Il libro di Ester, Prof don Dionisio Candido

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INTRODUZIONE AL LIBRO DI ESTER

Lectio di Est 1,1-2,20 di Dionisio Candido

Il lettore che oggi decide di leggere il libro di Ester nella Bibbia approvata dalla Conferenza episcopale italiana (CEI) nel 2008 si trova davanti a una situazione singolare: non c’è un solo libro di Ester, ma ce ne sono due. Inoltre, sono disposti l’uno sull’altro nella stessa pagina: in alto il testo greco e in basso il testo ebraico. Se il nostro lettore avesse invece dato un’occhiata alla precedente edizione della Bibbia CEI, avrebbe notato che il libro di Ester è uno solo. Cos’è successo nel frattempo? Cos’è cambiato? Ci sono stati nuovi ritrovamenti sensazionali? Il libro di Ester si è forse nel frattempo sdoppiato? Quanti sono davvero i “libri di Ester”: uno, due, di più? E se sono più di uno, oggi quale bisogna preferire nella lettura o nella preghiera? Si deve scegliere “un libro di Ester” in particolare? In realtà, per rispondere a queste e altre domande solo apparentemente oziose è necessario avere presente, almeno per sommi capi, la complessa situazione testuale di questo libro biblico. Bisogna cioè considerare con una certa attenzione il modo in cui il libro di Ester è stato scritto nell’antichità e poi trasmesso e letto dalle diverse comunità di fede nell’arco dei secoli che ci separano dalla sua stesura.

Libri biblici crescono

È noto come la Bibbia sia un libro variegato al suo interno e ricco di storia, elaborato nel corso dei secoli da mani abilissime istruite dallo Spirito Santo. In termini materiali, soprattutto a proposito dell’Antico Testamento, si può affermare che la Bibbia è “cresciuta” nel tempo: i suoi testi, trattati sempre con profondissimo rispetto, sono stati più volte rimaneggiati e riscritti. In questo modo, la trasmissione dei testi da uno scriba all’altro, da una comunità di fede all’altra, di generazione in generazione, ha consentito un arricchimento consapevole e continuo dei testi. Bisogna poi tenere in conto che i testi dell’Antico Testamento, prevalentemente scritti in ebraico (e aramaico), sono stati tradotti in greco dalla comunità ebraica di lingua greca in epoca ellenistica (a partire dal sec. III a.C.) e poi in latino dalla comunità cristiana durante il dominio romano (a partire dal sec. II d.C.). C’era quindi da attendersi che il passaggio da una lingua all’altra comportasse delle conseguenze: ogni lingua infatti possiede una sua specifica genialità concettuale.

Questa situazione che riguarda a diverso titolo tutti i libri dell’Antico Testamento, concerne in modo del tutto particolare il nostro libro di Ester. Gli specialisti di questo settore degli studi biblici – i critici testuali – si muovono tra i testi antichi della Bibbia come degli investigatori. Sono particolarmente attenti, tra l’altro, a due indizi: quello dell’attestazione materiale (quali manoscritti antichi contengono il libro biblico preso in esame) e quello della fruizione religiosa (quali comunità di fede hanno letto la Bibbia).

Per potersi almeno orientare in questo apparente ginepraio e per arrivare a capire come mai l’attuale Bibbia CEI presenta un libro di Ester con due testi (uno ebraico e uno greco), bisogna considerare le tre tradizioni testuali bibliche più significative: quella ebraica, quella greca e quella latina. Senza dimenticare che dietro questi testi ci sono comunità di fede, che hanno letto con devozione il libro biblico che stiamo prendendo in esame.

