Commento al Vangelo del 2 aprile 2015, Giovedì Santo – don Antonello Iapicca

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Amati sino alla fine

“Fratelli, io ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso” scriveva San Paolo ai Corinzi, e oggi scrive a noi. E qual è il tesoro più grande che l’Apostolo ha ricevuto direttamente da Gesù? Il suo amore fatto carne e sangue, “l’amore sino alla fine” di ogni carne e sangue, perché la fine diventi “l’inizio dei mesi”. Perché il sepolcro e la morte, la fine che ogni uomo sfugge impaurito, diventino il grembo di una vita nuova.

Fratelli, anche io oggi vi annuncio quello che la Chiesa ha trasmesso di generazione in generazione, il suo tesoro più grande: la Pasqua, ovvero il passaggio di Gesù dalla morte alla vita, la risposta ad ogni tua sofferenza, allo smarrimento del mondo, al peccato che uccide ogni uomo. Vi annuncio la vittoria di Cristo sulla morte, che si va a realizzare nella nostra vita in questa Pasqua del 2015.

Stasera, infatti, ha inizio la notte delle notti, la notte della liberazione! Ma per entrarvi dobbiamo scendere anche noi in Egitto con il Popolo di Israele. O meglio, guardare alla nostra vita di oggi, degli ultimi tempi, forse a tutta la nostra storia, per scoprire che l’abbiamo vissuta in Egitto. 

Pensa bene a quale sia la piramide che il faraone ti sta obbligando a costruire. Pensa se dietro a tanta fatica nei rapporti, tanto sudore sul posto di lavoro, non vi sia la tirannia del demonio che, in tutto, ti obbliga a fare mattoni per lui. Satana, infatti, si nasconde sempre nel nostro ego: ci illudiamo di sforzarci per resistere e non morire, per arraffare un po’ di vita attraverso l’affetto degli altri, la stima, il denaro, il prestigio, le cose, mentre sono solo mattoni che impastiamo senza tregua per erigere un mausoleo alla memoria del demonio.

Come fu per Israele, la Pasqua ci coglie dunque schiavi in Egitto, che significa “angoscia”, quella che ci prende al pensiero del futuro, della precarietà, della sofferenza e della morte. Ma proprio nel mezzo di questa terra che abitiamo e che non è la nostra, in questa schiavitù a difendere noi stessi e le nostre idee, i nostri criteri, il nostro onore di fronte a moglie e figli; in questa notte che avvolge il profilo di chi ci è accanto facendocelo apparire per quello che non è, in questa nostra vita viene Cristo per donarci se stesso, e fare di tutti noi i suoi amici che gli assomiglino, perché “come uno è, così sarà il suo amico” (Sir. 6,17). 

Per questo oggi Dio stesso si inchina dinanzi a ciascuno di noi mettendosi ai nostri piedi. Basterebbe questo per rimanere schiantati. La superbia che ci ha fatto assomigliare al demonio, il falso amico che ha comprato la nostra amicizia con le sue false promesse, si può infrangere solo su quest’amore inimmaginabile. L’amore sino alla fine.

Gesù, infatti, è l’unico che va con noi sino in fondo. Lui non lascia le cose a metà, il suo amore non si spegne, non si raffredda, non sfugge il pericolo, non rinuncia per la vergogna, non muta per opportunismo, non esige cambiamenti e attitudini particolari, sa pazientare e attendere, non si aspetta contraccambio ma guarda tutto di noi con speranza invincibile. Se ti prende per mano e ti promette di amarti sino alla fine, sarà esattamente così.

Perché l’amore di Gesù è incastonato nella dinamica dell’esodo; è un amore pasquale che lo conduce sino a inginocchiarsi dinanzi ai nostri delitti. In quante pozzanghere piene del fango del giudizio, dell’invidia, della maldicenza, dell’avarizia abbiamo posato i nostri piedi. Quanta polvere abbiamo calpestato, secca come l’amore per la moglie o per il marito. Quanti chilometri abbiamo percorso per allontanarci da Lui e dai fratelli. Quante piaghe sotto i nostri piedi, quante sofferenze che non abbiamo potuto lenire, quante relazioni che non siamo stati capaci di ricostruire.

Ma oggi Gesù è in ginocchio per fare giustizia dell’Egitto e del faraone. Si umilia dinanzi a me e a te per lavare nel suo sangue ogni macchia, liberarci dalla schiavitù, e accompagnarci in un autentico esodo che dimentichi e lasci dietro le spalle i peccati antichi. Lui è oggi prostrato davanti a noi, per lavare i nostri piedi affinché essi ci facciano entrare nella Pasqua.

