Vogliamo vedere Gesù
Ci sono giorni speciali, nei quali la vita può cambiare radicalmente. Giorni capaci di segnare, come uno spartiacque, una svolta decisiva; di là i pensieri e le attitudini del passato, di qua il cuore nuovo, e gesti e parole che nulla hanno più in comune con quelli di prima. Giorni come oggi, V Domenica di Quaresima, un battito di ciglio dai giorni più santi dell’anno.
Oggi infatti, insieme a questo pugno di giorni che ci separano dalla Pasqua, sono “i giorni nei quali” il Signore ha deciso di “concludere” con noi “una alleanza nuova”. Perché è necessario, vero? L’abbiamo violata mille volte quella che “aveva concluso con i nostri padri quando li prese per mano e li fece uscire dal paese d’Egitto”.
Fratelli, c’è una storia lunga millenni che ci precede, che a raccontare i gesti d’amore ce ne vorrebbero milioni di anni. E noi, superficiali e sciatti, non ne abbiamo tenuto conto, tutto ci è sembrato naturale e ovvio, forse anche dovuto. Tanto amati da averci fatto il callo.
E’ buono per la nostra conversione pensare che dietro di noi vi è una striscia ininterrotta di amore e pazienza, un’alleanza che tanti santi e martiri hanno difeso fedelmente perché arrivasse sino a noi. Persone che hanno dato la vita incarnando le “preghiere, le lacrime e le grida” di Gesù che dilatavano nella storia l’amore di Dio per te e per me, e che abbiamo stoltamente ignorato, centrati come siamo stati su noi stessi.
Sì, basta guardare alla nostra vita e ci renderemo conto che abbiamo disprezzato la primogenitura che ci faceva eredi di quell’alleanza. Forse non ci bastava, perché il demonio, ingannandoci, ci ha fatto balenare qualcosa di illusoriamente più grande, spingendoci con lusinghe sempre più suadenti, a dimenticare che non c’è nulla di più grande che essere e vivere da figli di Dio.
E così, giorno dopo giorno, peccato dopo peccato, mormorazione dopo mormorazione, giudizio dopo giudizio abbiamo lacerato l’alleanza che ci legava a Dio, finendo con il perdere la nostra autentica identità. E oggi viviamo come i pagani, estranei alla vita di Dio, senza speranza e gioia. Siamo incapaci di obbedire alla volontà di un Altro perché, ormai orfani e non più figli, siamo troppo preoccupati di realizzare la nostra.
Ciascuno di noi può pensare oggi se in qualche aspetto della vita le cose stiano proprio così. Come va il rapporto con il denaro? Per caso, con questa crisi che, volenti o nolenti, ci obbliga a stringere la cinghia non ti stai piegando troppo sino a prostrarti dinanzi ad esso come un idolo? Quante volte ne parli in casa, con i figli? Non sono troppe e sempre per mormorare perché non basta più, spingendolo così al centro della vostra vita?
E la relazione con il coniuge? Un figlio di Dio la vive libero per donarsi senza condizioni; non si appropria dell’altro e per questo, strettamente unito a Cristo, è aperto alla vita in ogni rapporto; perdona e cerca il bene dell’altro servendo in lui l’opera di Dio e non le proprie proiezioni. E’ così dunque che vivete il vostro matrimonio?
E con i figli? Per caso esigi ciò che tu non ti sei neanche sognato di fare frustrando l’educazione che è, essenzialmente, l’arte di tirar fuori da loro il meglio seminato da Dio? Sai stare un passo dietro tuo marito per non sottrargli l’autorità, intervenendo solo in seconda battuta con un volto e parole di misericordia che, completando il ruolo del padre, aiutino il figlio in una sana crescita e maturazione?
Va bene, basta così, forse ci siamo già resi conto di essere diventati mezzi o interi pagani, proprio come i “Greci”, proseliti o simpatizzanti ma non ebrei, che “erano saliti per il culto” a Gerusalemme. Beh, anche noi stiamo andando in Chiesa, e questa è la prima Buona Notizia per tutti noi: le porte sono aperte anche per chi l’alleanza l’ha violata o non l’ha mai né vissuta né conosciuta.
Non solo, ma proprio oggi è uno dei giorni speciali nei quali Dio ha deciso di “concludere” con te e con me “un’alleanza nuova”. Per questo ci possiamo “avvicinare” a “Filippo”, l’apostolo dal nome greco tra i primi chiamati da Gesù. Parla la nostra lingua, di certo viene dalla nostra stessa esperienza, con lui possiamo aprirci e confessare la nostra povertà.
Filippo è immagine della Chiesa, dei suoi pastori, dei catechisti, dei cristiani che, alle sue porte, raccolgono i dolori, i fallimenti e le speranze di ogni uomo. Soprattutto di quelli che hanno violato l’alleanza d’amore, i figli di Adamo ed Eva, i peccatori come te e come me oggi. Se durante questa quaresima abbiamo scoperto e accettato di esserlo non potremo che dire anche noi a Filippo: “vogliamo vedere Gesù”. Abbiamo visto le menzogne del demonio ridurci come dei pezzenti, e le ferite causate dai nostri peccati su di noi e sugli altri.