I testi ebraici del libro di Ester

All’interno della tradizione testuale ebraica il testo di riferimento per importanza del libro di Ester è quello che appartiene alla tradizione cosiddetta “masoretica”. Si tratta della tradizione scribale ebraica più autorevole: i suoi testi biblici sono molto antichi e sono stati poi controllati, vocalizzati e commentati dai masoreti, cioè dagli scribi ebrei che hanno lavorato sui testi biblici a partire dal sec. VI d.C. Materialmente, il testo ebraico di Ester della tradizione masoretica è contenuto in un famoso manoscritto risalente all’anno 1008/1009, chiamato dagli specialisti “B 19A”1 e più comunemente noto come Codex Leningradensis perché conservato presso la Biblioteca di Stato di San Pietroburgo. Questo testo ebraico di Ester è formato da 3044 parole, distribuite nell’arco di 167 versetti.

Se si considera il canone ebraico, cioè la lista dei libri che compongono la Bibbia ebraica (ovvero i libri in lingua ebraica del nostro Antico Testamento), dove si trova Ester? Il libro di Ester è collocato tra gli “Scritti”, la terza parte del canone ebraico dopo la Torah e i Profeti. Più precisamente, il libro di Ester fa parte di una particolare sezione degli Scritti: quella delle cosiddette Meghillot. Questo termine significa “rotoli”: indica cinque piccoli libri – Rt, Ct, Qo, Lam ed Est – che venivano letti in sinagoga in occasione di una festa dell’anno liturgico ebraico. Il libro di Ester risuonava in sinagoga durante la festa di Purim, la cui istituzione è raccontata proprio alla fine del libro (cf. Est 9).

Tra le singolarità di questo libro nel panorama di tutti i libri della Bibbia ebraica risalta il dato dell’assenza di Ester tra i manoscritti del Mar Morto. Questi manoscritti sono molto utili, perché forniscono una fotografia della situazione dei testi in un’epoca remota, quella che va dalla metà del sec. II a.C. al sec. I d.C. In questo modo, si può verificare con una certa sicurezza quali erano le forme antiche dei testi e se siano state conservate fedelmente dagli scribi nel corso dei secoli successivi. Nel caso del libro di Ester però questi importanti ritrovamenti non sembrano essere di alcun aiuto.

A dire il vero, lavorando sui testi di Qumran, alcuni studiosi hanno provato a mettere in luce alcune tracce che farebbero pensare il contrario. Sin dagli anni ’60 infatti si sono susseguiti vari studi minuziosi di noti critici testuali (J. Finkel, J.T. Milik, J. Starky, K. De Troyer), che hanno cercato di dimostrare come il libro di Ester fosse conosciuto a Qumran. Si è creduto di poter ravvisare persino alcuni testi che avrebbero fatto da prototipi alla narrazione del libro ebraico di Ester. Eppure, tutti gli studiosi si sono visti costretti ad ammettere più o meno esplicitamente che mancano delle prove chiare e inconfutabili: ci si deve quindi limitare a pensare semplicemente che alcuni testi qumranici abbiano in comune con il libro di Ester solo l’ambientazione della storia presso la corte persiana.

Sorge allora un’ulteriore domanda: perché il libro di Ester, che era ben conosciuto già nel periodo del Secondo Tempio (sec. VI a.C.  sec. I d.C.), non figura tra i manoscritti di Qumran? È difficile rispondere. Si può solo ipotizzare che, benché già conosciuto, nel sec. I d.C., non fosse stato ancora accolto in modo definitivo all’interno del canone ebraico, forse per alcune riserve di qualche setta ebraica influente a quel tempo.

Se si allarga un po’ lo sguardo, si nota come la tradizione testuale ebraica del libro di Ester non si limiti al solo testo biblico. L’epoca rabbinica (dal sec. I d.C. in avanti) infatti vede il fiorire di interessanti commenti biblici. La lingua non è più l’ebraico, ma l’aramaico. Nascono così i Targum: si tratta anzitutto di traduzioni in aramaico di un libro biblico ebraico; alla traduzione però si affianca sovente anche una spiegazione o un libero commento, a singoli versetti o a brani. Spesso i Targum sono utili all’interprete dell’Antico Testamento, perché aiutano a comprendere passaggi difficili o a percepire l’afflato dei rabbini più colti e acuti.

