Fr. Cantalamessa – 22/06/2008 – Abbiate timore, ma non abbiate paura!

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Le ragioni della speranza del 22/06/2008

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XII Domenica A – 2008-06-22
Geremia 20, 10-13; Romani 5, 12-15; Matteo 10, 26-33

Il vangelo di questa domenica contiene diversi spunti, ma tutti si
possono riassumere in una frase: “Abbiate timore, non abbiate paura”.
Dice Gesù: “Non temete gli uomini…Non abbiate paura di quelli che
uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima; temete
piuttosto colui che ha il potere di far perire e l’anima e il corpo
nella Geenna”. Degli uomini non dobbiamo avere né timore, né paura; di
Dio dobbiamo avere timore, ma non paura.

C’è dunque una differenza tra paura e timore e cerchiamo di capire in
che consiste. La paura è una manifestazione del nostro istinto
fondamentale di conservazione. È la reazione a una minaccia portata
alla nostra vita, la risposta a un pericolo vero o presunto: dal
pericolo più grande di tutti, che è quello della morte, ai pericoli
particolari che minacciano o la tranquillità, o la incolumità fisica, o
il no stro mondo affettivo.

Il vangelo ci aiuta a liberarci da tutte queste paure, rivelando il
carattere relativo, non assoluto, dei pericoli che le causano. C’è
qualcosa di noi che niente e nessuno al mondo può veramente toglierci o
danneggiare: per i credenti è l’anima immortale, per tutti la
testimonianza della propria coscienza.

San Paolo ci insegna un metodo pratico per vincere le paure. Nella
lettera ai Romani, a un certo punto, egli passa in rassegna tutte le
situazioni di pericolo e le cose che hanno minacciato di abbatterlo
nella vita: “la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la
nudità, il pericolo, la spada” (Rom 8, 35 ss). Non si tratta di un
elenco convenzionale. Con ognuna di queste parole egli allude a un
fatto realmente accadutogli. Guarda quindi tutte queste cose alla luce
della grande certezza che Dio lo ama e conclude trionfalmente: “In
tutte queste cose noi stravinciamo grazie a colui che ci ha amati”.

Siamo invitati a fare lo stesso. A guardare la nostra vita, presente e
passata; a portare a galla le paure che vi si annidano: le tristezze,
le minacce, i complessi, chissà, quel tale difetto fisico o morale che
ingigantiamo a forza di pensarci e che ci impedisce di accettarci e
avere fiducia in noi stessi; quindi a esporre tutto ciò alla luce del
pensiero che Dio ci ama, così come siamo. Le paure, sono come i
fantasmi: hanno bisogno del buio per agire. Ci sopraffanno se le
manteniamo a livello inconscio. Spesso basta portarle alla luce, dar
loro un nome, parlarne, perché si dissolvano o si ridimensionino.
Impariamo a ripetere con l’Apostolo: “Ma Dio mi ama e tanto basta!”.
Poi san Paolo fa un’altra cosa. Dalla sua situazione personale allarga
lo sguardo sul mondo che lo circonda con le incognite che a quel tempo
terrorizzavano gli uomini: le potenze astrali, la morte, quelle che
egli chiama “l’altezza e la profondità” e che noi oggi chiameremmo
l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo, l’universo e l’atomo.
Allora come ora, tutto è pronto a schiacciarci. L’uomo si sente un
granello di polvere in un universo tanto più grande di lui, reso oggi
più minaccioso dalle scoperte che egli stesso ha fatto. Ma anche da
questo confronto, l’Apostolo ci aiuta a uscire vittoriosi, con questo
pensiero: “Se Dio è con noi chi sarà contro di noi”?

Ora passiamo a considerare il timore di Dio. Una prima differenza
rispetto alla paura è questa: il timore di Dio si deve imparare.
“Venite, figli, ascoltatemi, dice un salmo; vi insegnerò il timore del
Signore” (Sal 33,12). La paura invece, non c’è bisogno di andare a
scuola per impararla, sopraggiunge d’improvviso davanti al pericolo; le
cose si incaricano da sole di incuterci paura.

