Alle ore 9 di questa mattina, nella Cappella Redemptoris Mater, il Predicatore della Casa Pontificia, Rev.do P. Raniero Cantalamessa, O.F.M. Cap., ha tenuto la primaPredica di Quaresima.
Tema delle meditazioni quaresimali รจ il seguente:
โNessuno puรฒ dire: โGesรน รจ il Signore!โ se non nello Spirito Santoโ (1 Cor 12,3).
Le successive prediche di Quaresima avranno luogo venerdรฌ 24 e 31 marzo, e venerdรฌ 7 aprile.
Testo della predica
1. La fede di Nicea
Proseguiamo, in questa meditazione, la riflessione sul ruolo dello Spirito Santo nella conoscenza di Cristo. A questo proposito non si puรฒ tacere una riprova in atto oggi nel mondo. Esiste da tempo un movimento chiamato degli โEbrei messianiciโ, cioรจ degli Ebrei-cristiani. (โCristoโ e โcristianoโ non sono che la traduzione greca dellโebraico Messia e messianico!). Una stima per difetto parla di 150 mila aderenti, distinti in gruppi e associazioni diverse tra loro, diffusi soprattutto negli stati Uniti, in Israele e in varie nazioni europee.
Sono ebrei che credono che Gesรบ, Yeshua, รจ il Messia promesso, il Salvatore e il Figlio di Dio, ma non vogliono assolutamente rinunciare alla loro identitร e tradizione ebraica. Non aderiscono ufficialmente a nessuna delle Chiese cristiane tradizionali, perchรฉ intendono ricollegarsi e far rivivere la primitiva Chiesa dei giudeo-cristiani, la cui esperienza fu interrotta bruscamente da noti eventi traumatici.
La Chiesa cattolica e le altre Chiese si sono sempre astenute dal promuovere, e perfino nominare, questo movimento per ovvie ragioni di dialogo con lโebraismo ufficiale. Io stesso non ne ho mai parlato. Ma ora si sta facendo strada la convinzione che non รจ giusto continuare a ignorarli o, peggio, ostracizzarli da una parte e dellโaltra. ร uscito da poco in Germania uno studio di diversi teologi sul fenomeno . Se ne parlo in questa sede รจ per un motivo preciso, attinente al tema di queste meditazioni. A una inchiesta sui fattori e le circostanze che sono state allโorigine della loro fede in Gesรบ, piรน del 60% degli interessati ha risposto: โuna trasformazione interiore ad opera dello Spirito Santoโ; al secondo posto cโรจ la lettura della Bibbia e al terzo, contatti personali . ร una conferma dalla vita che lo Spirito Santo รจ colui che da la vera, intima conoscenza di Cristo.
Riprendiamo dunque il filo delle nostre considerazioni storiche. Finchรฉ la fede cristiana rimase ristretta allโambito biblico e giudaico, la proclamazione di Gesรน come Signore (โCredo in un solo Signore Gesรบ Cristoโ), soddisfaceva tutte le esigenze della fede cristiana e giustificava il culto di Gesรน โcome Dioโ. Signore, Adonai, era infatti per Israele un titolo inequivocabile; esso appartiene esclusivamente a Dio. Chiamare Gesรบ Signore, equivale perciรฒ a proclamarlo Dio. Abbiamo una prova inconfutabile del ruolo svolto dal titolo Kyrios allโinizio della Chiesa come espressione del culto divino attribuito a Cristo. Nella sua versione aramaica Maran-atha (Il Signore viene), o Marana-tha (Vieni, Signore!), esso appare giร in san Paolo come formula liturgica (1 Cor 16, 22) ed รจ una delle poche parole conservate nella lingua della primitiva comunitร .
Non appena perรฒ il cristianesimo si affacciรฒ sul mondo greco romano circostante, il titolo di Signore, Kyrios, non bastava piรน. Il mondo pagano conosceva molti e diversi โsignoriโ, primo fra tutti, appunto, lโimperatore romano. Occorreva trovare un altro modo per garantire la piena fede in Cristo e il suo culto divino. La crisi ariana ne offrรฌ lโoccasione.
Questo ci introduce alla seconda parte dellโarticolo su Gesรน, quella che fu aggiunta al simbolo di fede nel concilio di Nicea del 325:
โnato dal Padre prima di tutti i secoli:
Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero,
generato, non creato,
della stessa sostanza (homoousios) del Padreโ.