È questo il valore dei due Targum di Ester giunti sino a noi, conosciuti con i nomi di Targum Rishon (Primo Targum) e Targum Sheni (Secondo Targum). Il Targum Rishon2 è stato probabilmente redatto in Palestina tra il sec. VI e il sec. VIII d.C. Da una parte, offre una traduzione molto letterale dell’ebraico, dall’altra introduce alcune ampie aggiunte di natura esortativa. Anche il Targum Sheni è presumibilmente di fattura palestinese, ma la sua datazione è più incerta (tra il sec. IV e il sec. VIII d.C.): traduce solo in parte l’ebraico, per poi introdurre alcune storie dal sapore leggendario3. Al di là del pregio in sé di questi testi, essi comprovano quanto sia stato popolare ed evocativo il libro di Ester nella cultura ebraica sin dai primi secoli dell’era cristiana.

I testi greci del libro di Ester

Se dalla tradizione testuale ebraica (e aramaica) ci si sposta a quella greca, le cose cambiano non di poco. Possiamo pensare che la forma del libro di Ester in lingua greca fosse pronta nel sec. I a.C. Ma ci chiediamo: quali sono i manoscritti antichi in cui si trova il libro di Ester in greco?

Cominciamo dai manoscritti greci più antichi, che riportano il testo del libro di Ester. Si tratta del papiro denominato Oxy 4443 e del papiro 967: il primo costituisce il testimone più antico (sec. III d.C.), è in forma di rotolo, ma riporta solo pochi versetti della parte finale del libro; il secondo, un po’ più recente (sec. III d.C.), è abbastanza ben conservato e leggibile, ma anch’esso è frammentario.

A partire dal sec. IV d.C., compaiono poi i testimoni testuali più autorevoli, per la completezza e l’affidabilità del loro testo greco: sono i codici Vaticano (sec. IV), Sinaitico (sec. IV) e Alessandrino (sec. V). Questi manoscritti antichi presentano la forma testuale che comunemente chiamiamo “Settanta”. Secondo la leggenda narrata nella Lettera di Aristea (inizio sec. II a.C.), infatti, settanta saggi ebrei di Gerusalemme sarebbero stati convocati ad Alessandria dal re Tolomeo II Filadelfo (308246 a.C.) per tradurre la Bibbia ebraica: ritiratisi su di un’isola, pur lavorando separatamente, approntarono singole traduzioni tra di loro miracolosamente identiche. In realtà, si può pensare che la Settanta sia il frutto ben più complesso dell’opera di esperti della comunità ebraica di lingua greca, che in piena epoca ellenistica tradussero il testo biblico nella loro lingua corrente.

Oggi, chi volesse leggere il libro di Ester nella forma testuale greca della Settanta, può comodamente attingere a preziose edizioni stampate. Se ne distinguono di due tipi: le edizioni critiche e le edizioni diplomatiche. Le edizioni critiche mettono insieme, caso per caso, cioè parola dopo parola, le lezioni dei testimoni testuali più importanti: si sceglie quindi ogni volta il termine che si ritiene migliore, attingendo prevalentemente ai papiri e ai manoscritti. Le edizioni diplomatiche invece riportano il testo di un manoscritto (di fatto, il codice Vaticano), ma segnalano in nota le lezioni differenti presenti negli altri manoscritti. L’edizione critica attualmente considerata più significativa dagli studiosi è quella curata da R. Hanart e pubblicata a Gottinga, in Germania4.

