Commento al Vangelo del 3 ottobre 2017 – Monastero di Bose

Si compiono i giorni, non è più tempo di attesa e allora, con il coraggio che viene dal conoscere e riconoscere che resta da percorrere l’unica via possibile, Gesù rende duro il suo volto (così dice alla lettera il testo) di quell’espressione che nei tratti mostra la ferma ed intima adesione a quanto sta per avvenire.

La sua decisione è quella della coerenza a caro prezzo, è la forza della mitezza, di chi giorno dopo giorno continua a mostrare con la sua vita, nella sua carne l’ampiezza e la profondità del suo insegnamento.

Parte per Gerusalemme e passa nel territorio di Samaria, non devia verso un luogo più accogliente: ormai che senso avrebbe?

Giacomo e Giovanni, e possiamo facilmente pensare che il loro fosse un atteggiamento condiviso anche dagli altri discepoli, ancora non comprendono la radice dell’insegnamento di Gesù, la portata scandalosa del non rispondere al  male con il male, del non opporre in modo simmetrico forza alla forza.

Non comprendono, come anche noi spesso non capiamo, che in questa radicale rinuncia a rivendicare la propria potenza, a imporre la propria forza c’è la grandezza della dignità di chi non vuole svendere la sua umanità.

Un altro maestro di mitezza, Mandela, un giorno raccontò questa parabola:

“Il sole disse al vento: ‘io sono più forte di te’ e insieme decisero di mettersi alla prova con un viaggiatore … una persona avvolta in una coperta. Il più forte sarebbe stato chi tra loro sarebbe riuscito a togliergliela. Così il vento cominciò a soffiare e più soffiava, più l’uomo si teneva stretta la coperta. Allora il vento continuò a soffiare e soffiare, ma l’uomo non voleva saperne di mollare la coperta, anzi, più il vento soffiava  e più se la teneva stretta intorno al corpo. Alla fine il vento rinunciò. Venne quindi il turno del sole, che iniziò a splendere, dapprima piano e poi inviando raggi sempre più caldi … fino a quando l’uomo cominciò a pensare che la coperta non gli serviva più. Così la allentò un po’, ma i raggi del sole si facevano sempre più intensi tanto che il viaggiatore si sbarazzò della coperta. Ecco questa è la parabola: con la pace è possibile far cambiare idea anche alle persone più determinate, più votate alla violenza”.

Eppure noi continuiamo a soffiare e soffiare e aspettiamo invano che scenda un fuoco dal cielo e consumi il male e l’ingiustizia.

Ma l’unico fuoco che arde alla luce della sequela è quello della Parola che scava solchi incolmabili dentro di noi e brucia ed esige coerenza. Quella Parola che troppo spesso ovattiamo, nel tentativo di non sentirla o pieghiamo ai nostri significati, dimenticandoci che così facendo perdiamo il senso profondo del nostro agire.

La via del Signore implica solo due forme di potere: il poter essere e il poter dire.

Poter essere, incarnare il nostro volto, riconoscere la nostra unicità amata da Dio perché tale, e poter dire, affermare con la propria vita, oltre che con le proprie parole quella verità che è anche via e vita.

Le altre forme di potere implicano sempre un paragone, un più e un meno, e quindi nascondono in sé facilmente il desiderio di prevalere e con esso la violenza.

Il poter essere e il poter dire invece sono le vie della mitezza che siamo chiamati a percorrere.

Sorella Elisabetta della comunità monastica di Bose

Leggi il brano del Vangelo

Lc 9,  51-56
Dal Vangelo secondo  Luca

Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto, Gesù prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme e mandò messaggeri davanti a sé.
Questi si incamminarono ed entrarono in un villaggio di Samaritani per preparargli l’ingresso. Ma essi non vollero riceverlo, perché era chiaramente in cammino verso Gerusalemme.
Quando videro ciò, i discepoli Giacomo e Giovanni dissero: «Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?». Si voltò e li rimproverò. E si misero in cammino verso un altro villaggio.

C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.

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