Fr. Cantalamessa – 31/08/2008 – XXII Domenica del T.O.

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Le ragioni della speranza del 31/08/2008 – Nel Vangelo di questa Domenica ascoltiamo Gesù che dice: “Se qualcuno
vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi
segua. Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi
perderà la propria vita per causa mia, la troverà”. Guarda il filmato.

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Geremia 20, 7-9; Romani 12, 1-2; Matteo 16, 21-27

Nel Vangelo di questa Domenica ascoltiamo Gesù che dice: “Se qualcuno
vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi
segua. Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi
perderà la propria vita per causa mia, la troverà”.

Che significa “rinnegare se stessi”? Prima ancora, perché rinnegare se
stessi? Conosciamo l’indignazione che suscitava nel filosofo Nietzsche
questa richiesta del vangelo. Comincio a rispondere con un esempio.
Durante la persecuzione nazista molti treni carichi di ebrei partivano
da ogni parte dell’Europa verso i campi di sterminio. Erano indotti a
salire con false promesse di essere portati in luoghi migliori per il
loro bene, mentre erano condotti alla loro rovina. Succedeva a volte
che a una fermata del convoglio qualcuno che sapeva la verità, gridasse
di nascosto ai passeggeri: scendete, fuggite, e qualcuno ci riusciva.

L’esempio è un po’ forte, ma esprime qualcosa della nostra situazione.
Il treno della vita su cui viaggiamo va verso la morte. Su questo
almeno non ci sono dubbi. Il nostro io naturale, essendo mortale, è
destinato a finire. Quello che il vangelo ci propone quando ci esorta a
rinnegare noi stessi, è di scendere da questo treno e salire su un
altro che conduce alla vita. Il treno che conduce alla vita è la fede
in lui che ha detto: “Chi crede in me, anche se morto, vivrà”.

Paolo aveva realizzato questo “trasbordo” e lo descrive così: “Non sono
più che vivo, Cristo vive in me”. Se assumiamo l’io di Cristo
diventiamo immortali perché lui, risorto da morte, non muore più. Ecco
cosa vogliono dire le parole che abbiamo ascoltato: “Chi vorrà salvare
la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa
mia, la troverà”. Allora è chiaro che rinnegare se stessi non è
un’operazione autolesionistica e rinunciataria, ma il colpo di audacia
più intelligente che possiamo realizzare nella vita.

Dobbiamo però fare subito una precisazione. Gesù non chiede di
rinnegare “ciò che siamo”, ma ciò che “siamo diventati”. Noi siamo
immagine di Dio, siamo perciò qualcosa di “molto buono”, come ebbe a
dire Dio stesso, subito dopo aver creato l’uomo e la donna. Quello che
dobbiamo rinnegare non è quello che ha fatto Dio, ma quello che abbiamo
fatto noi, usando male della nostra libertà. In altre parole, le
tendenze cattive, il peccato, tutte cose che sono come incrostazioni
posteriori sovrapposte all’originale.

Anni fa vennero scoperti nel fondo del mare, al largo delle coste
ioniche, due masse informi che avevano una vaga somiglianza con corpi
umani, ricoperte, come erano, di incrostazioni marine. Furono riportate
a galla e pazientemente ripulite e liberate. Oggi sono i famosi “Bronzi
di Riace”, nel museo di Reggio Calabria, tra le sculture più ammirate
dell’antichità.

Sono esempi che ci aiutano a capire l’aspetto positivo che c’è nella
proposta evangelica. Noi somigliamo, nello spirito, a quelle statue
prima del restauro. La bella immagine di Dio che dovremmo essere, è
stata ricoperta da sette strati che sono i sette vizi capitali. Forse
non è male richiamarceli alla memoria se li avessimo dimenticati. Sono:
superbia, avarizia, lussuria, ira, gola, invidia e accidia. san Paolo
chiama questa immagine deturpata “l’immagine terrestre”, in opposizione
alla “immagine celeste” che è la somiglianza con Cristo.

“Rinnegare se stessi” non è dunque un’operazione per la morte, ma per
la vita, per la bellezza e per la gioia. È anche un imparare il
linguaggio del vero amore. Immagina, diceva un grande filosofo del
secolo scorso, Kierkegaard, una situazione puramente umana. Due giovani
si amano. Però appartengono a due popoli diversi e parlano due lingue
completamente diverse. Se il loro amore vuole sopravvivere e crescere,
è necessario che uno dei due impari la lingua dell’altro.

Altrimenti non potranno comunicare e il loro amore non durerà.
Così, commentava, avviene tra noi e Dio. Noi parliamo il linguaggio
della carne, lui quello dello spirito; noi quello dell’egoismo, lui
quello dell’amore. Rinnegarsi è imparare la lingua di Dio per poter
comunicare con lui, ma ed è anche imparare la lingua che ci permette di
comunicare tra di noi. Non si è capaci di dire dei “sì” all’altro, a
partire dal proprio coniuge, se non si è capaci di dire dei “no” a se
stessi. Per rimanere nell’ambito del matrimonio, tanti problemi e
fallimenti nella coppia dipendono dal fatto che l’uomo non si è mai
preoccupato veramente di imparare il modo di esprimere l’amore della
donna, e la donna quello dell’uomo. Anche quando parla di rinnegamento
di sé, il Vangelo, come si vede, è assai meno remoto dalla vita di
quanto si crede.

Fonte:
http://www.cantalamessa.org/it/omelieView.php?id=369