Prolusione del cardinale presidente Angelo Bagnasco al Consiglio permanente della Cei Firenze, 30 settembre-2 ottobre 2015

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Cari Confratelli,
sono rientrato ieri da Filadelfia, dove ho preso parte – anche a nome vostro – all’VIII Incontro mondiale delle Famiglie, culminato con la parte conclusiva del viaggio di Papa Francesco a Cuba e negli Stati Uniti: un viaggio che può essere raccontato con la profondità dei discorsi offerti dal Santo Padre nelle più alte sedi, ma – e più ancora – con la verità dei suoi gesti, la sua disponibilità e attenzione per la gente di tutti i giorni. Personalmente, sono rimasto molto colpito da quanto ha detto a noi Vescovi domenica scorsa. Ci ha ricordato che “vivere lo spirito di gioiosa familiarità con Dio, diffonderne l’emozionante fecondità evangelica, è il tratto fondamentale dello stile del Vescovo”. Ci ha esortati a “mostrare che il Vangelo della famiglia è davvero buona notizia in un mondo dove l’attenzione verso sé stessi sembra regnare sovrana”. E ci ha richiamati ad accettare, a nostra volta, “umilmente l’apprendistato cristiano delle virtù familiari del popolo di Dio” per “assomigliare sempre di più a padri e madri”. Al riguardo, sono state veramente significative le testimonianze offerte durante la Veglia di preghiera: hanno raccontato come, con l’aiuto della grazia, sia possibile e affascinante vivere la vocazione della famiglia anche nelle situazioni più difficili.

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[ads2]Quelli del Santo Padre sono testi che ci impegniamo a riprendere in mano e che, nel frattempo, ci spingono ora a riprendere con gioia i lavori del Consiglio Permanente, dopo i mesi estivi nei quali l’impegno pastorale è continuato, oltre che nella vita ordinaria delle Parrocchie, anche nei gruppi e campi estivi. Grazie ai nostri Sacerdoti, Religiosi e Religiose, e a tanti educatori, migliaia di ragazzi, giovani, famiglie, si sono ritrovati per esperienze di preghiera, vita fraterna, servizio, ossigenando le arterie pulsanti della fede e gustando la vita buona del Vangelo.

Ora ci troviamo di fronte ad un nuovo anno pastorale, un anno ricco di grazie e di responsabilità: il Sinodo Ordinario che si apre domenica prossima, preceduto dalla “nostra” Veglia delle famiglie in preghiera con il Papa; il Giubileo straordinario della Misericordia, che apriremo l’8 dicembre; l’Assemblea generale del prossimo maggio sulla vita e la formazione permanente del Clero, quindi la Giornata Mondiale della Gioventù a Cracovia in luglio e, in settembre, il Congresso Eucaristico Nazionale a Genova.

Siamo qui a Firenze – città d’arte e di storia, di fede e di carità – non a caso: siamo venuti per sottolineare l’importanza che ha per la Chiesa che è in Italia il Convegno Ecclesiale di metà decennio. È una tradizione che continuiamo non tanto per consuetudine, ma convinti della opportunità di fare il punto sui primi cinque anni del decennio, che abbiamo dedicato alla responsabilità e alla missione educativa. In particolare, se nella prima parte abbiamo voluto guardare in modo prevalente all’interno delle comunità cristiane, nella seconda intendiamo intensificare alleanze rispettose e collaborative con la società civile. Ringraziamo il Pastore di questa Chiesa, Cardinale Giuseppe Betori, per la fraterna accoglienza e per il grande lavoro che, insieme al Comitato preparatorio del Convegno presieduto da S.E. Mons. Cesare Nosiglia, ha seguito. Ai Presidenti delle Commissioni Episcopali, che rinnovano il nostro Consiglio, giunga il benvenuto più cordiale.

