Era l’8 dicembre 1965, giorno di chiusura del concilio Vaticano II: alla radio sentii i messaggi dei padri conciliari all’umanitร e fui colpito da quello rivolto ai giovani. Lo sentii indirizzato anche a me,ย che avevo ventidue anni e vivevo quei giorni con speranza ed entusiasmo per il futuro della Chiesa. Quel messaggio pieno di fiducia metteva in risalto come la giovinezza abbia ยซla capacitร di rallegrarsi per ciรฒ che comincia, di donarsi gratuitamente, di rinnovarsi e di ripartire per nuove conquisteยป. Non solo erano riconosciute la forza e la bellezza dei giovani, ma la stessa Chiesa assumeva un nuovo atteggiamento nel suo stare nella storia e tra gli uomini e le donne del nostro tempo.
Quel messaggio ha conosciuto ricezione? Credo sia necessario distinguere due tempi successivi di ricezione e due categorie di destinatari. A cominciare da coloro che erano giovani nella stagione del Concilio. Mi pare che gran parte dei cattolici di quella generazione abbiano effettivamente recepito il mandato affidato loro dai padri conciliari e si siano sentiti investiti di una responsabilitร . E abbiano anche colto le proprie potenzialitร di giovani per mutare rotta, operare un “aggiornamento” e una conversione. E riformare la propria struttura di discepoli del Signore.
Ma poi c’รจ la ricezione del messaggio conciliare nello scorrere degli anni e nel mutare delle stagioni. E lรฌ noi giovani di allora, forse, portiamo la responsabilitร principale sulla qualitร e l’efficacia della trasmissione di quel messaggio di speranza. Dobbiamo ammettere che, a oltre cinquant’anni di distanza, la vita della Chiesa registra un certo fallimento al riguardo. Nei decenni passati c’รจ stata un’attenzione alla cosiddetta “pastorale giovanile” mai cosรฌ accentuata nella storia. Purtroppo, questa fatica non รจ stata sufficiente, anche perchรฉ si รจ continuato a pensare a un rapporto esteriore tra la Chiesa da un lato e i giovani dall’altro. Non basta ascoltare i giovani e definirli il “futuro della Chiesa” o le “sentinelle dell’avvenire”. Occorre considerarli e sentirli non come una categoria teologica o come un’entitร esterna, bensรฌ come una componente della Chiesa di oggi, attori e protagonisti giร ora. Occorre pensarli nel “noi” della Chiesa. E stare anche attenti quando, nel linguaggio comune, si usano locuzioni come “la Chiesa e i giovani”, “la Chiesa parla ai giovani”. Semmai, ยซi giovani sono un pezzo di Chiesa che mancaยป, come dice don Armando Matteo.
Il documento preparatorio al Sinodo su I giovani, la fede e il discernimento vocazionale chiama i giovani a ยซessere protagonistiยป e ยซcapaci di creare nuove opportunitร ยป, indicando cosรฌ a tutta la Chiesa vie di evangelizzazione e stili di vita nuovi. Solo un ascolto reciproco, un confronto, un dialogo tra tutte le componenti del popolo di Dio possono innescare un processo di “inclusivitร ” delle nuove generazioni nella Chiesa. Questa la sfida del prossimo Sinodo, non a caso preparato, per volontร di Francesco, da incontri di giovani messi in condizione di prendere la parola e di sentirsi partecipi di quella “conversione” che il Papa chiede a tutta la Chiesa. Questo ascoltarli oggi, nel loro presente, รจ la condizione indispensabile per passare da una pastorale “per i giovani” a una pastorale “con i giovani”.
