Commento al Vangelo – Epifania del Signore – 6 gennaio 2010 – Paolo Curtaz

re-magiPrima lettura: Is 60,1-6 Seconda lettura: Ef 3,2-3a.5-6 Vangelo: Mt 2,1-12

Cercatori di Dio

I magi che arrivano dall’Oriente con i loro doni hanno davvero segnato la fantasia degli uomini nella storia: forse per quel non so che di esotico che portano con sé, tutti siamo rimasti affascinati da queste strane figure del Natale e nel cuore portiamo l’immagine infantile delle statuine da aggiungere il giorno dell’Epifania, come ultimo tocco al presepe.

Attenti, però, a non ridurre l’Epifania ad una favoletta edificante.

Prendiamo con grande serietà il racconto di Matteo, che è anzitutto sintesi teologica, messaggio di fede, senza però dimenticare i parecchi appigli storici che vi si riscontrano.

Mosaico biblico

A chi conosce bene la Bibbia (ah, se fossimo tra questi!) salta subito agli occhi il mosaico di allusioni e di riferimenti che compongono questo testo.

L’intento di Matteo è chiaro.

Lui, ebreo, scrive il suo Vangelo per una comunità di ebrei-cristiani e desidera spalancare loro lo sguardo: il Messia è venuto ed è veramente l’atteso delle genti, non soltanto il pastore di Israele.

Come ogni piccola comunità che deve sopravvivere in mezzo a culture aggressive, lungo la propria storia Israele si era rinchiusa come minoranza blindata allergica allo straniero, perdendo lo smalto primigenio e dimenticando di essere il popolo che doveva portare a tutti i popoli il volto del Dio misterioso che si era raccontato ad Abramo e ai padri.

E, stupore!, Tra i primi ad accogliere il Messia sono sì gli israeliti, ma i dimenticati, i poveri: Maria, Giuseppe, i pastori. Dio non viene accolto dal potente partito dei sadducei, non dal Sommo Sacerdote o dai farisei, i devoti tra i devoti.

E, stupore!, gli stranieri, i reietti, i “non-popolo”, i “cani” riconoscono il volto di Dio. Dio vuole svelarsi a tutti, vuole raggiungere ogni uomo, ogni nazione. L’intento di Matteo, dicevamo, è lineare: Gesù è venuto per essere riconosciuto da ogni popolo, qui raffigurato dai misteriosi magi d’Oriente.

Ma c’è di più: il grande Levi pubblicano, diventato scriba del regno, riesce a tirar fuori dalla sua penna alcune sottolineature per me scrivo e per te che leggi con passione.

Maghi e maghetti

I magi erano degli astrologi orientali, probabilmente ricchi, in modo tale da potersi permettere di seguire il proprio hobby, e proprio un evento cosmico (la nascita di una stella? una congiunzione astrale?) li aveva fatti partire.

La teoria era semplice: ad un evento siderale doveva corrispondere un evento terreno. Così il loro viaggio li porta naturalmente a cercare un re nella vicina terra di Palestina.

E qui incontrano il re-fantoccio Erode, tanto crudele e cinico da poter vivere suddito di Roma e costruire comunque un piccolo impero. Erode si sbalordisce: che ne sa lui delle vecchie teorie dei creduloni? Il messia? Il nuovo Davide? Ma era lui adesso il re!

Erode diventa improvvisamente devoto e cerca una risposta in chi la Scrittura la conosce bene.

Gli scribi danno la risposta esatta: il Messia doveva discendere dalla casa di Davide e quindi nascere nella città del pane, Betlemme, pochi chilometri a sud di Gerusalemme.

Quale pensiero avrà attraversato la mente dei magi? Un re, quindi, non c’era? E cos’era questa storia del mandato da Dio? La stella riappare e gioiscono! Arrivano a Betlemme e si prostrano davanti alla madre e al bambino, offrendo i loro doni perlomeno curiosi.

Di più

Matteo ci sta dicendo: “Se vuoi davvero scoprire la presenza devi metterti in viaggio, anche se non è la fede che ti motiva”.

I magi sono non-credenti, cercano la verità, una risposta alle loro teorie, seguono una stella che li porti a confermare la loro ricerca.

Sono onesti, si mettono in gioco, si lasciano interpellare anche da idee diverse (le Scritture per loro erano… arabo!) e alla fine trovano Dio. Sono l’immagine – questi strani orientali – di tutti quegli uomini e quelle donne che vogliono scoprire il senso della loro vita, dei tanti che nella storia hanno cercato nell’arte, nel pensiero, nella civiltà, le tracce della verità.

E che alla fine trovano Dio.

È splendido ciò che Matteo afferma: una ricerca onesta e dinamica della verità ci porta fin davanti alla grotta dove Dio svela il suo tenero volto di bambino.

Non troveranno mai il Messia Erode e i sacerdoti e gli scribi. Erode considera Dio un avversario, un concorrente: se Dio c’è gli ruba il posto.

Quanti ne conosco di Erodi! Quelli che pensano che Dio sia la negazione dell’uomo e il cristianesimo la morte della felicità umana (noi cristiani qualche responsabilità ce l’abbiamo, ma questo è un altro penoso discorso!).

E gli scribi? Turisti del sacro, dotti conoscitori della Scrittura, vanno a Messa tutte le domeniche (anzi più volte a settimana), fanno la preghiera quotidiana e seguono un corso biblico.

Sanno, conoscono tutto di Dio.

Da Gerusalemme a Betlemme ci sono pochi chilometri.

E boia se escono dal loro palazzo! Conoscono Dio sulla carta, nella loro mente illuminata, ma non nel loro cuore.

Eccoli

Eccoli davanti alla grotta i cercatori di Dio, che offrono… che cosa?

Offrono all’infante dei regali improbabili (ci sarà dietro la forzatura teologica di Matteo?), pieni di verità e di stupore: offrono l’oro per chi riconosce nel bambino il re; l’incenso per chi riconosce nel bambino la presenza di Dio; e… la mirra? Che regalo di pessimo gusto! L’unguento usato per imbalsamare i cadaveri!

Questo bambino già vive la contraddizione della morte, del rifiuto, del dono totale di sé.

E noi? Voglia di essere un po’ Magi?

Paolo Curtaz

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