Il vescovo di Alessandria, Atanasio, campione indiscusso della fede nicena, รจ ben convinto di non essere lui, nรฉ la Chiesa del suo tempo, a scoprire la divinitร di Cristo. Tutta la sua opera consisterร , al contrario, nel mostrare che questa รจ stata sempre la fede della Chiesa; che nuova non รจ la veritร , ma lโeresia contraria. La sua convinzione a questo riguardo trova una conferma storica indiscussa nella lettera che Plinio il Giovane, governatore della Bitinia, scrisse allโimperatore Traiano intorno allโanno 111 d.C. Lโunica notizia certa che egli dice di possedere nei confronti dei cristiani รจ che โsono soliti radunarsi prima dellโalba, in un giorno stabilito della settimana, e inneggiare a Cristo come a Dioโ (โcarmenque Christo quasi Deo dicereโ)
La fede nella divinitร di Cristo esisteva dunque giร ed รจ solo ignorando completamente la storia che qualcuno ha potuto affermare che la divinitร di Cristo รจ un dogma voluto e imposto dallโimperatore Costantino nel concilio di Nicea. Lโapporto dei Padri di Nicea e in particolare di Atanasio, fu, piรน che altro, quello di rimuovere gli ostacoli che avevano impedito fino allora un riconoscimento pieno e senza reticenze della divinitร di Cristo nelle discussioni teologiche.
Uno di tali ostacoli era lโabitudine greca di definire lโessenza divina con il termine agennetos, ingenerato. Come proclamare che il Verbo รจ vero Dio, dal momento che esso รจ Figlio, cioรจ generato dal Padre? Era facile per Ario stabilire lโequivalenza: generato, uguale fatto, cioรจ passare gennetos a genetos, e concludere con la celebre frase che fece esplodere il caso: โCi fu un tempo in cui non cโera!โ (en ote ouk en). Questo equivaleva a fare di Cristo una creatura, anche se non โcome le altre creatureโ. Atanasio risolve la controversia con una osservazione elementare: โIl termine agenetos fu inventato dai greci perchรฉ non conoscevano ancora il Figlioโ e difese a spada tratta lโespressione โgenerato, ma non fattoโ, genitus non factus, di Nicea,
Un altro ostacolo culturale al pieno riconoscimento della divinitร di Cristo, sul quale Ario poteva appoggiare la sua tesi, era la dottrina di una divinitร intermedia, il deuteros theos, preposto alla creazione del mondo. Da Platone in poi, essa era diventata un dato comune a molti sistemi religiosi e filosofici dellโantichitร . La tentazione di assimilare il Figlio, โper mezzo del quale erano state create tutte le coseโ, a questa entitร intermedia era rimasta strisciante nella speculazione cristiana (Apologisti, Origene), anche se estranea alla vita interna della Chiesa. Ne risultava uno schema tripartito dellโessere: al vertice, il Padre ingenerato; dopo di lui, il Figlio (e piรน tardi anche lo Spirito Santo); al terzo posto, le creature.
La definizione del โgenitus non factusโ e dellโhomoousios , rimuove questo ostacolo e opera la catarsi cristiana dellโuniverso metafisico dei greci. Con tale definizione, una sola linea di demarcazione รจ tracciata sulla verticale dellโessere. Esistono due soli modi di essere: quello del creatore e quello delle creature e il Figlio si colloca dalla parte del primo, non delle seconde.
Volendo racchiudere in una frase il significato perenne della definizione di Nicea, potremmo formularla cosรฌ: in ogni epoca e cultura, Cristo deve essere proclamato โDioโ, non in una qualche accezione derivata o secondaria, ma nellโaccezione piรน forte che la parola โDioโ ha in tale cultura.
ร importante sapere cosa motiva Atanasio e gli altri teologi ortodossi nella battaglia, da dove, cioรจ, viene loro una certezza cosรฌ assoluta. Non dalla speculazione, ma dalla vita; piรน precisamente, dalla riflessione sullโesperienza che la Chiesa, grazie allโazione dello Spirito Santo, fa della salvezza in Cristo Gesรบ.