1. Il Giubileo della misericordia: il grande orizzonte
Ci prepariamo a entrare in un tempo di grazia: l’Anno giubilare, che coinvolgerà anzitutto la Chiesa, ma che sarà un segno forte per tutta la società. Nella Bolla di indizione, Papa Francesco ne rivela il significato profondo: «tenere fisso lo sguardo sulla misericordia, per diventare noi stessi segno efficace dell’agire del Padre». Il nostro è un momento – secondo la lettura offertaci dal Santo Padre – nel quale ciò è particolarmente urgente.

Il nostro mondo rimane spesso avvinto dentro logiche individualistiche e fatica a scrollarsi quell’egoismo che, se apparentemente rende più forti, in realtà riveste di vulnerabilità ogni iniziativa, segnata da scarsa progettualità, dal perseguimento di interessi di parte, dall’oblio delle generazioni future e della sostenibilità del sistema. Questa, quindi, è la medicina prescritta dal Santo Padre: fermarsi a contemplare la misericordia che è stata usata verso di noi, e della quale sempre abbiamo bisogno, per non diventare insensati e illudersi che tutto ci appartenga, chiudendoci nell’indifferenza di un mondo sempre meno solidale. L’esperienza di essere continuamente rinnovati dal perdono ci spinge a usare a nostra volta misericordia verso chi ha sbagliato e verso chi è in difficoltà. Una comunità che giudica ed esclude non ha futuro, ma si condanna alla divisione sociale che non giova ad alcuno. Tanto più che – come diceva domenica scorsa il Papa incontrando un gruppo di carcerati – “tutti abbiamo bisogno di essere purificati, di essere lavati” per “andare a tavola”, “una tavola dalla quale il Signore vuole che nessuno rimanga fuori” .

Ecco allora il grande orizzonte che ci è posto davanti: ricostruire la nostra società alla luce della misericordia, rivedendo le logiche che la reggono. Si tratta di ri-progettare, ri-fondare e ri-costruire un tessuto più umano, fondato sulla fiducia e sulla comprensione. Ciò non significa abdicare alla giustizia, ma renderla più giusta e umana. In questo processo di rinnovamento e di autentica rinascita, la Chiesa sente di avere un fondamentale ruolo di testimonianza e di richiamo ai valori del rispetto vicendevole e della promozione umana. È una missione nella quale Papa Francesco apre la cordata e ci trascina con il suo esempio e la sua inesauribile carica interiore, con il suo desiderio di incontrare tutti e di annunciare a tutti – nessuno escluso – che Dio ci ama e ci accompagna, e per questo un mondo migliore è veramente possibile.

2. Parlare dell’uomo all’uomo contemporaneo
Il fenomeno migratorio non è l’unico segno del cambiamento epocale in atto. Il Santo Padre, nella recente Enciclica, ha sottolineato che “non c’è ecologia senza un’adeguata antropologia”, affermando così la radicalità della questione antropologica: questa, a seconda dei contenuti, ispira una civiltà umana o antiumana. E aggiunge con chiarezza che “l’antropocentrismo moderno, paradossalmente, ha finito per collocare la ragione tecnica al di sopra della realtà”.

Proprio questo vuol essere il centro del Convegno Ecclesiale di novembre: le parole del Papa non solo confermano, ma illuminano la nostra riflessione e incoraggiano la strada del decennio sul tema educativo. Educare, infatti, richiede un fulcro da cui partire e a cui tornare, richiede cioè una visione antropologica vera e completa, aperta alla trascendenza, alla relazione e alla unitarietà della persona. La crisi antropologica sta all’interno di quella che il Papa chiama “cultura del relativismo”: “Questa è la stessa patologia che spinge una persona ad approfittare di un’altra e a trattarla come un mero oggetto, obbligandola a lavori forzati o riducendola in schiavitù” . La distorsione antropologica porta a uno squilibrio sempre più vasto nelle relazioni con gli altri, con l’ambiente e con il mondo, con la vita. E, innanzitutto, con se stessi, giungendo a quella cultura dell’ “usa e getta” che porta a scartare tutto ciò che non rientra nei propri scopi: “Se l’essere umano si dichiara autonomo dalla realtà e si costituisce dominatore assoluto, la stessa base della sua esistenza si sgretola” , e così la stessa vita sociale, ritenendosi ciascuno in diritto di decidere qualunque cosa a prescindere. Quando la cultura si corrompe, non si riconosce più alcuna verità oggettiva né principi universalmente validi.

