10 febbraio 2016 – Mercoledì delle Ceneri

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Il seguente testo è quello che si trova nel sito del Sussidio alla Quaresima 2016 della CEI.

Ceneri

Liturgia

Tu ami tutte le creature, Signore,
e nulla disprezzi di ciò che hai creato;
tu dimentichi i peccati di quanti si convertono e li perdoni,
perché tu sei il Signore nostro Dio.
Antifona d’ingresso (Sap 11, 24-25.27)

 
Papa Francesco nel suo Messaggio per la Quaresima 2016 invita la Chiesa ad iniziare con il mercoledì delle ceneri un tempo di liberazione:
 
Per tutti, la Quaresima di questo Anno Giubilare è dunque un tempo favorevole per poter finalmente uscire dalla propria alienazione esistenziale grazie all’ascolto della Parola e alle opere di misericordia
 
Con le concrete opere di misericordia corporale, noi tocchiamo “la carne di Cristo nei fratelli”; ancor di più, tocchiamo l’umanità peccatrice che è in noi tramite le opere di misericordia spirituale (consigliare, insegnare, perdonare, ammonire, pregare). Questo permette a noi di ridurre “quell’eterno abisso di solitudine che è l’inferno”. Quaranta giorni effettivi – escludendo dal conto le domeniche –  di sobrietà nel cibo, preghiera ed elemosina si aprono con questa liturgia semplice ed insieme impressionante. Prendendo la posizione dei catecumeni e dei penitenti, la Chiesa tutta si prepara a rinnovare “la prima Pasqua nel Battesimo” (Messale, rito per l’aspersione domenicale dell’acqua benedetta).
 
[ads2]Le ceneri
Il simbolo delle ceneri è un sacramentale antico che la Chiesa ha adottato da ritualità penitenziali diffuse, più volte citate anche nella Scrittura. Esso comporta il riconoscimento della propria fragilità e mortalità, bisognosa della misericordia di Dio (Ricordati che sei polvere e polvere ritornerai), e la disponibilità ad assumere un cuore penitente (Convertitevi e credete al Vangelo). Sarebbe proficuo introdurre ed usare entrambe le formule citate per l’imposizione delle ceneri stesse. Queste sono tratte dalla combustione dei rami di ulivo dell’anno precedente, uso che ne ricorda il legame tutto pasquale.
 
L’imposizione è prevista solo per questo giorno – e mai nel contesto della messa domenicale – al posto dell’atto penitenziale: la celebrazione dell’Eucaristia o della liturgia della Parola, dopo il saluto liturgico e la monizione, prevede subito l’orazione di Colletta propria. Conclusa la preghiera dei fedeli, il ministro cosparge se stesso in silenzio se è solo, o si lascia cospargere dal concelebrante, quindi procede con l’imposizione a tutta l’assemblea. Si ricorda che il gesto è di “imposizione sul capo”, dunque deve essere in un certo modo visibile e percepibile, non esagerato ma neppure impercettibile. Perché il rito possa emergere nella sua profondità non si aggiungano altri gesti o sottolineature.
La celebrazione può essere ripetuta più volte durante il giorno, anche in oratori o luoghi di culto diversi per la miglior partecipazione dei credenti impegnati nel lavoro.

Lo spazio liturgico e le parole
Il linguaggio del contesto liturgico permette di comunicare senza aggiunge verbali al rituale già ricco di questo giorno. Siano valorizzati la croce, l’ambone, l’altare. Si potrebbe rendere evidente il legame delle ceneri con i rami di ulivo da cui sono state tratte, con una citazione nella decorazione.
Si abbia cura di comporre prima le brevi monizioni, da offrire prima del canto d’inizio o dopo il saluto liturgico o, ancora, prima del segno delle ceneri.
 
prima del canto d’inizio o dopo il saluto liturgico
Iniziamo con questo giorno la Quaresima, un tempo favorevole di purificazione e ricerca. Come il Gesù nel deserto, il popolo liberato dal Faraone ed Elia verso il monte di Dio, così anche la Chiesa intraprende questo percorso di digiuno, preghiera e carità. Oggi non è proposto il consueto atto penitenziale, sostituito dall’antico rito delle Ceneri.
Si omette l’atto penitenziale, perché è sostituito dal rito di imposizione delle ceneri.
 