Ma è il senso stesso del timore di Dio che è diverso dalla paura. Esso
è una componente della fede: nasce dal sapere chi è Dio. È lo stesso
sentimento che ci coglie davanti a uno spettacolo grandioso e solenne
della natura; è il sentirsi piccoli di fronte a qualcosa di
immensamente più grande di noi. È stupore, meraviglia, misti ad
ammirazione. Di fronte al miracolo del paralitico che, alla parola di
Gesú, si alza in piedi e cammina, si legge nel vangelo che “tutti
rimasero stupiti e davano lode a Dio; pieni di timore dicevano: Oggi
abbiamo visto cose prodigiose” (Lc 5, 26). Il timore, come si vede, è
un altro nome dello stupore e della lode.

Questo genere di timore è compagno inseparabile dell’amore: è la paura
di dispiacere all’amato che si nota in ogni vero innamorato anche
nell’esperienza umana. La Bibbia lo definisce “il principio della
sapienza” perché porta a fare le scelte giuste nella vita. È
addirittura uno dei sette doni dello Spirito Santo (cf. Is 11, 2)!

Tradirei il vangelo se tacessi un altro motivo, più austero, che Gesú
adduce a favore del timore di Dio: egli un giorno sarà il nostro
giudice e da lui dipende se saremo eternamente felici o eternamente
infelici: “Temete colui che ha il potere di far perire e l’anima e il
corpo nella Geenna”.

Come sempre, il vangelo ci aiuta anche a capire la nostra realtà
quotidiana. La nostra è stata definita un’epoca di angoscia (W.H.
Auden). L’ansia è diventata la malattia moderna per eccellenza ed è una
delle cause principali del moltiplicarsi degli infarti. Come spiegare
questo fatto dal momento che noi abbiamo oggi, rispetto al passato,
tante maggiori sicurezze economiche, assicurazioni sulla vita, mezzi
per fronteggiare le malattie e ritardare la morte?

È che è diminuito paurosamente nella nostra società il santo timore di
Dio. “Non c’è più timor di Dio!”: lo ripetiamo a volte come battuta
scherzosa, ma contiene una tragica verità. Più diminuisce il timore di
Dio, più cresce la paura degli uomini! Ed è facile da capire il perché.
Dimenticando Dio, noi riponiamo ogni fiducia nelle cose di quaggiù,
cioè in quelle cose che, a dire di Cristo, “il ladro può portare via e
la tignola consumare”. Cose aleatorie che possono venir meno da un
momento all’altro, che il tempo (la tignola!) inesorabilmente consuma.
Sono cose che tutti ambiscono e che scatenano perciò rivalità e
violenza (il famoso desiderio mimetico di cui parla René Girard).

Si è perso il timore di Dio, ma anziché più liberi dalle paure, ne
siamo impastati. Guardiamo cosa succede nel rapporto tra genitori e
figli nella nostra società. I padri hanno abbandonato il timore di Dio
e i figli hanno abbandonato il timore dei padri! Il timore di Dio ha il
suo riflesso e il suo equivalente in terra nel timore riverenziale dei
figli verso i genitori. La Bibbia associa continuamente le due cose. Ma
il fatto di non avere più nessun timore o rispetto dei genitori, rende
forse i ragazzi e gli adolescenti di oggi più liberi e sicuri di sé?
Sappiamo bene che è vero esattamente il contrario.
La via per uscire dalla crisi è riscoprire la necessità e la bellezza
del santo timore di Dio. Se questi pochi minuti di commento al vangelo
dovessero servire in piccola parte a questo scopo, la RAI potrebbe a
buon diritto vantarsi di rendere con ciò un “servizio pubblico” al
paese, più di quanto faccia con tanti altri programmi di cui conosciamo
bene l’impatto sui giovani.

Gesú ci spiega proprio nel vangelo di domani che compagna inseparabile
del timore è la fiducia in Dio. “Due passeri non si vendono forse per
un soldo? Eppure neanche uno di essi cadrà a terra senza che il Padre
vostro lo voglia. Quanto a voi, perfino i capelli del vostro capo sono
tutti contati; non abbiate dunque timore: voi valete più di molti
passeri!”. Dio non vuole incuterci timore, ma fiducia. Il contrario di
quell’imperatore romano che diceva: “Oderint dum metuant”: mi odino
pure, perché mi temano! Così dovrebbero fare anche i padri terreni: non
incutere timore, ma fiducia. È proprio così che si alimenta il
rispetto, l’ammirazione, la confidenza, tutto ciò che va sotto il nome
di “sano timore”.

Fonte:
http://www.cantalamessa.org/it/omelieView.php?id=338