La sfida del cibo
Il gusto per le cose giuste
«Il mondo presente è la sintesi estrema di squilibri inaccettabili, che solo a leggerli fanno venire mal di pancia. Gli obesi sono ormai quasi il doppio degli affamati; con quanto si spreca si potrebbe sfamare un terzo della popolazione mondiale; gran parte degli alimenti non riempiono le nostre pance ma i serbatoi delle macchine, o al più gli stomaci dei ruminanti che poi noi mangiamo; nei paesi che una volta si definivano ricchi, si spende di più per non mangiare: le diete del “senza” e del “no” conquistano sempre più adepti facendo assumere al «regime» alimentare un nuovo significato di restrizione calorica; gli chef pluristellati spopolano nel grande spadellamento mediatico – siamo entrati nella spadelling age – oscurando chi invece il cibo lo produce: gli agricoltori; l’illegalità è la cifra che caratterizza parte sempre più importante delle filiere agroalimentari, andando a colpire gli anelli più deboli ed esposti della catena: lavoratori, agricoltori, consumatori; osannati guru planetari pontificano sul diritto-al-cibo, gli organismi-geneticamente-modificati, la dieta-mediterranea, il chilometro-zero e altri temi trattandoli come fossero slogan, mentre richiederebbero almeno un minimo di conoscenza e competenza.
Il risultato, assai concreto, visibile e misurabile, di questo stato confusionale – stridente appunto anche perché si svolge essenzialmente nelle nostre bocche dove entrano gli alimenti ed escono le parole – è che non sappiamo più se il cibo ci nutre o ci mangia. Così come non ci è più del tutto chiaro se mangiamo per vivere, che è una questione fisiologica, o se viviamo per mangiare, che invece riguarda la psicologia. Siamo ben confusi.
Tra tutti quelli elencati, il paradosso che più mi sconvolge è che circa la metà degli abitanti del Pianeta potrebbero essere nutriti con il cibo che si perde e si spreca lunga filiera agroalimentare mondiale: un terzo del totale ovvero 1,3 miliardi di tonnellate. Come dire che tre miliardi di esseri umani potrebbero mangiare ciò che una parte degli abitanti del mondo spreca.
Questo esempio alimentare fa capire quale potrebbe essere un possibile punto dal quale partire per risolvere i gravi squilibri del nostro mondo: ridurre e se possibile eliminare gli sprechi, anzi, prevenirli, partendo da quelli di casa nostra, quelli domestici. La prevenzione, come sapete, è la cura migliore. E in questo “gioco” globale/locale, collettivo/personale conviene cominciare da noi stessi. Del resto già una massima religiosa greco antica scritta nel tempio di Apollo a Delfi ci esorta: conosci te stesso.
Il cibo che mangiamo poi è strettamente legato alla nostra salute e a quella del (nostro) pianeta, alle nostre tradizioni e relazioni, insomma al nostro essere e al nostro sapere. In altre parole dobbiamo far evolvere il famoso detto di Feuerbach: “sei ciò che mangi”, passare al “mangia come sei” e poi al “mangia come sai”. Per riconoscere il cibo nella sua essenza, per trovare un (nuovo) punto di equilibrio, oggi più che la narrazione servono visioni e azioni».
Andrea Segrè, Il gusto per le cose giuste. Lettera alla generazione Z, Mondadori, 2017.