È significativo che i Presidenti delle Conferenze Episcopali d’Europa abbiano affermato la centralità e l’urgenza della questione antropologica, rispetto alle derive che si moltiplicano e dilagano nei rispettivi Paesi. Tutti si sono chiesti come poter operare affinché il rinnovato annuncio del Signore Gesù possa toccare i cuori e illuminare le menti, per non essere omologati dalla dittatura del pensiero unico di cui spesso parla il Santo Padre. In questa prospettiva, non pochi di loro guardano con interesse al nostro prossimo Convegno nazionale, dove, al di là di analisi già note, come Chiesa italiana ci impegniamo a individuare strade da percorrere e obiettivi da perseguire.

3. Un esodo di disperazione
A metà settembre si è riunita la Plenaria del Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee (CCEE) in Terra Santa, in segno di solidale vicinanza ai Pastori, alle comunità cristiane e alle popolazioni di quel martoriato territorio, dove il Figlio di Dio si è incarnato e ci ha redenti. Abbiamo vissuto toccanti momenti di preghiera, di ampio scambio tra gli Episcopati del nostro Continente, e di ascolto delle molteplici realtà locali. Il Consiglio, inoltre, ha prestato attento ascolto alla disperazione incarnata da migranti, profughi e rifugiati: “Non dobbiamo lasciarci spaventare dal loro numero – avvertiva il Papa intervenendo al Congresso degli Stati Uniti – ma piuttosto vederle come persone, guardando i loro volti e ascoltando le loro storie, tentando di rispondere meglio che possiamo alle loro situazioni. Rispondere in un modo che sia sempre umano, giusto e fraterno”.

“La complessità di questo esodo, con le sue inevitabili differenziazioni – abbiamo evidenziato a nostra volta nel Messaggio finale – richiede da parte dei singoli Stati, le cui situazioni sono radicalmente diverse, molta attenzione al fine di rispondere tempestivamente alle necessità di aiuto immediato e di accoglienza (…). Gli Stati devono mantenere l’ordine pubblico, garantire la giustizia per tutti e offrire una generosa disponibilità per chi ha veramente bisogno, nella prospettiva di una integrazione rispettosa e collaborativa” . Nello stesso tempo, è stato riconosciuto il “grande impegno delle Chiese che, seguendo le indicazioni del Santo Padre Francesco, collaborano con gli Stati i quali restano i primi responsabili della vita sociale ed economica dei loro popoli”.

Poiché il fenomeno costituisce una svolta storica, anche l’Onu è chiamato in causa: all’Assise, che rappresenta al massimo livello le Nazioni della Terra, si è fatto riferimento auspicando che “prenda in deciso esame la situazione e giunga ad efficaci soluzioni non solo rispetto alla prima accoglienza, ma anche ai Paesi di provenienza dei migranti, adottando misure adeguate per fermare la violenza e costruire la pace e lo sviluppo di tutti i popoli”. In sostanza, di fronte a persone che per fuggire alla disperazione rischiano la vita, non si può né stare a guardare con fastidio – come l’Europa ha fatto per anni – né fare i sofisti. La coscienza umana esige di intervenire: è quanto ha fatto l’Italia fin dalla prima ora, e continua con impegno, generosità, al meglio del possibile. Nessuno può dar lezione o muovere rimproveri: in prima linea sulle coste l’Italia c’era, a differenza di altri. Ora l’onda di piena si allarga poiché, come ho detto in altre sedi, il Sud del mondo si è messo in marcia e non è disposto a fermarsi. Sembra essere giunta l’ora della concertazione: vogliamo sperare che tale processo non si fermi e sia nel segno di una gratuità senza calcoli. Così come speriamo che – senza bisogno di barriere – si progetti un futuro sicuro, produttivo e sereno per tutti, per chi ospita come per chi arriva.