Se si mette a confronto Ester ebraico (Testo Masoretico) con Ester greco (Settanta) affiorano alcune differenze di rilievo. Anzitutto, il testo greco è molto più lungo di quello ebraico, soprattutto per via di sei porzioni di testo che si trovano solo nel testo greco. Trattandosi di veri e propri capitoli in più, vengono chiamati solitamente “aggiunte”. Nel dettaglio, seguendo la numerazione della Bibbia CEI del 2008, le “aggiunte” del testo greco di Ester sono le seguenti:

  • a)  1,1ar il sogno premonitore di Mardocheo e la congiura sventata;
  • b)  3,13ag   il decreto di sterminio diffuso nell’impero;
  • c)  4,17az   le preghiere di Mardocheo e di Ester;
  • d)  5,1a2b   Ester al cospetto del re Assuero;
  • e)  8,12av   il decreto di salvezza per gli ebrei;
  • f)  10,3ak   l’interpretazione del sogno di Mardocheo.

A queste ampie e vistose sezioni si può aggiungere, tra l’altro, il “colofone” (10,3l), cioè la postilla finale che fornisce alcune notizie editoriali sulla versione greca del libro:

Nell’anno quarto di Tolomeo e di Cleopatra, Dositeo, che diceva di essere sacerdote e levita, e Tolomeo suo figlio, portarono in Egitto la presente lettera sui Purim, affermando che si trattava della lettera autentica tradotta da Lisimaco, figlio di Tolomeo, uno dei residenti in Gerusalemme (Est greco 10,3l).

In questo modo, vista la maggiore ampiezza del suo testo, è facile immaginare che il testo greco del libro di Ester presenti alcune differenze rilevanti di contenuto rispetto al suo corrispondente testo ebraico: basti pensare alla bellissima preghiera di Ester (4,17kz), presente nel testo greco ma assente in quello ebraico.

La tradizione testuale greca di Ester annovera anche un altro interessante testimone, designato talora come “Testo alfa”. Sotto il profilo quantitativo, è più breve di circa un terzo rispetto al testo della Settanta. È un testimone ritenuto secondario rispetto alla Settanta, perché attestato da manoscritti meno antichi, che risalgono infatti ai sec. XIXIII. Tuttavia, non è bene essere affrettati nel giudizio di questo testimone: non sempre infatti i manoscritti più recenti testimoniano lezioni peggiori di quelle contenute nei manoscritti antichi. In questo campo, la cautela è d’obbligo.

Che rapporto c’è tra il testo della Settanta e il Testo alfa del libro di Ester? Gli studiosi hanno tentato di rispondere a questa domanda, direttamente o indirettamente, cercando anzitutto di chiarire la natura di questo secondo testo in sé. Per primo O. Fritzsche (18121896) propose nel 1871 di considerarlo come una revisione del testo della Settanta. Da qui deriva la designazione di “testo lucianeo”, che faceva riferimento all’opera di recensione che Luciano d’Antiochia avrebbe condotto nel sec. IV d.C. sul testo della Settanta. L’idea di Fritzsche piacque subito agli studiosi e rimase per decenni priva di contestazioni come una tesi assodata. Ma progressivamente si sono alzate sempre più forti le voci di quegli studiosi che avevano ravvisato una certa indipendenza del Testo alfa dal testo della Settanta. Così C.C. Torrey (18631956) propose di vedere nel Testo alfa la fedele traduzione greca di un testo ebraico differente da quello dell’attuale testo ebraico. E successivamente C.A. Moore giudicò il Testo alfa non solo come estraneo all’opera lucianea, ma anche del tutto autonomo rispetto a Ester greco dei Settanta e a Ester ebraico. Si spiegano in questo modo i tanti studi successivi da parte dei critici testuali e letterari (D.J.A. Clines, M.V. Fox, C. Dorothy, K. Jobes, D. Candido), tesi a chiarire in un modo o in un altro il valore di questo singolare testimone greco del libro di Ester.

Chi oggi volesse leggere il Testo alfa dispone di tre diverse edizioni critiche: una pubblicata in Inghilterra, a Cambridge5, e le altre due in Germania, a Gottinga6.

La forma latina del libro di Ester

Con le conquiste dell’Impero Romano, la lingua latina si diffuse sostituendo lentamente ma inesorabilmente la lingua greca nell’uso comune. Nel frattempo, l’espansione del cristianesimo raggiunse le sponde del Mediterraneo e oltre: a partire dalla Palestina, arrivando in Turchia, in Grecia, in Italia, ma anche in Africa settentrionale, in Spagna, in Gallia, in Germania fino in Inghilterra.