Prima del rito delle ceneri
Imporre la cenere è un antico segno di speranza ed impegno. Ricordati che sei polvere e polvere ritornerai, diremo: l’umano è fragile. Convertitevi e credete al Vangelo, questa nostra povertà è però amata e sollecitata con misericordia dal Signore.
 
Tra gli avvisi, sobriamente offerti dopo la preghiera post communio, si potrebbe richiamare l’opportunità di preparare e celebrare il sacramento della Riconciliazione, in particolare nel tempo del Giubileo. Si suggerisce in merito la convenienza di lasciare a disposizione o divulgare buone schede catechistiche che ne richiamino il valore. Ci si può ispirare al Catechismo della Chiesa Cattolica nn. 1440-1498 o ai sussidi offerti per il Giubileo.
Si può adottare la benedizione solenne per la Quaresima (Messale romano p. 431).

Parola di Dio

Gl 2,12-18: “Ritornate a me con tutto il cuore”: il profeta indica al popolo di Dio che non è possibile una conversione parziale, tattica, temporanea, stimolata unicamente dal fallimento; a Dio che ama con amore infinito si può rispondere solo con tutto il cuore.
Sal 50: “Pietà di me, o Dio, secondo la tua misericordia”.
2 Cor 5,206,2: “Ecco il momento favorevole”: la Quaresima che si apre davanti è una occasione unica, così come l’anno giubilare che stiamo vivendo.
Mt 6,1-6.16-18: “State attenti a non praticare la vostra giustizia davanti agli uomini”. Gesù apre la visione ad una “giustizia più grande”: la giustizia che non si limita al minimo, che si identifica con la misericordia inesauribile di Dio.

In breve
Misericordia non è tacere per compiacenza o indifferenza. La misericordia di Gesù si manifesta anche con l’avvertimento, il rimprovero, l’invito ad entrare con tutto il cuore nella “giustizia” del Regno: essa non si accontenta del minimo indispensabile, ma si modella sulla stessa carità del Padre. Una simile conversione necessita di tempi lunghi e pazienti: il tempo favorevole della Quaresima. Il primo passo è far spazio a Dio nel nostro cuore, distogliendo il nostro sguardo interiore dalla ricerca incessante dell’applauso degli altri, per volgerlo interamente a Lui. Una volta che i nostri occhi siano liberi per lasciarsi fissare dallo sguardo paterno di Dio, il rinnovamento può avere inizio.

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Commento
La misericordia nel rimprovero?
Consideriamo innanzitutto il modo con cui Gesù si fa incontro a noi nella proclamazione del vangelo. Le sue parole sono esortazione, comando, avvertimento. Non agite per farvi vedere, non imitate gli ipocriti, non moltiplicate parole. Necessariamente le sue parole sono anche denuncia: con tagliente ironia viene delineata la recita delle buone opere e la messa in scena del farsi vedere, incapace di toccare il cuore di chi si mette sul palco, incapace di compiere il vero bene dei fratelli, impossibilitata a raggiungere autenticamente la relazione con Dio. Esortazione e denuncia severa: non sono le nozioni che abitualmente associamo alla misericordia divina, o alla benevolenza umana. Come sempre, la chiamata di Gesù sorprende, spiazza, inquieta.

Oltre la condiscendenza ipocrita
Ragionevolezza e bon-ton mediatico, così come il parlare politicamente corretto, inclinano a vedere nella misericordia una sorta di indifferente condiscendenza. La sacralità della libertà, così come sembra essere concepita nella nostra cultura, è tale che non è possibile in nessun modo esprimere un apprezzamento sulla condotta altrui. Solo alcuni professionisti, ben pagati, i guru o sacerdoti della comunicazione, i rappresentanti politici, possono permettersi, negli spazi dedicati, di trasmettere norme di comportamento, e provare a instillarle negli altri. Si riproduce in tal modo quello che nel tempo antico era il potere assoluto dell’imperatore, dei capi, dei re, dei sacerdoti, e in tempi più moderni l’assolutismo e il totalitarismo; solo che sta sotto la bandiera inviolabile della libertà.