Lโargomento soteriologico non nasce con la controversia ariana; esso รจ presente in tutte le grandi controversie cristologiche antiche, da quella antignostica a quella antimonotelita. Nella sua formulazione classica esso suona cosรฌ: โCiรฒ che non รจ assunto non รจ salvatoโ (โQuod non est assumptum non est sanatumโ) . Nellโuso che ne fa Atanasio, esso puรฒ essere cosรฌ inteso: โCiรฒ che non รจ assunto da Dio non รจ salvatoโ, dove la forza รจ tutta in quella breve aggiunta โda Dioโ. La salvezza esige che lโuomo non sia assunto da un intermediario qualsiasi, ma da Dio stesso: โSe il Figlio รจ una creatura โ scrive Atanasio โ lโuomo rimarrebbe mortale, non essendo unito a Dioโ, e ancora: โLโuomo non sarebbe divinizzato, se il Verbo che divenne carne non fosse della stessa natura del Padreโ .
Occorre tuttavia fare una precisazione importante. La divinitร di Cristo non รจ un โpostulatoโ pratico, come รจ, per Kant, lโesistenza stessa di Dio . Non รจ un postulato, ma la spiegazione di un dato di fatto. Sarebbe un postulato โ e dunque una deduzione teologica umana โ se si partisse da una certa idea di salvezza e da essa si deducesse la divinitร di Cristo come lโunica capace di operare tale salvezza; รจ invece la spiegazione di un dato se si parte, come fa Atanasio, da una esperienza di salvezza e si dimostra come essa non potrebbe esistere se Cristo non fosse Dio. In altre parole, non รจ sulla salvezza che si fonda la divinitร di Cristo, ma รจ sulla divinitร di Cristo che si fonda la salvezza.
2. โVoi, chi dite che io sia?โ
Ma รจ tempo di venire a noi e cercare di vedere cosa possiamo imparare oggi dallโepica battaglia sostenuta a suo tempo dallโortodossia. La divinitร di Cristo รจ la pietra angolare che sorregge i due misteri principali della fede cristiana; la Trinitร e lโincarnazione. Essi sono come due porte che si aprono e si chiudono insieme. Esistono edifici o strutture metalliche cosรฌ fatti che se si tocca un certo punto, o si leva una certa pietra, tutto crolla. Tale รจ lโedificio della fede cristiana, e questa sua pietra angolare รจ la divinitร di Cristo. Tolta questa, tutto si sfalda e prima di ogni altra cosa la Trinitร . Se il Figlio non รจ Dio, da chi รจ formata la Trinitร ? Lo aveva giร denunciato con chiarezza santโ Atanasio, scrivendo contro gli ariani:
โSe il Verbo non esiste insieme con il Padre da tutta lโeternitร , allora non esiste una Trinitร eterna, ma prima ci fu lโunitร e poi, con il passare del tempo, per aggiunta, ha cominciato ad esserci la Trinitร โ .
Santโ Agostino diceva: โ Non รจ gran cosa credere che Gesรน รจ morto; questo lo credono anche i pagani, anche i giudei e i reprobi; tutti lo credono. Ma รจ cosa veramente grande credere che egli รจ risorto. La fede dei cristiani รจ la risurrezione di Cristoโ . La stessa cosa, oltre che della morte e risurrezione, si deve dire dellโumanitร e divinitร di Cristo, di cui morte e risurrezione sono le rispettive manifestazioni. Tutti credono che Gesรน sia uomo; ciรฒ che fa la diversitร fra credenti e non credenti รจ credere che egli sia Dio. La fede dei cristiani รจ la divinitร di Cristo!
Dobbiamo porci una domanda seria. Che posto occupa Gesรน Cristo nella nostra societร e nella stessa fede dei cristiani? Penso si possa parlare, a questo riguardo, di una presenza-assenza di Cristo. A un certo livello โ quello dello spettacolo e dei mass-media in generale โ Gesรน Cristo รจ molto presente. In una serie interminabile di racconti, film e libri, gli scrittori manipolano la figura di Cristo, a volte sotto pretesto di fantomatici nuovi documenti storici su di lui. ร diventato ormai una moda, un genere letterario. Si specula sulla vasta risonanza che ha il nome di Gesรบ e su quello che egli rappresenta per larga parte dellโumanitร , per assicurarsi larga pubblicitร a basso costo. Io chiamo tutto questo parassitismo letterario.
