umanitร !
In Gesรน vi era poi anche la capacitร di ascolto degli uomini e delle donne ai quali si sentiva inviato. Per questo andava di cittร in cittร , di villaggio in villaggio, predicando la venuta del Regno, annunciandolo e rendendolo prossimo alle persone che curava, guariva e dalle quali scacciava demoni (cf. Mt 9,35; Lc 8,1). Non stava con le pecore dellโovile ma si sentiva โinviato alle pecore perdute della casa di Israeleโ (Mt 15,24). Aveva compassione delle folle, โperchรฉ erano come pecore che non hanno pastoreโ (Mc 6,34). Manteneva sempre viva questa sua capacitร di vicinanza e di compassione, che spesso mostrava anche nel suo interessarsi a chi aveva di fronte, nel porgli domande, ben prima di insegnare.
A immagine di Gesรน annunciatore del regno di Dio, il predicatore dovrebbe sempre cercare nei testi su cui รจ chiamato a parlare la buona notizia, il Vangelo da trasmettere agli ascoltatori. Non dovrebbe dunque predicare ascoltando le proprie emozioni, le proprie urgenze, ma โdireโ la buona notizia. Se unโomelia รจ priva di questa buona notizia, i destinatari provano noia, fastidio, smettono di ascoltareโฆ Aveva ragione lo scrittore cattolico Franรงois Mauriac quando annotava: โNon cโรจ nessun luogo in cui i volti delle persone sono cosรฌ inespressivi come in chiesa durante le prediche!โ. In unโomelia le parole non dovrebbero risultare โuna poltiglia melensa e insignificante, come una pietanza immangiabile o, comunque, ben poco nutrienteโ (mons. Mariano Crociata). Va detto con chiarezza: se non cโรจ buona notizia, non cโรจ Vangelo, anche se si predica sul Vangelo!
Purtroppo sovente oggi nelle omelie, sebbene partano dal testo evangelico, prevale una dimensione moralistica, magari nutrita di letture antropologiche o psicologiche ma in ultima analisi colpevolizzante, sempre tesa ad accusare gli ascoltatori, lโassemblea. A volte addirittura sembra che lโomelia sia lโoccasione per manifestare le proprie ossessioni (sulla sessualitร o su altri temi antropologici), trasformate in accuse scaricate sui destinatari: chi parla in questo modo sembra quasi accecato e non sa discernere che quelle parole di giudizio e di condanna devono innanzitutto essere indirizzate a sรฉ stessi! Si puรฒ anche parlare di Gesรน Cristo, ma se il discorso si riduce a una lettura fenomenologica del suo dire e operare, non vi รจ piรน posto per la buona notizia. In questo caso, meglio unโomelia semplice, che puรฒ sembrare poco dotta o dallo stile dimesso, che una predica tesa solo a sedurre e non a chiedere conversione.
Non รจ facile annunciare il Vangelo, cioรจ Gesรน Cristo, come buona notizia. Per gli intellettuali, in particolare, la tentazione ricorrente รจ quella di fare omelie prive del Vangelo, ricorrendo invece al proprio bagaglio di conoscenze letterarie o artistiche. Ma se il predicatore รจ in mezzo al suo popolo, se ascolta gli uomini e le donne della sua comunitร e quelli che incontra nel mondo, nella storia, allora รจ piรน facile che la parola di Dio venga colta tra le sue parole e cosรฌ il Vangelo sia annunciato. Papa Francesco, nellโomelia della messa crismale, ha coniato lโespressione โvicinanza di cucinaโ per chiedere agli annunciatori del Vangelo di stare sempre dove si โcucinano le cose importanti e decisiveโ, cioรจ dove si discerne il cibo buono della Parola e si conosce, grazie alla vicinanza alla gente, cosa le manca e di cosa ha bisogno. Certamente, per fare tutto questo occorre soprattutto credere che โil Vangelo รจ potenza di Dioโ (Rm 1,16) che di per sรฉ opera sempre, anche in modo imprevedibile o nascosto; occorre far sentire la presenza di Gesรน non sul piano delle idee ma nella concretezza delle relazioni umanissime; occorre credere che la debolezza dellโannunciatore non รจ un ostacolo ma รจ una grazia che consente di fare maggiormente spazio al Vangelo. Basta poco, in fondo: basta non vergognarsi del Vangelo di Dio (cf. ibid.), di Gesรน Cristo (cf. Mc 8,38; Lc 9,26) dimorando in mezzo, vicino agli uomini.
Pubblicato su Vita Pastoraleย – Fonte