Il dono dell’avvertimento
Gesù ci vuol bene, quindi ha la forza di rimproverare. Gesù ha compassione di noi, quindi ci avverte se cadiamo nel pericolo. Gesù ama anche gli ipocriti: per questo li avverte della loro condotta falsa, invitando tutti a non imitarli. Misericordia non significa indifferenza, ma chiamare a conversione, e aprire la via del ritorno.

L’inquinamento nascosto
L’ipocrisia, cioè la pietà recitata, che Gesù denuncia non equivale semplicemente a una religiosità “urlata” e di “cattivo gusto”, come nel caso di chi suona la tromba (metaforicamente) prima di fare l’elemosina e di chi enfatizza in modo teatrale il proprio atteggiamento penitenziale. Il secondo paragone impiegato da Gesù è infatti assai meno eclatante: pregare in piedi era la postura normale, e farlo pubblicamente, in sinagoga o all’aperto, non era un’azione particolarmente notevole. Cosa c’è dunque di ipocrita? Il fatto che tale preghiera, seppur normale e per nulla sensazionale, venga fatta non per lo scopo che le è proprio – mettersi in relazione con Dio – ma unicamente perché per apparire devoti agli occhi degli altri. Questo significa che è possibile vivere una fede “ipocrita” anche in situazioni ordinarie o in uffici ed incarichi svolti in modo serio, dignitoso, nient’affatto sopra le righe. Qui siamo infatti al centro del Discorso della Montagna – la magna charta del discepolato – e quello che conta è il cuore: la nostra integrità e autenticità.

Un tipo particolare di conversione
All’inizio della Quaresima la conversione annunciata dal Vangelo non è principalmente il ritorno a Dio da una situazione di male. Sia la predicazione del profeta Gioele, sia l’esortazione di Paolo si rivolgono a un popolo che può illudersi di vivere nell’alleanza di Dio, a una comunità che, almeno esteriormente, segue l’insegnamento apostolico. Non c’è un “male” evidente da togliere, ma un cuore che non pulsa, un fuoco raffreddato, una “giustizia più alta” che attende di essere ricercata e desiderata.

Interiorità o comunità?
Potremo rilevare un’apparente tensione tra i brani di Gioele e Paolo, e il brano evangelico. Il profeta invita  a suonare la tromba, fare pianti e lamenti, lasciare la propria camera e uscire all’aperto; Paolo si rivolge in blocco a tutta la comunità; nelle parole di Gesù invece suonare la tromba e ostentare atteggiamenti esteriori di penitenza è precisamente ciò che viene messo in discussione: si è invece invitati a chiudersi in camera per pregare il Padre “che vede nel segreto” (Mt 6,6). L’impressione di un netto contrasto è però approssimativa e ingannevole.
L’enfasi matteana sull’importanza decisiva della dimensione interiore non è affatto assente dal passo di Gioele: “ritornate a me con tutto il cuore … laceratevi il cuore e non le vesti” (Gl 2,12-13). In secondo luogo, un conto è suonare lo shofar (il corno rituale delle cerimonie nell’antico Israele) come segno di una chiamata nazionale alla penitenza, tutt’altro conto strombazzarlo (d’altronde solo metaforicamente) allorché ci si appresta a compiere un’elemosina individuale!

