Commento al Vangelo del 6 agosto 2018 – Monastero di Bose

Festa di luce è la festa della Trasfigurazione, in quell’ora di ri-velazione, in cui per un istante si alza il velo che ricopre il mistero del Figlio, in una manifestazione – che insieme mostra e nasconde – dell’identità di Gesù, quale “Figlio amato”: “Anche se il fatto accadde durante il giorno, il sole del suo volto rese oscuro il cielo, e la neve dei suoi vestiti ottenebrò il resto del mondo. Un povero Ebreo, ricoperto di un mantello di lana grezza, riluceva” (F. Mauriac).

È Lui la luce sorta dalla Luce, “l’icona del Dio invisibile” (Col 1,15), leggibile sotto i tratti d’uomo di Gesù, è Lui l’amato da ascoltare, poggiando il nostro capo sul suo petto (cf. Gv 13,25), perché Lui solo ha parole di vita eterna (cf. Gv 6,68), è Lui la Parola, uscita dalla “voce” del Padre e avvolta dalla “nube” di quello Spirito che crea e ricrea, vivifica e gonfia le vele.

È una luce pasquale quella che risplende sul Tabor, un anticipo della luce nuova che si leverà dal sepolcro vuoto, di quella luce altra che rischiarerà la Città del cielo, senza “bisogno della luce del sole, né della luce della luna perché la gloria di Dio la illumina e la sua lampada è l’Agnello” (Ap 21,23). Al cuore dell’itinerario terreno di Gesù, durante il suo andare di città in villaggio, percorrendo le strade della Palestina, protendendo lo sguardo verso quella Gerusalemme che uccide i profeti e lapida quelli che le sono inviati (cf. Mt 23,37; Lc 13,34), un frammento della luce finale e della gloria futura sembra proiettarsi all’indietro, in un anticipo di ciò che sarà.

È una luce che fa retrocedere, per un momento, le ombre che si allungano sul destino del Cristo e sul fragile gruppo dei suoi discepoli. Non a caso, i padri della chiesa e la liturgia hanno sempre rimarcato il legame fra la Trasfigurazione e il mistero pasquale, come se la scena luminosa del Tabor mirasse a confermare e rafforzare la fiducia dei discepoli nel loro Maestro e prepararli ad entrare con lui nella notte della passione, della sconfitta e della morte, con la certezza che, alla fine, le tenebre non avrebbero prevalso. Canta la liturgia bizantina:

“Prima che tu salissi sulla croce, Signore, un monte ha raffigurato il cielo, e una nube lo sovrastava come tenda. Mentre tu ti trasfiguravi e ricevevi la testimonianza del Padre, erano con te Pietro, Giacomo e Giovanni, perché, dovendo essere con te anche nell’ora del tradimento, grazie alla contemplazione delle tue meraviglie non temessero di fronte ai tuoi patimenti. Prima della tua croce, o Signore, prendendo con te i discepoli su un alto monte, davanti a loro ti sei trasfigurato, illuminandoli con bagliori di potenza, volendo mostrare loro lo splendore della resurrezione”.

Quaranta giorni separano la festa della Trasfigurazione da quella dell’Esaltazione della Croce (14 settembre), come a dire che abbiamo bisogno del dono di una luce che non viene da noi – simile al candore di quelle vesti che “nessun lavandaio sulla terra potrebbe rendere così bianche” – per attraversare le notti della prova. E a noi di invocare che l’Amato ci prenda con sé sul monte, e ci introduca per mano “nel lucido buio”…

fratel Emanuele della comunità monastica di Bose

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Questi è il Figlio mio, l’amato.
Dal Vangelo secondo Marco
Mc 9,2-10
 
In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, loro soli.
 
Fu trasfigurato davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. E apparve loro Elìa con Mosè e conversavano con Gesù.
 
Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elìa». Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano spaventati.
Venne una nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube uscì una voce: «Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!». E improvvisamente, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro.
 
Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti. Ed essi tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse dire risorgere dai morti.

Parola del Signore

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