Il fenomeno richiede di intervenire su un triplice fronte: l’oggi, il domani e i Paesi di provenienza. A chi ha fame bisogna, innanzitutto, dar da mangiare con urgenti interventi. Le comunità cristiane lo sanno e operano con trasparenza, lontane da qualunque basso interesse, seguendo le normative delle Prefetture. Del resto, da ben prima dell’onda migratoria, sono impegnate sulla frontiera della povertà nostrana che non sembra avere termine. Il secondo fronte è quello di un futuro di dignità, poiché non si può vivere perennemente da assistiti: ciò richiede condivisione della stessa lingua, lavoro e casa. Infine, la Comunità internazionale deve concretamente intervenire favorendo lo sviluppo dei Paesi di provenienza, perché nessuno sia costretto a fuggire da guerra, persecuzione e miseria. Tale impegno necessita di risorse ingenti, tempi lunghi e volontà politiche certe. La sfida è grande, ma ineludibile: chi credesse di porvi rimedio attraverso improbabili scorciatoie, sbaglierebbe sul piano etico e sarebbe miope su quello politico.

Vogliamo rinnovare il nostro grazie al Santo Padre per il recente invito ad accogliere una famiglia di immigrati in ogni Parrocchia, comunità religiosa, santuario, monastero d’Europa. Lo ringraziamo perché, anche nelle situazioni più complesse, Egli ci indica la via del Vangelo. Vogliamo essere in prima fila nel rispondere a questo pressante appello. Già lo siamo con la generosa collaborazione con le Amministrazioni locali; in questi giorni cercheremo le vie più sicure e praticabili per corrispondere all’appello del Papa, facendo anche una mappa dei migranti che già sono ospitati nelle strutture ecclesiali o sono accompagnati dai nostri volontari in enti non diocesani. E – nella responsabilità dei singoli Vescovi – prenderemo in attento esame le norme civili, alle quali attenerci in vista di una accoglienza più capillare.

4. Le persecuzioni
Parlando dell’onda migratoria, abbiamo accennato anche alla fuga da sanguinarie persecuzioni di ordine religioso o etnico. La maggior parte colpiscono i cristiani, come ha denunciato Papa Francesco nel suo intervento alle Nazioni Unite: “I cristiani, insieme ad altri gruppi culturali o etnici e anche con quella parte dei membri della religione maggioritaria che non vuole lasciarsi coinvolgere dall’odio e dalla pazzia, sono stati obbligati ad essere testimoni della distruzione dei loro luoghi di culto, del loro patrimonio culturale e religioso, delle loro case ed averi e sono stati posti nell’alternativa di fuggire o di pagare l’adesione al bene e alla pace con la loro stessa vita o con la schiavitù”.

La mattanza continua, programmata e feroce sia in Terra Santa che in altri Paesi del Medio Oriente e del Continente africano: sembra che qualcuno abbia deciso di sradicare i cristiani per bonificare il territorio! Colpevoli di che cosa? Forse di portare il sigillo di Cristo? Forse di essere operatori di pace e di bene senza colori, come si vede nelle mille istituzioni e opere di bontà che anche noi – Vescovi italiani – colà sosteniamo? Perché, domandiamo al mondo occidentale, perché non alza la voce su tanta ferocia e ingiustizia? E, allargando la domanda, chi procura armi per alimentare i molti conflitti? Chi compera petrolio da chi taglia le gole o affama o violenta senza pietà? Chi vuole la destabilizzazione sistematica di intere aree servendosi di ogni pretesto, religioso, politico, culturale? Chi soffia sul fuoco della confusione, della paura, del fanatismo, dell’ignoranza, e manipola gruppi, etnie, popoli? Chi sono i grandi burattinai che – dietro la maschera del perbenismo – decidono le sorti dei poveri e dei deboli con il criterio di incrementare il proprio lucro e il proprio potere? Questi due idoli non hanno colore e trovano facili alleanze! Ma ricordiamo: la disperazione umana ha una soglia di limite, che – una volta raggiunta – nessuno potrà fermare.