Nel segreto, ma alla luce
La prospettiva personale e profonda del brano evangelico è il necessario completamento della proposta comunitaria del profeta e dell’apostolo. La pericope matteana mette a fuoco l’imprescindibile livello individuale e intimo del discepolato, in assenza del quale la vita comunitaria collasserebbe su se stessa; l’interesse di Gioele, pur senza trascurare l’aspetto di partecipazione individuale, è diretto propriamente
Matteo non pensa affatto che i cristiani debbano essere invisibili!  Al contrario: all’inizio del Discorso della Montagna viene messo bene in chiaro quale sia l’identità e il ruolo della comunità dei discepoli di Gesù: “Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città che sta sopra un monte, né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli” (Mt 5,14-16).
Anche i cristiani, sia, soprattutto, in quanto comunità, sia come singoli,  devono agire visibilmente davanti agli uomini, in modo da essere da loro notati, non per essere glorificati in proprio, come desiderano gli ipocriti, ma per dare la possibilità a tutti gli uomini di convertirsi e rendere essi stessi gloria a Dio! Il discepolato cristiano si dispiega in questa dialettica tra luce e segreto.
Non sempre è possibile e nemmeno desiderabile chiudersi nell’invisibilità di una stanza riservata e segreta. Quale centro del Discorso della Montagna, Mt 6,1-18 non vuole offrire tanto una regola per il culto da osservare alla lettera, quanto piuttosto indicare lo spirito che deve animare la vita del discepolo in ogni circostanza: volgere il proprio sguardo via dal mondo per indirizzarlo con fiducia al Padre celeste (Mt 6,9-13) – in una camera come su un monte.

Catechesi

Il tempo quaresimale si introduce con un forte invito della Parola di Dio, proclamata nella liturgia eucaristica, ad intraprendere un cammino di verità nella vita, che domanda una nuova disponibilità ad essere raggiunti da un annuncio, per permettere alla luce dello Spirito di svelare i sentieri interrotti del nostro cuore, oltre ai passi di vita nuova che ciascuno può compiere, sorretto dalla grazia di Dio che precede e accompagna.
L’appello del testo di Gioele a “ritornare al Signore con tutto il cuore” è così un invito accorato a ritrovare un nuovo centro dell’esistenza, attorno al quale ricostruire le relazioni fondamentali che compongono la vita e l’autenticità dei gesti che la caratterizzano. Non si tratta di un’impresa “pelagiana”, radicata unicamente nella forza di una volontà solo umana. È lo Spirito di Dio, al contrario, che accompagna la vicenda personale di ogni uomo ed è nella docilità alla sua azione che risiede il segreto per ogni cammino di conversione o di rinnovamento dell’esistenza. “Lo Spirito Santo […] ci decentra dal nostro io, aprendoci all’amore di Dio e agli orizzonti universali del suo Regno. Egli porta a compimento l’opera di Cristo compiendo ogni santificazione: è nella sua potenza che si realizza l’Eucaristia, ma è nella sua potenza che si realizza anche la Chiesa” (Traccia CEN).
Accogliere l’azione dello Spirito comporta fare i conti con uno sguardo nuovo su stessi, sugli altri, sull’Altro, uno sguardo non più ossessionato dalla ricerca dell’apparenza o guidato da criteri di riconoscimento sociale, ma catturato e profondamente pervaso dalla certezza che la vita di ciascuno è dall’Altro ed è per gli altri. L’elemosina, la preghiera e il digiuno, che il Vangelo odierno considera quali pratiche attraverso le quali realizzare la giustizia nuova del Regno, rappresentano un’opportunità preziosa perché ogni credente possa attraversare il tempo quaresimale e poi tutta l’esistenza, esercitandosi a dare corpo a gesti e parole, ad uno stile insomma, che, se ha caratterizzato l’esistenza di Gesù, il Signore risorto, nondimeno dovrà contraddistinguere quella dei suoi discepoli di ogni tempo.
La Quaresima ci riporta, in tal senso, alla natura operosa della vita cristiana, nella quale il Vangelo assume il volto e la forma che l’esistenza credente riesce a dargli. Proprio a questo ci richiama Papa Francesco quando ricorda che “la nostra fede si traduce in atti concreti e quotidiani, destinati ad aiutare il nostro prossimo nel corpo e nello spirito e sui quali saremo giudicati: nutrirlo, visitarlo, confortarlo, educarlo” (Messaggio Quaresima 2016).

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