Ora basta, “vogliamo vedere Gesù” e non più noi stessi. Vogliamo vedere Dio salvare la nostra vita. Ecco la preghiera che la liturgia di questa Domenica ci consegna per condurci alla Settimana Santa. La preghiera che fa di questo momento della nostra vita l’”ora di Gesù”. Ogni volta, infatti, che un uomo rientra in se stesso e riconosce umilmente e con il cuore contrito i propri peccati implorando di poter vedere il volto di Dio misericordioso “giunge l’ora di Gesù”.
La conversione, infatti, innesca immediatamente la “glorificazione del Figlio dell’uomo”. Ciò significa che quando bussiamo alla sua porta Cristo ci aprirà sempre “attirandoci a sé” sulla Croce. Su di essa è stato “elevato” per noi, perché dalla terra dove siamo caduti possiamo con Lui essere innalzati alla vita divina.
Coraggio allora, abbiamo violato l’alleanza, come il figlio prodigo non siamo più degni di essere figli di Dio perché abbiamo scelto di vivere da pagani, è vero; ma proprio per ridonarci la dignità dei figli Lui, “pur essendo Figlio, ha imparato tuttavia l’obbedienza dalle cose che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza per tutti coloro che gli obbediscono”.
E per noi oggi e in questi giorni santi “obbedirgli” per “imparare” con Lui a fare come figli la volontà del Padre, significa proprio affidare alla Chiesa il desiderio di vederlo, perché essa, che ci è Madre, lo “dirà a Gesù”. “Obbedirgli” significa rinnegare noi stessi e lasciarci accompagnare da Gesù attraverso le liturgie, l’ascolto della Parola di Dio e l’accostarci ai sacramenti.
Così, nella Chiesa, “vedremo Gesù” sciogliersi nella nostra vita come “muore un chicco di frumento caduto in terra”. “Vedremo” in noi il suo “molto frutto” che ci strappa dalla “solitudine”. Vedremo le “preghiere e suppliche con forti grida e lacrime” che “Cristo” per perdonarci e riscattarci, “nei giorni della sua vita terrena offrì a Colui che poteva liberarlo dalla morte”. E “vedremo” come il Padre “lo ha esaudito per la sua pietà” sperimentando la sua risurrezione che farà levare anche noi dal sepolcro dell’egoismo e dell’orgoglio.
Nella sua vittoria sul peccato e sulla morte, infatti, Dio ha preparato per noi la nuova ed eterna alleanza. Basta peccati, basta per sempre quel giudizio e quel rancore; basta la schiavitù alla pornografia, all’alcool e alla droga; basta adorazione di idoli inanimati come il prestigio, il denaro, la salute, il corpo, e i beni di questo mondo. Essi sono in mano al demonio, e per averli a lui ci siamo dovuti inchinare. Basta, perché proprio “ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori” dalla nostra vita!
Basta, è “giunta l’ora” in cui Cristo viene a “glorificarsi” in noi “deponendo nel nostro animo e scrivendo nel nostro cuore la Legge” dell’amore. Gesù, infatti, è stato “turbato” come noi di fronte alla morte. Per Lui si trattava di offrire la sua vita, per noi di dare morte all’uomo vecchio e pagano.
Ma coraggio, perché Gesù è “giunto alla sua ora” per fare per fare di questa nostra ora quella in cui crocifiggerci con Lui nell’obbedienza dei figli! E’ accanto a noi come lo Sposo del Cantico dei Cantici per attirarci dietro a Lui a “odiare la nostra vita in questo mondo”; a morire a noi stessi di fronte al fratello, a lasciar perdere i nostri progetti e i nostri criteri, pur di “conservare per la vita eterna” la nostra vita insieme a quella degli altri.
Perché chi, ricreato in Lui nel seno della Chiesa, non vive più per se stesso ma “serve” Gesù nei fratelli, “sarà dove Lui è”, esisterà in pienezza di pace, gioia e amore alla destra del Padre, già oggi, in questi “giorni” decisivi e per questo irripetibili. Entriamoci e ascolteremo anche noi la voce del Cielo che ripeterà a Cristo incarnato in noi: “l’ho glorificato e di nuovo lo glorificherò”, ogni giorno, nonostante la nostra debolezza, perché Dio è fedele e compirà sino alla fine la sua alleanza con noi.
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Gv 12, 20-23
Dal Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, tra quelli che erano saliti per il culto durante la festa c’erano anche alcuni Greci. Questi si avvicinarono a Filippo, che era di Betsàida di Galilea, e gli domandarono: «Signore, vogliamo vedere Gesù».
Filippo andò a dirlo ad Andrea, e poi Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesù. Gesù rispose loro: «È venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato. In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore. Se uno serve me, il Padre lo onorerà. Adesso l’anima mia è turbata; che cosa dirò? Padre, salvami da quest’ora? Ma proprio per questo sono giunto a quest’ora! Padre, glorifica il tuo nome».
Venne allora una voce dal cielo: «L’ho glorificato e lo glorificherò ancora!».
La folla, che era presente e aveva udito, diceva che era stato un tuono. Altri dicevano: «Un angelo gli ha parlato». Disse Gesù: «Questa voce non è venuta per me, ma per voi. Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori. E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me». Diceva questo per indicare di quale morte doveva morire.
C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.
Don Antonello Iapicca
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