E’ necessario che oggi ci lasciamo lavare i piedi da Gesù, “altrimenti non avremo parte con Lui” della vita eterna. E’ necessario deporre l’arroganza di Pietro, celata in una falsa umiltà che avrebbe compreso solo dopo il tradimento. Ma noi i tradimenti dell’amore di Gesù ce li abbiamo davanti, vero? Ne basterebbe uno, quel giudizio che ha ucciso da tempo nel tuo cuore quel fratello. Lasciamo che Cristo ci ami ancora una volta, perché il suo amore trafigga finalmente il nostro cuore, e prenda possesso di noi.

Fratelli, stiamo entrando nel cuore della Pasqua, che è il cuore di Dio. Abbiamo bisogno di consegnare la nostra carne incapace di servire ai gesti umili di Cristo. Sì, la sua umiltà, il suo annientamento dinanzi a ciascuno di noi, il suo scendere più in basso di quanto non siamo precipitati, deve stasera scuoterci, stordirci, commuoverci in ogni fibra del nostro essere. Dobbiamo restare sbigottiti di fronte allo spettacolo del nostro Dio, del Dio che ci ha creato, dell’Onnipotente, che si sbriciola nelle nostre mani e si scioglie nella nostra bocca; che si spoglia completamente delle sue vesti di splendore, della sua dignità, per restare nudo ai nostri piedi, nudo come noi che abbiamo mangiato del frutto che ci era stato proibito; che si cinge di umiltà come un prode valoroso, per far giustizia e sterminare il principe dell’orgoglio con le armi del servizio. Dobbiamo sentirci trafiggere il cuore dal troppo amore di Cristo, perché Egli possa guarirci dalla superbia e donarci il suo Spirito, la vita nuova che ci fa inchinare dinanzi ai nostri fratelli.

Gesù sapeva che proprio quella era la sua “ora”: l’umiliazione lo avrebbe fatto passare al Padre dal quale, umiliandosi, era venuto. E stasera sa che quell'”ora” si rinnova per ciascuno di noi. Deve di nuovo servirci per farci passare con Lui dall’incapacità di amare sino alla fine i fratelli, alla libertà di umiliarsi e rinunciare a noi stessi per amore di chi ci è accanto, anche del nemico. Siamo stati creati in Lui per vivere come Lui. Se non sapremo servire getteremo la vita nell’inutilità e nella sofferenza della frustrazione. Per questo stasera Gesù viene nel nostro Egitto per purificarci da ogni macchia di orgoglio e donarci se stesso, la sua carne e il suo sangue nella nostra carne e nel nostro sangue.

L’Eucarestia, infatti, è lasciarsi trasformare in Cristo per “fare come Lui”, per “seguire il suo esempio”, come le mani si muovono in virtù del sangue che le irrora. E’ “annunciare la sua morte” in noi, ovvero il suo dono per amore nei nostri gesti, nelle nostre attitudini, nei pensieri e nelle parole, “nell’attesa che Egli venga” a trasformarla in vita. L’Eucarestia è il suo Mistero Pasquale che, celebrato nell’assemblea cristiana, si compie nella vita quotidiana di ogni cristiano. Se la Chiesa, infatti, attende il ritorno del Signore, anche noi ci offriamo al fratello nell’attesa che Cristo venga a trasformare quel gesto in riconciliazione e salvezza per entrambi. 

Coraggio fratelli, chiunque oggi si senta vuoto, solo, sfiduciato, triste, angosciato, ribellato, schiavo di peccati dai quali non può uscire. Chiunque di noi insomma, traditi dal marito forse, con un figlio malato senza possibilità di guarire, senza lavoro, ciascuno oggi può stupirsi di un amore che forse, sino ad oggi, non ha ancora conosciuto. Un amore che ama sino alla fine di noi stessi, sino agli angoli bui e irrisolti delle situazioni che ci tolgono pace e gioia. Sino alla fine di ogni nostro fallimento. Sino alla fine del peggior lato del nostro carattere. Sino all’ultima nostra debolezza. Sino alla fine dell’ultimo peccato inanellato. Un amore che brucia e cancella, che salva tutto quanto sembra perduto, che ricrea tutto quanto sembra morto e imputridito.

Un amore che colma l’esistenza di senso e vita nuova. Un amore fatto pane da mangiare per essere saziati; fatto vino da bere e colmare ogni sete. Che guarisce, dona pace e gioia e risuscita e per farci camminare  nella vita per inginocchiarci a nostra volta dinanzi a chiunque appaia nelle nostre ore mendicando esattamente quello che abbiamo mendicato noi. L’amore di Dio in Cristo Gesù, per fare della nostra vita un miracolo d’amore capace di uscire e andare a cercare i nostri fratelli, per lavare i loro piedi. Celebriamo in casa il memoriale di questo amore. Prendiamoci del tempo prezioso, prima di partecipare alla celebrazione in Chiesa e raduniamoci in famiglia. Proclamiamo il Vangelo e laviamoci i piedi gli uni gli altri, chiedendoci sinceramente perdono. Il padre alla madre e ai figli, la madre al padre e ai figli, i figli ai genitori e ai fratelli.

