don Maurizio Marcheselli – I vangeli e la fede in Gesù di Nazareth

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I vangeli e la fede in Gesù di Nazareth

PROF. MAURIZIO MARCHESELLI

I

Sul titolo: la fede in Gesù non nasce dai vangeli (intesi come dei libri); i vangeli (intesi come dei libri) nascono dalla fede in Gesù.

Secondo un parere abbastanza condiviso il vangelo più antico è quello di Marco: poco prima del 70. Paolo di Tarso credeva in Gesù molto prima che esistesse il vangelo di Marco. La fede in Gesù non è nata dai vangeli, ma dal vangelo nel senso di «evangelizzazione». È nata da un annuncio orale che, nella sua origine, aveva un nucleo contenutistico abbastanza essenziale: cfr. 1Cor 15.

I vangeli sono la fissazione per iscritto di una predicazione inizialmente orale, in cui si sono fissati alcuni ricordi di quanto Gesù ha detto e ha fatto.

Qual è il nostro accesso a Gesù di Nazareth?

Si tratta di scritti provenienti da circoli di persone che avevano creduto in lui. I riferimenti a Gesù da ambiti non cristiani sono estremamente scarsi.

Il più celebre è il testimonium flavianum: «Ci fu verso questo tempo Gesù, uomo saggio, se pure bisogna chiamarlo uomo: era infatti autore di opere straordinarie, maestro di uomini che accolgono con piacere la verità e attirò a sé molti giudei e anche molti dei greci. Questi era il Cristo. E quando Pilato per denunzia degli uomini notabili fra noi lo punì di croce, non cessarono coloro che da principio lo avevano amato. Egli infatti apparve loro al terzo giorno nuovamente vivo, avendo già annunziato i divini profeti queste e migliaia d’altre meraviglie riguardo a lui. Ancora oggi non è venuta meno la tribù di quelli che da costui sono chiamati cristiani».

Certo gli scritti su Gesù provenienti da circoli di persone che avevano creduto in lui sono più di uno. Non ci sono solo i quattro vangeli canonici, ma anche una serie di vangeli che non fanno parte del canone.

In ogni caso, Gesù fu «un ebreo marginale». Si sono interessati di lui (quasi) esclusivamente coloro che gli hanno creduto. Le testimonianze su Gesù sono dunque empatiche rispetto all’oggetto rappresentato e attestato.

II

Una caratteristica vale per tutta la Bibbia: la Bibbia non è un libro di storia, anche se presuppone come accaduti una serie di fatti storici.

Quale sia il quantitativo minimo di questo nucleo storico può essere oggetto di discussione. In ogni caso non esiste una definizione dogmatica di quali eventi narrati nei vangeli siano da ritenersi come storicamente accaduti e accaduti nella forma in cui vengono raccontati.

Cosa dice il Vaticano II sui vangeli e la loro storicità.

Dei Verbum 19 usa quattro participi: selezionando, redigendo in sintesi e spiegando, conservando la forma di un annuncio.

Cosa dice un autore come Luca della natura del suo lavoro?

Il terzo evangelista canonico ha una certa coscienza della sua attività di scrittore che redige un racconto. Si possono identificare tre stadi nel prologo di Lc 1,1-4:

«1Poiché molti hanno cercato di raccontare con ordine gli avvenimenti che si sono compiuti in mezzo a noi, 2come ce li hanno trasmessi coloro che ne furono testimoni oculari

fin da principio e divennero ministri della Parola, 3così anch’io ho deciso di fare ricerche accurate su ogni circostanza, fin dagli inizi, e di scriverne un resoconto ordinato per te, illustre Teòfilo, 4in modo che tu possa renderti conto della solidità degli insegnamenti che hai ricevuto».

III

Il Gesù (della storia) ci arriva nello specchio dei vangeli.

Si tratta di uno specchio antico, che non ha una superficie levigata come i nostri.

Forse sarebbe meglio dire che i vangeli sono delle pitture di Gesù, dove ogni pittore ha impresso il suo stile fortemente personale nel ritratto del personaggio.

Quale apporto viene dai vangeli apocrifi?

Essi attestano modalità diverse di presentare la figura del protagonista. Sono rilevanti per cogliere la varietà che esisteva all’interno del cristianesimo primitivo.

Laddove essi veicolano informazioni diverse da quelle che troviamo nei quattro vangeli canonici cosa si può dire?

La redazione degli scritti non decide dell’antichità delle tradizioni in essi accolte.

Tuttavia l’apporto di questi scritti alla ricostruzione di un ritratto del Gesù «storico» è piuttosto limitato.

I vangeli compongono in un mosaico coerente delle tessere in origine disparate, dove la figura che risulta è opera dell’artista.

I moderni si sono impegnati a fondo nell’operazione di isolare le tessere, esaminarle e purificarle, per poi usare il materiale così ottenuto per ricostruire una «nuova» figura di Gesù di Nazareth.

Qual è l’esito? A mio giudizio il «Gesù di Crossan» (tanto per fare un nome) non è meno condizionato del «Gesù di Marco». Le tessere sono alla fine troppo poche e il materiale per riempire lo spazio tra di esse fino a ricostruire un ritratto coerente dipende essenzialmente dai presupposti dell’autore.

È ancora valida l’affermazione di A. Schweitzer sull’apporto della ricerca storica sulla vita di Gesù: queste vite sono più il ritratto dei loro autori che del Gesù che ritengono di ricostruire.

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