Commento al Vangelo del 29 novembre 2016 – Monastero di Bose

Mt  21,23-27

In quel tempo 23 Gesù entrò nel tempio e, mentre insegnava, gli si avvicinarono i capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo e dissero: «Con quale autorità fai queste cose? E chi ti ha dato questa autorità?». 24 Gesù rispose loro: «Anch’io vi farò una sola domanda. Se mi rispondete, anch’io vi dirò con quale autorità faccio questo. 25 Il battesimo di Giovanni da dove veniva? Dal cielo o dagli uomini?». Essi discutevano fra loro dicendo: «Se diciamo: «Dal cielo», ci risponderà: «Perché allora non gli avete creduto?». 26 Se diciamo: «Dagli uomini», abbiamo paura della folla, perché tutti considerano Giovanni un profeta». 27 Rispondendo a Gesù dissero: «Non lo sappiamo». Allora anch’egli disse loro: «Neanch’io vi dico con quale autorità faccio queste cose».

Questo brano del Vangelo di Matteo è carico di tensione per lo scontro evidente tra Gesù e i suoi oppositori, i sommi sacerdoti e gli anziani. Gesù ha invaso il loro spazio religioso, è sconfinato nel loro territorio di autorità. La reazione di chi si sente minacciato è tanto forte quanto debole è la loro reale autorità, un’autorità che qui è rivelata nella sua natura sviata, perché per essi autorità è sinonimo di potere. E ogni potere minacciato reagisce con violenza.

Non così l’autorità, l’exousía, esercitata da Gesù. Un’autorità esercitata come Dio desidera, cioè un’autorità esercitata attraverso un decentramento. Ed è questo ciò che fa Gesù: come tante altre volte nei vangeli, anche qui Gesù non propone se stesso come fonte della propria autorevolezza, bensì rimanda a un altro, per dire così che l’autorità è una sola, quella di Dio. Gesù rimanda a colui che l’ha immediatamente preceduto nell’esercizio di questa “sconvolgente” autorità: un’autorità che obbedisce, e nient’altro. Attraverso il rimando esplicito a Giovanni, suo Precursore, Gesù rimanda ai profeti e al cuore dell’autorità profetica: un’autorità esercitata nel paradossale stile dell’obbedienza, della conversione, dell’amore, della fedeltà.

Di più, il rimando è a un’azione precisa, propria dell’attività profetica di Giovanni: il suo battesimo, quell’immersione segno del pentimento e della conversione. Con questo rimando, Gesù in realtà parla di sé senza parlare di sé: il lettore e ogni credente va immeInizio moduloFine modulodiatamente alla scena del Giordano, dove anche Gesù si sottopose al battesimo di Giovanni. Anche il lettore e ognuno di noi va così all’origine del ministero e dell’autorità di Gesù, il suo abbassamento e la sua radicale apertura all’amore del Padre, per ritrovare lì le uniche parole vere, autentiche che sanciscono la reale autorità di Gesù: “Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento” (Mt 3,17). 

Un’autorità donata a lui dall’amore del Padre, dunque, un’autorità ricevuta: lui l’ha solo accolta, conservata e sviluppata nella sua vita attraverso la sua fedeltà a Dio Padre e attraverso l’amore per gli uomini, suoi fratelli.  Nessun potere da difendere, dunque, né da inventare, né da preservare; bensì un perseverante stare nello spazio dell’amore di Dio. I suoi interlocutori sono totalmente fuori da questo spazio, e il loro “Non lo sappiamo” (v. 27), in fondo, è rivelativo di ciò. Un amore disarmato e disarmante, tutto il contrario del potere: questa la sola autorità del Veniente che attendiamo.

fratel Matteo della comunità monastica di Bose

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