5 A.E. B&**+/  N. McL/0; ( H.St.J. T<0=+/&0>), The Old Testament in Greek according to the Text of the Codex Vaticanus, III/1 (Esther, Judith, Tobit), Cambridge University Press, Cambridge (UK) 1940.

 

6 P. W/ L0Y0&W/, Librorum Veteris Testamenti canonicorum pars prior graece, D.A. Hoyer, Gottinga 1883; cf. il volume di Hanhart citato alla nota 4.

Di conseguenza, dal sec. II d.C., anche la Bibbia comincia a essere tradotta nella lingua più in uso. I primi tentativi di traduzione della Bibbia in latino prendono il nome generico di Vetus Latina: in realtà, si tratta non di un unico testo, ma di una serie di testi latini antichi. Più propriamente infatti si dovrebbe parlare di tre forme: africana, europea e italiana. Tuttavia, tutti i testi riconducibili alla Vetus Latina sono accomunati dal fatto di essere stati tradotti dalla forma greca della Settanta.

Per quanto concerne la Vetus Latina del libro di Ester, gli studiosi ne hanno notato l’alto valore per più di una ragione. Anzitutto, consente di conoscere il libro di Ester che i primi cristiani hanno potuto leggere sin dai primi secoli in lingua latina. Inoltre, questa traduzione permette di immaginare il testo greco (o i testi greci) che il traduttore della Vetus Latina aveva dinanzi a sé. Con una certa sorpresa, si è potuto constatare che il traduttore sembra avere consultato un testo più simile al Testo alfa che a quello della Settanta di Ester.

Per leggere la Vetus Latina di Ester, tradizionalmente si considera come edizione di riferimento quella curata nella prima metà del sec. XVIII dal benedettino francese P. Sabatier (16821742)7: il suo prezioso lavoro consistette nel comporre la primigenia forma testuale latina della Bibbia, partendo dalle citazioni che ne fanno i Padri della Chiesa. In questo ambito, si possono menzionare su tutti Tertulliano (ca. 155230 d.C.), Cipriano (210258 d.C.) e Agostino (354430 d.C.). Alla fine degli anni ’20, un raffinato filologo italiano, B.R. Motzo (18831970), ha curato una nuova edizione del testo della Vetus Latina di Ester. Tra l’altro, Motzo ha avuto il merito di aver consultato un numero di manoscritti maggiore rispetto a quelli utilizzati da Sabatier8. Oggi i cultori della critica testuale possono godere di un’edizione critica di altissimo valore, per quanto ancora incompleta, affidata alla cura di J.C. Haelewyck9 per conto del Vetus Latina Institute di Beuron.

Nella seconda metà del sec. IV d.C., Girolamo (ca. 347420 d.C.) intraprese la sua opera di revisione delle preesistenti traduzioni latine: ma presto passò a realizzare una sua traduzione della Bibbia, che prenderà più tardi il nome di Vulgata. Il suo obiettivo dichiarato era di restare fedele alla forma ebraica del testo biblico. Così, anche nella traduzione del libro di Ester, Girolamo non nascose la sua decisa preferenza per quella che viene definita l’hebraica veritas: piuttosto che recuperare la Vetus Latina (a sua volta tradotta dal testo greco della Settanta), egli voleva risalire direttamente all’originale ebraico. Questa scelta, tuttavia, presentava un punto debole: Girolamo era infatti consapevole che la Chiesa prima di lui aveva letto il libro di Ester in greco nella versione dei Settanta o in latino secondo la Vetus Latina: entrambi i testi, comunque, contengono le sei “aggiunte” di cui si è detto in precedenza. Voler tradurre il testo ebraico sarebbe significato escludere questi brani, alcuni dei quali molto celebri: si pensi alla preghiera di Ester in 4,17kz. Data la situazione particolare, Girolamo escogitò una soluzione di ripiego: decise di tradurre il testo ebraico nella parte comune tra ebraico e greco, e di relegare alla fine le porzioni di testo greco che sono in esubero rispetto all’ebraico. In questo modo, il libro di Ester in lingua latina secondo la Vulgata risulta un po’ un ibrido: è composto anzitutto di dieci capitoli tradotti dall’ebraico, ai quali si aggiunge poi un’appendice formata da sei capitoli che si trovano solo nel testo greco.