Come ama ripetere Francesco, si tratta di ยซiniziare dei processiยป, non di fare conquiste, nรฉ di ยซfar ritornareยป i giovani alla Chiesa. O di misurare la riuscita sul numero delle risposte ottenute. ร tramontato il tempo di chiamare a raduno i giovani e aspettare che siano loro a venire: occorre uscire, andare dove loro sono, dove abitano, combattendo ogni tentazione di avvicinamento unilaterale e massificato. I giovani hanno sete di incontri personali, di dialoghi faccia a faccia, soprattutto in un contesto sociale dominato dal virtuale. Essi domandano di essere “riconosciuti”, ciascuno nella propria individualitร , ciascuno lungo il proprio cammino di ricerca di senso e di pienezza di vita. L’incontro personale รจ oggi decisivo per l’avventura dei giovani, i quali sentono lontani genitori, insegnanti, educatori.
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Tutti constatiamo una difficoltร nell’incontro umano con l’altro, ma i giovani ne sentono urgentemente il bisogno, anche per non essere tentati dalla fuga da sรฉ stessi. Il “complesso di Telemaco”, individuato da Massimo Recalcati come chiave di interpretazione della condizioneย giovanile, dovrebbe essere un monito sulla necessitร di accompagnare i giovani non in modo paternalistico ma camminando con loro, con la sapienza della vita giร vissuta, senza imporre, ma semplicemente proponendo, grazie al discernimento che nasce dall’ascolto nei loro confronti. Ecco perchรฉ in questa forma di pastorale, oltre alla cultura dell’incontro deve emergere anche quella della gratuitร . Ricordando che ยซla Chiesa non cresce per proselitismo ma per attrazioneยป (EG 14), occorre vivere ogni atteggiamento di evangelizzazione sotto il segno della gratuitร , senza l’ansia di risultati misurabili in termini di aumento del numero dei giovani coinvolti, delle vocazioni suscitate o dei servizi assunti.
L’incontro che si deve favorire รจ quello umanissimo nel quale sia gratuitamente possibile entrare in relazione con Gesรน attraverso la fede e la testimonianza dell’evangelizzatore. Non dunque l’incontro con una dottrina, tanto meno con una grande idea o con una morale, ma con una realtร viva che intrighi, che sia portatrice di senso e promessa di vita piena. La gratuitร รจ uno dei valori piรน sentiti e vissuti dai giovani: se questa non appare, i giovani diffidano. Incontro, gratuitร , camminare insieme restano urgenze assolute in un nuovo paradigma di evangelizzazione nella societร odierna. Ma cosa cercano i giovani? Pur in una situazione di incertezza, a livello economico, sociale, culturale familiare, i giovani cercano una vita sensata, che io amo definire una vita buona, bella e beata. Questa ricerca, sovente confusa, a volte appare paralizzata da paure e inibizioni, ma รจ presente nel loro cuore. ร vero che la maggior parte dei giovani non vive il bisogno di Dio, ma nel loro perseguire una vita sensata, un’esistenza degna e compiuta, sono insite molte possibilitร di scoprire come la fede cristiana, la persona di Gesรน e il suo Vangelo siano non in contraddizione con tale desiderio, bensรฌ un aiuto e una promessa di pienezza.
La mia esperienza di ascolto, incontro e cammino con tanti giovani mi convince, sempre di piรน, che quando approdano a conoscere Gesรน ne restano affascinati e toccati. La vita di Gesรน come vita buona, nella quale egli “ha fatto il bene”, cioรจ ha scelto l’amore, la vicinanza, la relazione mai escludente, la cura dell’altro e soprattutto dei bisognosi, รจ vita non solo esemplare ma capace di affascinare e di rivelare la possibilitร di una “bontร ” che si vorrebbe ispiratrice per la propria vita. Ma vi รจ anche un’attrazione nei confronti della vita bella vissuta da Gesรน: il suo non essere mai isolato, il suo vivere in una comunitร , in una rete di affetti, il suo vivere l’amicizia, il suo rapporto con la natura… restano molto eloquenti. Infine, vi รจ grande interesse per la sua vita beata, non nel senso di esente da fatiche, crisi e contraddizioni, ma beata in quanto Gesรน aveva una ragione per cui valeva la pena spendere e dare la vita, fino alla morte: questa la sua gioia, la sua beatitudine.
Pubblicato su: Vita Pastorale
