Commento al Vangelo di Pasqua – 4 aprile 2010 – Paolo Curtaz

Domenica di Resurrezione – At 10,34.37-43/Col 3,1-4/Gv 20,1-9

È vivo!

Pietro e Giovanni corrono nel silenzio della città ancora immersa nel sonno. I mercanti tirano fuori le mercanzie per la giornata dopo il sabato di riposo. Il sole si sta alzando e inonda di luce la pietra che riveste le abitazioni di Gerusalemme. Tra gli stretti vicoli della città, calpestando il selciato appena rifatto dal grande re Erode, il fiato corto, i due escono dalla città. Corrono lasciando al loro fianco la cava di pietra in disuso riutilizzata dai romani. I pali verticali, come alberi rinsecchiti, svettano in alto, aspettando nuovi condannati. Il sangue rappreso tinge di rosso il legno scuro.

Corrono, ancora, il fiato manca, la tunica impaccia la corsa. Pietro, meno giovane, si attarda; scendono rapidamente oltre la cava. I soldati romani di guardia sono spariti, la tomba di Giuseppe di Arimatea è aperta, la pesante pietra che ne bloccava l’ingresso ribaltata.

Giovanni aspetta, le tempie pulsano, ansima.

Ripensa al volto sconvolto di Maria che, dieci minuti prima, lo aveva tirato giù dal letto parlando del furto del corpo Gesù. Arriva Pietro. Giovanni lo guarda lungamente, poi abbassano la testa ed entrano.

Nulla.

Gesù è scomparso.

Nulla, solo il lenzuolo, come sgonfiato, afflosciato e la mentoniera al proprio posto, come se Gesù si fosse dissolto.

Nulla, Gesù è scomparso.

Tombe

Tutto è iniziato da quella corsa.

Quella tomba vuota, ultimo drammatico regalo fatto a Gesù da parte del discepolo Giuseppe di Arimatea, ricco e potente, che non aveva potuto salvare dalla morte il suo Maestro, è rimasta lì, vuota, a Gerusalemme, muta testimone della resurrezione.

Adriano, l’imperatore, l’aveva fatta riempire di terra, ed era diventata, insieme alla cava in disuso, il terrapieno che sosteneva – ironia della sorte – il tempio pagano di Giove.

Aelia Capitolina, era stata ribattezzata la ribelle Gerusalemme, e, col nuovo assetto urbano da città romana, l’imperatore voleva spazzare via ogni memoria dei giudei e delle loro incomprensibili dispute. Tre secoli dopo la tomba fu riportata alla luce dalla devota regina Elena, madre del primo imperatore cristiano Costantino.

La tomba è ancora lì: vi hanno costruito sopra un’immensa basilica, è stata oggetto di pellegrinaggio per un millennio e mezzo, tentarono di distruggerla, pezzo per pezzo, a causa della furia di un sultano che – evidentemente – non conosceva il Corano.

Ora è ricoperta di marmi, la tomba, divisa e contesa (fragilità degli uomini) tra mille confessioni cristiane che ne rivendicano la proprietà.

Poco importa.

È lì, quella tomba, esattamente lì dove la trovarono Pietro e Giovanni.

Ed è ancora vuota.

Egli è risorto

Tutta la nostra fede è basata sull’assenza di un cadavere.

La morte è stata sconfitta.

Il Dio nudo, appeso, osteso, evidente, il Dio sconfitto e straziato, il Dio deposto sulla fredda pietra non è più qui, è risorto.

Risorto. Non rianimato, non ripresosi, non vivo nel nostro ricordo e amenità consolatorie di questo genere.

Gesù è davvero vivo, risorto, presente per sempre.

Non è facile credere a questa notizia, lo so bene. Incontreremo, in questi cinquanta giorni, la fatica che hanno fatto gli apostoli, che è la nostra, a convertire il cuore a questa sconcertante novità.

Ci vuole fede per superare il proprio dolore. Tutti abbiamo una qualche ragione per sentire vicino Gesù crocifisso. Tutti ci commuoviamo davanti a tale strazio, tutti sappiamo condividere il dolore che è esperienza comune di ogni uomo.

Ma gioire no, è un altro paio di maniche, gioire significa uscire dal proprio dolore, non amarlo, superarlo, abbandonandolo.

Discepoli

Corriamo anche noi, oggi.

Pasqua, al di là delle uova di cioccolato e delle campane in festa è la vittoria dell’amore, la pienezza della vita.

La scommessa, terribile, di un Dio abbandonato alla nostra volontà è vinta.

A noi, ora, di credere, di vivere da risorti, di vedere i teli di lino e di credere, come Giovanni e Pietro.

A noi, discepoli affannati nella corsa, sempre in ritardo rispetto alla forza dirompente di Dio, resta solo la sfida della fede.

Gesù è risorto: smettiamola di cercare il crocefisso, smettiamola di piangerci addosso e di lamentare un Dio assente. Gesù è risorto.

Buona Pasqua a tutti, amati fratelli. Buona Pasqua a chi mi sta leggendo in Argentina, o nel cuore dell’Africa. Buona Pasqua a chi sa che è l’ultima prima che il cancro lo sconfigga, buona Pasqua a chi sta tirando su un figlio o due e conserva il buonumore, a chi ostinatamente ama senza risultati. Buona Pasqua agli amici che conservano la fede nelle città che divorano e omologano, buona Pasqua ai tanti cercatori di Dio, così diversi eppure tutti toccati dalla Parola che ci cambia. Buona Pasqua a chi è in lutto, a chi sente di avere sbagliato tutto, come Gesù. Buona Pasqua ai tenaci fratelli che quella Terra che vide il volto di Dio custodiscono a caro prezzo, per accogliere i pellegrini che ancora vanno a vedere il sepolcro intatto del Maestro.

Buona Pasqua, fragili discepoli del Maestro, Gesù è davvero risorto.

Paolo Curtaz

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