Per leggere la versione della Vulgata del libro di Ester si può consultare l’edizione curata dai Benedettini dell’abbazia di San Girolamo a Roma10, basata su manoscritti latini risalenti ai sec. VIIIXIII d.C. e su precedenti edizioni pubblicate nei sec. XVXVI d.C.

Quale testo del libro di Ester per il lettore di oggi?

Per rispondere alle domande odierne sulla Bibbia, è utile volgere lo sguardo almeno per un attimo al passato. Nella storia della Chiesa, in particolare della Chiesa latina, è stata la Vulgata a farla da padrone, soprattutto a partire dall’epoca carolingia. Non a caso, il Concilio di Trento, nel secondo decreto De Sacris Scripturis, si esprimeva con queste parole:

Il sacrosanto sinodo, considerando che non sarà di poca utilità per la Chiesa di Dio sapere chiaramente fra tutte le edizioni latine in circolazione qual è l’edizione autentica dei libri sacri, stabilisce e dichiara che l’antica edizione della Vulgata, approvata dalla stessa Chiesa da un uso secolare, deve essere ritenuta autentica nelle lezioni pubbliche, nelle dispute, nella predicazione e nella spiegazione (Sessione IV, 8 aprile 1546).

In questo modo, pur senza entrare nel merito delle disquisizioni tecniche della critica testuale, il Concilio esplicitava e rilanciava il grande valore della Vulgata, evocando il suo uso inveterato nella Chiesa. Eppure, per quanto concerne il libro di Ester, abbiamo appurato che Girolamo ha compiuto un’operazione letteraria oggi difficilmente condivisibile: dare vita a una traduzione del solo testo ebraico, relegando in appendice le parti proprie del greco.

Come si diceva in apertura, il lettore che oggi prendesse in mano la Bibbia CEI potrebbe meravigliarsi della scelta editoriale fatta per il libro di Ester: nella parte superiore della pagina si legge il “testo greco”, mentre nella parte inferiore il “testo ebraico”. Alla luce di quanto si è detto sinora, tuttavia, risulta più chiaro come in realtà la storia della trasmissione testuale e della lettura del libro di Ester ha visto la convivenza di due forme linguistiche: quella ebraica e quella greca. Più precisamente, si dovrebbe parlare del Testo Masoretico e della Settanta. Questa situazione precede il lavoro traduttorio di Girolamo e comunque continua nei secoli, nonostante la preminenza della Vulgata soprattutto nella liturgia latina.

In definitiva, è evidente che la Chiesa italiana ha fatto oggi la scelta di mantenere il libro biblico di Ester nelle sue due forme testuali ebraica e greca. Disporre i due testi nella stessa pagina aiuta ad apprezzare la ricchezza testuale della Bibbia. In questo senso, sarebbe persino stato meglio disporre i due testi in sinossi l’uno accanto all’altro.

Il libro di Ester, nella sua pluriformità testuale, assolve così anche a un compito pedagogico unico per il lettore credente: gli consente di assumere una logica inclusivista, in cui i testimoni antichi e trasmessi dalla tradizione godono tutti di un legittimo asilo, senza essere sottoposti forzatamente ad un’epurazione o ad un’assimilazione.

Per questa ragione, nel variegato panorama del canone biblico, il libro di Ester ricorda in modo più unico che raro che “la Bibbia” è appunto tà biblía, cioè “i libri”