5. La famiglia
“La famiglia, per la Chiesa, non è prima di tutto un motivo di preoccupazione, ma la felice conferma della benedizione di Dio al capolavoro della creazione – ha sottolineato domenica scorsa Papa Francesco – per cui la stima e la gratitudine devono prevalere sul lamento, nonostante tutti gli ostacoli che abbiamo di fronte”.

Riuniti attorno al Papa, da domenica prossima la famiglia – papà, mamma, figli – sarà il fulcro della riflessione dei Padri: una considerazione a tutto campo, ancorata alla fede cattolica, attenta al popolo di Dio e alle dinamiche di questo tempo, e insieme libera dalle logiche del mondo.

Anche il Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee ne ha parlato con grande attenzione: “La Chiesa crede nella famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna: essa è la cellula basilare della società umana e della stessa comunità cristiana. Non si vede perché realtà diverse di convivenza debbano essere trattate nello stesso modo. Particolare preoccupazione desta il tentativo di applicare la ‘teoria del gender’: è un progetto del pensiero unico che tende a colonizzare anche l’Europa, e di cui spesso ha parlato Papa Francesco”.

Il Santo Padre, parlando dell’ecologia umana, fa sue le parole di Benedetto XVI –“Anche l’uomo possiede una natura che deve rispettare e che non può manipolare a piacere” – e le commenta dicendo che “anche apprezzare il proprio corpo nella sua femminilità o mascolinità è necessario per poter riconoscere se stessi nell’incontro con l’altro diverso da sé (…). Pertanto non è sano un atteggiamento che pretenda di cancellare la differenza sessuale perché non sa più confrontarsi con essa” . Le parole più sacre della vita e della storia umana – come persona e libertà, amore e famiglia, vita e morte, sessualità e generazione – sono sottoposte da decenni a forti pressioni culturali. Così che ciò che fino a ieri era impensabile oggi diventa plausibile e addirittura oggetto di legislazione. In diversi Paesi europei, perfino certe aberrazioni come la pedofilia, l’incesto, l’infanticidio, il suicidio assistito sono motivo di discussioni e di interrogativi non astratti.

È risaputo che tutto ciò non è casuale: attraverso alcune tecniche di persuasione delle masse – la più nota è la cosiddetta “finestra di Overton”, una finestra mentale che si allarga sempre di più attraverso sei fasi precise – si riesce a far accettare l’introduzione e la successiva legalizzazione di qualsiasi idea o fatto sociale, fosse anche la pratica che, al momento, l’opinione pubblica ritiene maggiormente inaccettabile. Uno di questi passaggi è quello che potremmo chiamare la “cultura degli eufemismi”: consiste nel chiamare le cose peggiori con nomi meno brutali e respingenti per la sensibilità generale.

In questa prospettiva, l’educazione delle giovani generazioni deve nascere in famiglia ed essere in ogni modo custodita e vigilata dai genitori nelle istituzioni e in particolare nella scuole. Come prevede il Ministero, infatti, “le famiglie hanno il diritto, ma anche il dovere, di conoscere prima dell’iscrizione dei propri figli a scuola i contenuti del Piano dell’offerta formativa (POF)”. Quindi le scuole sono chiamate ad “assumere le iniziative utili per assicurare da parte delle famiglie una conoscenza effettiva e dettagliata del POF”; la stessa “partecipazione a tutte le attività extracurriculari, anch’esse inserite nel POF, prevede la richiesta del consenso dei genitori per gli studenti”.