Da un certo punto di vista possiamo dunque dire che Gesรน Cristo รจ molto presente nella nostra cultura. Ma se guardiamo allโambito della fede, al quale egli in primo luogo appartiene, notiamo, al contrario, una inquietante assenza, se non addirittura rifiuto della sua persona. In cosa credono, in realtร , quelli che si definiscono โcredentiโ in Europa e altrove? Credono, il piรน delle volte, nellโesistenza di un Essere supremo, di un Creatore; credono che esiste un โaldilร โ. Questa perรฒ รจ una fede deistica, non ancora una fede cristiana. Diverse indagini sociologiche rilevano questo dato di fatto anche in paesi e regioni di antica tradizione cristiana. Gesรน Cristo รจ in pratica assente in questo tipo di religiositร .
Anche il dialogo tra scienza e fede porta, senza volerlo, a una messa tra parentesi di Cristo. Esso ha infatti per oggetto Dio, il Creatore. La persona storica di Gesรบ di Nazareth non vi ha alcun posto. Succede lo stesso anche nel dialogo con la filosofia che ama occuparsi di concetti metafisici, e non di realtร storiche, per non parlare del dialogo interreligioso in cui si discute di pace, ecologismo, ma certo non di Gesรน.
Basta un semplice sguardo al Nuovo Testamento per capire quanto siamo lontani, in questo caso, dal significato originale della parola โfedeโ nel Nuovo Testamento. Per Paolo, la fede che giustifica i peccatori e conferisce lo Spirito Santo (Gal 3,2), in altre parole, la fede che salva, รจ la fede in Gesรน Cristo, nel suo mistero pasquale di morte e risurrezione.
Giร durante la vita terrena di Gesรน, la parola fede indica fede in lui. Quando Gesรน dice: โLa tua fede ti ha salvatoโ, quando rimprovera gli apostoli chiamandoli โuomini di poca fedeโ, non si riferisce alla fede generica in Dio che era scontata tra ebrei; parla di fede in lui! Questo smentisce da solo la tesi secondo cui la fede in Cristo comincia solo con la Pasqua e prima cโรจ solo il โGesรน della storiaโ. Il Gesรน della storia รจ giร uno che postula fede in lui e se i discepoli lโhanno seguito รจ proprio perchรฉ avevano una certa fede in lui, anche se tanto imperfetta prima della venuta dello Spirito Santo a Pentecoste.
Dobbiamo lasciarci investire in pieno viso dunque dalla domanda che Gesรบ rivolse un giorno ai suoi discepoli, dopo che questi gli hanno riferito le opinione della gente introno a lui: โMa voi, chi credete che io sia?โ, e da quella ancora piรน personale: โCredi tu?โ Credi veramente? Credi con tutto il cuore? San Paolo dice che โcon il cuore si crede per ottenere la giustizia e con la bocca si fa la professione di fede per avere la salvezzaโ (Rm 10,10). โร dalle radici del cuore che sale la fedeโ, esclama santโAgostino .
In passato, il secondo momento di questo processo โ cioรจ la professione della retta fede, lโortodossia โ ha preso a volte tanto rilievo da lasciare nellโombra quel primo momento che รจ il piรน importante e che si svolge nelle profonditร recondite del cuore. Quasi tutti i trattati โSulla fedeโ (De fide) scritti nellโantichitร , si occupano delle cose da credere, e non dellโatto del credere.
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3. Chi รจ che vince il mondo
Dobbiamo ricreare le condizioni per una fede nella divinitร di Cristo senza riserve e senza reticenze. Riprodurre lo slancio di fede da cui nacque la formula di fede. Il corpo della Chiesa ha prodotto una volta uno sforzo supremo, con cui si รจ elevato, nella fede, al di sopra di tutti i sistemi umani e di tutte le resistenze della ragione. In seguito, รจ rimasto il frutto di questo sforzo. La marea si รจ sollevata una volta a un livello massimo e ne รจ rimasto il segno sulla roccia. Questo segno รจ la definizione di Nicea che proclamiamo nel credo. Bisogna perรฒ che si ripeta la sollevazione, non basta il segno. Non basta ripetere il Credo di Nicea; occorre rinnovare lo slancio di fede che si ebbe allora nella divinitร di Cristo e di cui non c’รจ stato piรน l’eguale nei secoli. Di esso c’รจ nuovamente bisogno.
