card. Gianfranco Ravasi – La generosità di una vedova poverissima

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C’era agitazione quel sabato nel villaggio di Nazaret. Era rientrato un concittadino di cui si parlava molto per i suoi atti clamorosi compiuti nei vari villaggi di quella regione, la Galilea. Il suo nome era noto a tutti, Gesù, così come era conosciuta tutta la sua parentela di origini modeste. La sinagoga era affollata: su quel luogo oggi si leva un edificio crociato, e quindi posteriore di secoli, denominato “la Scuola (o sinagoga) del Messia”. Sì, perché in quel giorno lui era stato invitato dal capo della sinagoga a leggere e a spiegare il brano del profeta Isaia (61,1-2) assegnato a quel sabato. Era un onore che veniva attribuito alle figure eminenti della comunità o a ospiti di riguardo.

E Gesù non aveva deluso la curiosità. Non solo si era identificato in quel brano in cui si annunciava una missione messianica di liberazione e di salvezza per i poveri, i prigionieri, i ciechi, gli oppressi. Ma aveva aggiunto un suo sermone in cui sferzava i suoi concittadini che lo accoglievano solo sperando nei suoi atti taumaturgici. Egli, invece, preferiva uomini e donne non legati a interessi e vantaggi, ma persone sincere, veramente bisognose e fiduciose, persino straniere, e citava come esempio due altri grandi profeti del passato, Elia ed Eliseo.

Del primo ricordava un episodio biblico che gli uditori di Gesù ben conoscevano e che Gesù così aveva riassunto: «C’erano molte vedove in Israele al tempo di Elia, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese. Ma a nessuna di esse fu mandato Elia, se non a una vedova a Sarepta di Sidone» (Luca 4,25-26). Ecco, allora, entrare in scena – sia pure indirettamente – ancora una volta una donna, e noi la collochiamo all’interno di questa specie di galleria di ritratti femminili che stiamo da varie settimane disegnando attraverso il Vangelo di Luca. Solo su di lei puntiamo la nostra attenzione e non sull’intero brano dell’evangelista che comprende anche un altro atto compiuto da Eliseo e che la liturgia ha proposto come lettura evangelica poche domeniche fa (4,16-30).

La nostra vicenda è narrata con vivacità nel c. 17 del Primo Libro dei Re e vede come protagonisti sia Elia, sia una vedova poverissima che – come spesso accade tra persone indigenti – dimostra una generosità commovente. È pronta, infatti, a condividere le ultime risorse alimentari destinate a lei e a suo figlio col profeta, un residuo estremo di cibo in un periodo interminabile di totale siccità. Ma a sorpresa, in seguito al suo gesto di carità, la farina nella giara si era moltiplicata e l’olio non era venuto meno nell’orcio di quella casa.

La storia aveva poi registrato anche una svolta drammatica perché il figlio unico di quella vedova era stato colpito da una malattia che lo aveva condotto a una morte apparente («e cessò di respirare»). Elia si era disteso per tre volte su quel ragazzo, invocando il Dio della vita perché trasmettesse l’energia vitale del profeta a quelle membra inerti. «Il Signore ascoltò la voce di Elia e la vita del bambino tornò nel suo corpo e riprese a vivere» (17,22). Il pensiero corre alla vicenda della figlia di Giairo, capo della sinagoga di Cafarnao, e a quella della vedova del villaggio di Nain, che evocheremo in futuro. Solo che in questi due casi sarà Cristo stesso, senza rivolgersi a Dio, a operare la risurrezione con la sua potenza divina.

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