Le pressioni europee sono sempre più pesanti e insistenti anche in materie che non competono all’Unione, come il diritto di famiglia e – più ampiamente – i valori morali e spirituali che hanno formato la coscienza e la storia delle singole Nazioni. Anche a tale proposito sono illuminanti le parole del Papa: “La visione consumistica dell’essere umano, favorita dagli ingranaggi dell’attuale economia globalizzata, tende a rendere omogenee le culture e a indebolire l’immensa varietà culturale, che è un tesoro dell’umanità”. Veramente tra i luoghi deteriorati dall’individualismo, laddove sono custodite le fondamenta dell’umanità, c’è la famiglia, ancor prima che il sociale e il politico: “Una società cresce forte, cresce buona, cresce bella e cresce sana se si edifica sulla base della famiglia”. Rispetto a tali problemi, a volte si sente parlare di “irrilevanza” dei cattolici nella società: la vera questione non è però essere rilevanti per il mondo, ma il rimanere fedeli a Cristo. L’esempio di tanti martiri del nostro tempo ce ne dà ampia testimonianza.

6. La missione educativa
Molti sono i fatti tristi di cronaca che ogni giorno invadono le nostre case: violenze, soppressione di vite umane, corruzione, un potere mafioso sempre più arrogante e sfidante, il malaffare, la vergogna del caporalato, la speculazione sui poveri, la prevaricazione verso chi non può difendersi, il bullismo fisico o cibernetico, il traffico di droghe sempre più sofisticate, il rifiuto del diverso, la piaga tollerata e “intoccabile” del gioco d’azzardo… Tale spettacolo non deve farci dimenticare il popolo degli onesti, popolo grande, maggioritario, che porta avanti non solo la propria esistenza con dignità, ma anche le proprie famiglie e la vita della Nazione. Senza questo popolo, nessuna legge o programmazione potrebbe avere risultati. A questa moltitudine rendiamo onore e vorremmo che sentisse la nostra vicinanza di Pastori e di cittadini, unita alla gratitudine e all’incoraggiamento a non cedere mai alla sfiducia e ai cattivi esempi.

Lo spettacolo a cui siamo sottoposti ogni giorno, dovrebbe però provocare tutto il Paese ad un serio esame di coscienza a partire da una verità molto semplice: si raccoglie ciò che si semina. Le buone leggi sono necessarie e doverose, devono mirare al bene comune, non all’interesse di pochi; ma non bastano senza un’intensa, costante, vera opera educativa. Se si semina l’idea che esistono solo diritti ma non anche doveri; se si afferma che ogni desiderio individuale deve essere riconosciuto da tutti e diventare legge; se chi è più forte e ha più voce vince sugli altri; se la fatica e il sacrificio, la fedeltà e il quotidiano vengono di fatto negati e sbeffeggiati come negazione dell’affermazione di sé e della propria felicità, allora si sta seminando vento: si raccoglierà tempesta!

Educare integralmente significa non solo puntare al meglio – spirituale e morale, sociale e lavorativo – ma anche riconoscere che il limite, la misura, la prova, l’impossibilità, l’insuccesso e la sofferenza, fanno parte della vita. E che accettarli non significa cedere a un atteggiamento rinunciatario, ma partire col piede giusto.

Ritorna la bellezza e preziosità della famiglia, cellula sorgiva di relazioni, il più efficace modello di società, dove si scopre che gli altri sono la condizione affinché si possa vivere liberi e felici. Ogni sfida, dunque, in ultima analisi arriva a questo snodo, quello educativo. Noi Vescovi non abbiamo particolari competenze in certi ambiti, ma in quello educativo riconosciamo la missione che il Signore ci ha affidato con assoluta chiarezza: essa è parte integrante della evangelizzazione, consapevoli che è in Gesù Cristo la possibilità di un umanesimo vero e pieno. E quindi di un vivere insieme autenticamente umano. Sappiamo che sono in causa i primi e insostituibili maestri dei figli, i genitori e le famiglie, a cui la Chiesa – esperta in umanità – continuerà ad affiancarsi con il suo patrimonio di sapienza educativa. Lo stesso riteniamo che sarà per la scuola italiana, grazie soprattutto a docenti competenti e dediti, ai quali rinnoviamo la nostra stima e incoraggiamento con l’auspicio che la loro missione sia sempre meglio riconosciuta da tutti.