Ce nโรจ bisogno anzitutto in vista di una nuova evangelizzazione. San Giovanni, nella sua Prima Lettera, scrive: โChi รจ che vince il mondo se non chi crede che Gesรน รจ il Figlio di Dio? (1 Gv 5,4-5). Dobbiamo capire bene cosa vuol dire โvincere il mondoโ. Non vuol dire riscuotere piรน successo, dominare sulla scena politica e culturale. Questo sarebbe piuttosto lโopposto: non vincere il mondo, ma mondanizzarsi. Purtroppo non sono mancate epoche in cui si รจ caduti, senza rendersene conto, in questo equivoco. Si pensi alle teorie delle due spade o del triplice regno del sovrano pontefice, anche se dobbiamo sempre stare attenti a non giudicare il passato con i criteri e le certezze del presente. Dal punto di vista temporale, avviene piuttosto il contrario, e Gesรบ lo dichiara in anticipo ai suoi discepoli: โVoi piangerete e gemerete, ma il mondo si rallegrerร โ (Gv 16,20).
ร escluso dunque ogni trionfalismo. Si tratta di una vittoria di ben altro tipo: di una vittoria su quello che anche il mondo odia e non accetta di se stesso: la temporalitร , la caducitร , il male, la morte. Questo, infatti, รจ ciรฒ che significa, nella sua accezione negativa, la parola โmondoโ (kosmos) nel Vangelo. ร in questo senso che Gesรบ dice: โAbbiate coraggio: io ho vinto il mondoโ (Gv 16, 33).
Come ha vinto il mondo Gesรบ? Non certo sbaragliando i nemici con โdieci legioni di angeliโ, ma piuttosto, come dice Paolo โvincendo lโinimiciziaโ (cf. Ef 2, 16), vale a dire tutto ciรฒ che separa lโuomo da Dio, lโuomo dallโuomo, un popolo da un altro popolo. Perchรฉ non ci fossero dubbi sulla natura di questa vittoria sul mondo, essa viene inaugurata con un trionfo tutto speciale, quello della croce.
Gesรบ ha detto: โIo sono la luce del mondo, chi segue me non cammina nelle tenebre, ma avrร la luce della vitaโ (Gv 8,12). Sono le parole piรน spesso riprodotte nella pagina del libro che il Pantocrator tiene aperto tra le mani nei mosaici antichi, come in quello famoso della cattedrale di Cefalรน. Di lui lโevangelista afferma: โIn lui era la vita e la vita era la luce degli uominiโ (Gv 1,4). Luce e vita, Phos e Zoรจ: queste due parole hanno in greco la lettera centrale (un omega) in comune e spesso si trovano incrociate, scritte una orizzontalmente e lโaltra verticalmente, a formare un potente e diffusissimo monogramma di Cristo.
Che cosa desidera maggiormente lโuomo se non queste due cose: luce e vita? Di un grande spirito moderno, Goethe, si sa che morรฌ mormorando: โPiรน luce!โ. Forse egli si riferiva alla luce naturale che voleva entrasse in misura maggiore nella sua stanza, ma alla frase รจ stato sempre attribuito, giustamente, un significato anche metaforico e spirituale. Un mio amico che รจ tornato alla fede in Cristo dopo aver attraversato tutte le esperienze religiose possibili e immaginabili, ha raccontato la sua vicenda in un libro intitolato โMendicante di luceโ. Il momento cruciale fu quando, nel bel mezzo di una sua meditazione profonda, sentรฌ rimbombare nella sua mente, senza che potesse farle tacere, le parole di Cristo: โIo sono la via, la veritร e la vitaโ . Sulla falsariga di quello che lโapostolo Paolo disse agli ateniesi nellโAreopago, noi siamo chiamati a dire con tutta umiltร al mondo dโoggi: โQuello che voi cercate, andando come a tentoni, noi ve lo annunciamoโ (cf. Atti 17, 23.27).
โDatemi un punto di appoggio – avrebbe esclamato lโinventore della leva, Archimede โ e io vi solleverรฒ il mondoโ. Chi crede nella divinitร di Cristo รจ uno che ha trovato questo punto di appoggio. โCadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ma essa non cadde, perchรฉ era fondata sulla rocciaโ (Mt 7,25).