Sarà un passaggio forte del Signore, la porta sulla notte delle notti. E non solo: andiamo a cercare il parente, il vicino di casa, il collega che abbiamo giudicato, le persone verso le quali abbiamo rancore o che sappiamo che nutrono dei risentimenti verso di noi. Preghiamo, chiediamo al Signore la Grazia di umiliarci davanti a loro, come Lui, senza peccato, si è umiliato dinanzi a noi. Oggi può ricominciare una vita nuova con tuo marito, con tua moglie. Oggi, nel perdono, può ristabilirsi una relazione autentica tra genitori e figli, fidanzati, colleghi, amici. Oggi ci possiamo fare pane nel Pane, vino nel Vino, amore nell’Amore, e così sperimentare il compimento e la pienezza della nostra vita.

Don Antonello Iapicca
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Gv 13, 1-15
Dal Vangelo secondo Giovanni

Prima della festa di Pasqua, Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine.
Durante la cena, quando il diavolo aveva già messo in cuore a Giuda, figlio di Simone Iscariota, di tradirlo, Gesù, sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava, si alzò da tavola, depose le vesti, prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugamano di cui si era cinto.
Venne dunque da Simon Pietro e questi gli disse: «Signore, tu lavi i piedi a me?». Rispose Gesù: «Quello che io faccio, tu ora non lo capisci; lo capirai dopo». Gli disse Pietro: «Tu non mi laverai i piedi in eterno!». Gli rispose Gesù: «Se non ti laverò, non avrai parte con me». Gli disse Simon Pietro: «Signore, non solo i miei piedi, ma anche le mani e il capo!». Soggiunse Gesù: «Chi ha fatto il bagno, non ha bisogno di lavarsi se non i piedi ed è tutto puro; e voi siete puri, ma non tutti». Sapeva infatti chi lo tradiva; per questo disse: «Non tutti siete puri».
Quando ebbe lavato loro i piedi, riprese le sue vesti, sedette di nuovo e disse loro: «Capite quello che ho fatto per voi? Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi».

LAVANDA DEI PIEDI

Dove motivi pastorali lo consigliano, dopo l’omelia ha luogo la lavanda dei piedi. I prescelti per il rito – uomini o ragazzi – vengono accompagnati dai ministri agli scanni preparati per loro in un luogo adatto.
Il sacerdote (deposta, se è necessario, la casula) si porta davanti a ciascuno di essi e, con l’aiuto dei ministri, versa dell’acqua sui piedi e li asciuga.
Durante il rito, si cantano alcune antifone, scelte tra quelle proposte, o altri canti adatti alla circostanza.

ANTIFONA PRIMA (cf. Gv 13,4.5.15)

Il Signore si alzò da tavola versò dell’acqua in un catino,
e cominciò a lavare i piedi ai discepoli:
ad essi volle lasciare questo esempio.

ANTIFONA SECONDA (Gv 13,6.7.8)

“Signore, tu lavi i piedi a me?”.
Gesù gli rispose dicendo:
“Se non ti laverò, non avrai parte con me”.
V. Venne dunque a Simon Pietro, e disse a lui Pietro:
– Signore, tu lavi…
V. “Quello che io faccio, ora non lo comprendi,
ma lo comprenderai un giorno”.
– Signore, tu lavi…

ANTIFONA TERZA (cf. Gv 13,14)

“Se vi ho lavato i piedi,
io, Signore e Maestro,
quanto più voi avete il dovere
di lavarvi i piedi l’un l’altro”.

ANTIFONA QUARTA (Gv 13,35)

“Da questo tutti sapranno
che siete miei discepoli,
se vi amerete gli uni gli altri”.
V. Gesù disse ai suoi discepoli:
– Da questo tutti sapranno…

ANTIFONA QUINTA (Gv 13,34)

“Vi do un comandamento nuovo:
che vi amiate gli uni gli altri
come io ho amato voi”, dice il Signore.

ANTIFONA SESTA (cf. 1Cor 13,13)

Fede, speranza e carità,
tutte e tre rimangano tra voi:
ma più grande di tutte è la carità.
V. Fede, speranza e carità,
tutte e tre le abbiamo qui al presente:
ma più grande di tutte è la carità.
– Fede…

Subito dopo la lavanda dei piedi – quando questa ha luogo – oppure dopo l’omelia, si dice la preghiera universale.
In questa Messa si omette il Credo.

C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.