Vorremmo dire una parola anche alla società intera, senza la quale l’opera educativa risulterà un insieme di voci discordi e di esempi contradditori. Incisive sono le parole di un grande educatore del secolo scorso, Romano Guardini: “Si può dire che il primo fattore è ciò che l’educatore è; il secondo ciò che l’educatore fa; solo il terzo, ciò che egli dice”.

7. Il Paese
Prima di concludere, come non far nostro l’appello che Papa Francesco ha rivolto ai governanti perché facciano “tutto il possibile affinché tutti possano disporre della base minima materiale e spirituale per rendere effettiva la loro dignità e per formare e mantenere una famiglia, che è la cellula primaria di qualsiasi sviluppo sociale”.

La gente chiede lavoro per tutti, a cominciare dai giovani che, senza, non possono fare un progetto di vita, e così per coloro che, più avanti negli anni, l’hanno perso pur avendo famiglia da mantenere e impegni da onorare. Gli esperti ripetono che i segnali positivi sono cominciati; nell’agone politico e mediatico, però, le informazioni e i dati forniti si rincorrono e non di rado si contraddicono. Ciò non giova a restituire fiducia. È soprattutto l’economia reale che deve fornire dati certi e concreti. Molti guardano al nostro Paese con interesse sia politico che economico: ma l’Italia non è né una “provincia” di qualche impero, né un “protettorato”, né un “laboratorio”. La globalizzazione non sia, quindi, l’occasione per allargare gli orizzonti industriali a scapito della proprietà e del patrimonio professionale dei lavoratori, patrimonio che è frutto di studio serio e di apprendimento sul campo, in un passaggio di esperienza, valori, partecipazione, che non ha confronti né prezzo.

Insieme al dato dell’occupazione – legato alla produzione e allo sviluppo – vi è un altro indicatore che, almeno nei Paesi occidentali, rivela lo stato di salute di una società: i figli. Quando un Paese assicura casa e lavoro sufficiente, e quando il suo quadro culturale e valoriale, la sua filosofia di vita è sana, allora nel cuore della gente nasce la fiducia e nuove vite germogliano benvenute, accolte come un dono per tutti. La natalità è la prova più evidente e sicura dello sviluppo e del futuro, almeno per i nostri Paesi. In questa direzione singoli, famiglie, istituzioni civili e religiose devono remare con lealtà e forza, senza distrazioni su problemi secondari.

Come Chiesa offriamo un leale contributo di speranza e di condivisione operosa alla gente, senza distinzioni. Non è inutile riaffermare anche che le strutture che sono riconducibili a realtà ecclesiastiche e che svolgono attività di natura commerciale, rispettano gli impegni a cui per legge sono tenute. Cerchiamo di rispondere in ogni modo ai bisogni crescenti delle persone – provate da un welfare sempre meno organico – mettendo in campo volontari, risorse e servizi. Ne sono un esempio i sei milioni di pasti assicurati ogni anno dalle nostre mense e i 15.000 servizi rivolti ai più indigenti, quali i senza dimora, i coniugi impoveriti dalla separazione, le vittime del disagio psichico e molti altri. In una cultura dello scarto e della fretta, dove tutto diventa anonimo, è importante che le persone si sentano accolte e ascoltate: in questa prospettiva, ai nostri centri di ascolto ogni giorno approdano almeno 500.000 solitudini, bisognose di uno sguardo, di un sorriso, di considerazione.

“Il mondo contemporaneo apparentemente connesso, sperimenta una crescente e consistente e continua frammentazione sociale che pone in pericolo «ogni fondamento della vita sociale» e pertanto «finisce col metterci l’uno contro l’altro per difendere i propri interessi»”, notava il Papa nel suo intervento all’Onu. Come Chiesa che vive in Italia non rinunciamo a confrontarci e impegnarci per “privilegiare azioni che possano generare nuovi dinamismi nella società e che portino frutto in importanti e positivi avvenimenti storici”.

A Santa Maria del Fiore affidiamo con fiducia i nostri lavori, il nostro confronto fraterno e la vita delle nostre Comunità cristiane.

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