4. โBeati gli occhi che vedono quello che voi vedete!โ
Non possiamo perรฒ terminare la nostra riflessione senza raccogliere anche lโappello che essa contiene, non solo in vista dellโevangelizzazione ma anche della nostra vita e testimonianza personale. Nel dramma di Claudel โIl padre umiliatoโ, ambientato a Roma al tempo del beato Pio IX, cโรจ una scena molto suggestiva. Una fanciulla ebrea, bellissima ma cieca, passeggia di sera nel giardino di una villa romana con il nipote del papa Orian innamorato di lei. Giocando sul duplice significato della luce, quello fisico e quello della fede, a un certo punto, โa voce bassa e con ardoreโ, ella dice allโamico cristiano:
โMa voi che ci vedete, che cosa ne fate voi della luce? [โฆ]
Voi che dite di vivere, cosa ne fate della vita?โ .
ร una domanda che non possiamo lasciar cadere nel vuoto: che cosa ne facciamo noi cristiani della nostra fede in Cristo? Anzi, che cosa ne faccio io della mia fede in Cristo? Gesรบ un giorno disse ai suoi discepoli: โBeati gli occhi che vedono ciรฒ che voi vedeteโ (Lc 10,23; Mt 13,16). ร una di quelle affermazioni con cui Gesรบ, in piรน occasioni, cerca di aiutare i suoi discepoli a scoprire da soli la sua vera identitร , non potendo rivelarla in modo diretto a causa della loro impreparazione ad accoglierla.
Noi sappiamo che le parole di Gesรน sono parole che โnon passeranno maiโ (Mt 24, 35), sono, cioรจ parole vive, rivolte a chiunque le ascolta con fede, in ogni momento e luogo della storia. ร a noi perciรฒ che egli dice, ora e qui: โBeati gli occhi che vedono quello che voi vedete!โ. Se non abbiamo mai riflettuto seriamente su quanto siamo fortunati noi che crediamo in Cristo, forse รจ lโoccasione per farlo.
Perchรฉ โbeatiโ, se i cristiani non hanno certo piรน motivo degli altri di rallegrarsi in questo mondo e anzi in molte regioni della terra sono continuamente esposti alla morte, proprio per la loro fede in Cristo? La risposta ce la da lui stesso: โPerchรฉ vedete!โ. Perchรฉ conoscete il senso della vita e della morte, perchรฉ โvostro รจ il regno dei cieliโ. Non nel senso di โvostro e di nessun altroโ (sappiamo che il regno dei cieli, nella sua prospettiva escatologica, si estende ben oltre i confini della Chiesa); โvostroโ nel senso che voi ne siete giร parte, ne gustate le primizie. Voi avete me!
La frase piรน bella che una sposa puรฒ dire allo sposo e viceversa, รจ: โMi hai reso felice!โ Gesรบ merita che la sua sposa, la Chiesa, glielo dica dal profondo del cuore. Io glielo dico e invito voi, Venerabili Padri, fratelli e sorelle, a fare altrettanto. Oggi stesso, per non dimenticarcelo.
1. Ulrich Laepple (ed.), Messianische Juden. Eine Provokation, Vandenhoeck & Ruprecht, Gรถttingen 2016.
2.Laepple, cit., p. 34.
3. Cf. Didachรจ, X, 6; in Ap 22, 20, lโesclamazione: โVieni, Signore Gesรนโ รจ la traduzione dei Marana-tha.
4.Plinio il Giovane, Relatio de Christianis ad Traianum, Epistulae X, 96 (in C. Kirch, Enchiridion Fontium Historiae Ecclesiasticae Antiquae, Herder 1965, p. 23).
5.S. Atanasio, De decretis Nicenae synodi, 31.
6.S. Gregorio Nazianzeno, Lettera Cledonio (PG 37, 181).
7.S. Atanasio, Contra Arianos, II, 69 e I, 70.
8.I. Kant, Critica della ragion pratica, capp. III, VI
9.S. Atanasio, Contra Arianos I, 17-18 (PG 26, 48).
10.S. Agostino, Commento ai Salmi, 120, 6 (CCL 40, p. 1791).
11.S. Agostino, Commento al Vangelo di Giovanni, 26,2 (PL 35,1607).
12.Masterbee, Mendicante di luce. Dal Tibet al Gange e oltre, San Paolo, Cinisello B. 2006, pp. 223 ss.
13. Paul Claudel, Le pรจre humiliรฉ, atto I, sc. 3 (Paul Claudel, Le thรฉatre, Paris Gallimard 1956, p.506).
