Papa Francesco – Omelia e Angelus del 18 Novembre 2018 – Il testo e il video

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PAPA FRANCESCO

OMELIA

 CAPPELLA PAPALE
Domenica, 18 Novembre 2018

https://youtu.be/4t7UbfS7bvo

Guardiamo a tre azioni che Gesù compie nel Vangelo.

La prima. In pieno giorno, lascia: lascia la folla nel momento del successo, quand’era acclamato per aver moltiplicato i pani. E mentre i discepoli volevano godersi la gloria, subito li costringe ad andarsene e congeda la folla (cfr Mt 14,22-23). Cercato dalla gente, se ne va da solo; quando tutto era “in discesa”, sale sul monte a pregare. Poi, nel cuore della notte, scende dal monte e raggiunge i suoi camminando sulle acque agitate dal vento. In tutto Gesù va controcorrente: prima lascia il successo, poi la tranquillità. Ci insegna il coraggio di lasciare: lasciare il successo che gonfia il cuore e la tranquillità che addormenta l’anima.

Per andare dove? Verso Dio, pregando, e verso chi ha bisogno, amando. Sono i veri tesori della vita: Dio e il prossimo. Salire verso Dio e scendere verso i fratelli, ecco la rotta indicata da Gesù. Egli ci distoglie dal pascerci indisturbati nelle comode pianure della vita, dal vivacchiare oziosamente tra le piccole soddisfazioni quotidiane. I discepoli di Gesù non sono fatti per la prevedibile tranquillità di una vita normale. Come il Signore Gesù vivono il loro cammino, leggeri, pronti a lasciare le glorie del momento, attenti a non attaccarsi ai beni che passano. Il cristiano sa che la sua patria è altrove, sa di essere già ora – come ricorda l’Apostolo Paolo nella seconda Lettura – “concittadino dei santi e familiare di Dio” (cfr Ef 2,19). È un viandante agile dell’esistenza. Noi non viviamo per accumulare, la nostra gloria sta nel lasciare quel che passa per trattenere ciò che resta. Chiediamo a Dio di assomigliare alla Chiesa descritta nella prima Lettura: sempre in movimento, esperta nel lasciare e fedele nel servire (cfr At 28,11-14). Destaci, Signore, dalla calma oziosa, dalla quieta bonaccia dei nostri porti sicuri. Slegaci dagli ormeggi dell’autoreferenzialità che zavorra la vita, liberaci dalla ricerca dei nostri successi. Insegnaci Signore a saper lasciare per impostare la rotta della vita sulla tua: verso Dio e verso il prossimo.

La seconda azione: in piena notte Gesù rincuora. Va dai suoi, immersi nel buio, camminando «sul mare» (v. 25). In realtà si trattava di un lago, ma il mare, con la profondità delle sue oscurità sotterranee, evocava a quel tempo le forze del male. Gesù, in altre parole, va incontro ai suoi calpestando i nemici maligni dell’uomo. Ecco il significato di questo segno: non una manifestazione celebrativa di potenza, ma la rivelazione per noi della rassicurante certezza che Gesù, solo Lui, Gesù, vince i nostri grandi nemici: il diavolo, il peccato, la morte, la paura, la mondanità. Anche a noi oggi dice: «Coraggio, sono io, non abbiate paura» (v. 27).

La barca della nostra vita è spesso sballottata dalle onde e scossa dai venti, e quando le acque sono calme presto tornano ad agitarsi. Allora ce la prendiamo con le tempeste del momento, che sembrano i nostri unici problemi. Ma il problema non è la tempesta del momento, è in che modo navigare nella vita. Il segreto del navigare bene è invitare Gesù a bordo. Il timone della vita va dato a Lui, perché sia Lui a gestire la rotta. Solo Lui infatti dà vita nella morte e speranza nel dolore; solo Lui guarisce il cuore col perdono e libera dalla paura con la fiducia. Invitiamo oggi Gesù nella barca della vita. Come i discepoli sperimenteremo che con Lui a bordo i venti si calmano (cfr v. 32) e non si fa mai naufragio. Con Lui a bordo non si fa mai naufragio! Ed è solo con Gesù che diventiamo capaci anche noi di rincuorare. C’è grande bisogno di gente che sappia consolare, ma non con parole vuote, bensì con parole di vita, con gesti di vita. Nel nome di Gesù si dona vera consolazione. Non gli incoraggiamenti formali e scontati, ma la presenza di Gesù ristora. Rincuoraci, Signore: consolati da te, saremo veri consolatori per gli altri.

E terza azione di Gesù: nel mezzo della tempesta, tende la mano (cfr v. 31). Afferra Pietro che, impaurito, dubitava e, affondando, gridava: «Signore, salvami!» (v. 30). Possiamo metterci nei panni di Pietro: siamo gente di poca fede e siamo qui a mendicare la salvezza. Siamo poveri di vita vera e ci serve la mano tesa del Signore, che ci tiri fuori dal male. Questo è l’inizio della fede: svuotarsi dell’orgogliosa convinzione di crederci a posto, capaci, autonomi, e riconoscerci bisognosi di salvezza. La fede cresce in questo clima, un clima a cui ci si adatta stando insieme a quanti non si pongono sul piedistallo, ma hanno bisogno e chiedono aiuto. Per questo vivere la fede a contatto coi bisognosi è importante per tutti noi. Non è un’opzione sociologica, non è la moda di un pontificato, è un’esigenza teologica. È riconoscersi mendicanti di salvezza, fratelli e sorelle di tutti, ma specialmente dei poveri, prediletti dal Signore. Così attingiamo lo spirito del Vangelo: «lo spirito di povertà e d’amore – dice il Concilio – è infatti la gloria e il segno della Chiesa di Cristo» (Cost. Gaudium et spes, 88).

Gesù ha ascoltato il grido di Pietro. Chiediamo la grazia di ascoltare il grido di chi vive in acque burrascose. Il grido dei poveri: è il grido strozzato di bambini che non possono venire alla luce, di piccoli che patiscono la fame, di ragazzi abituati al fragore delle bombe anziché agli allegri schiamazzi dei giochi. È il grido di anziani scartati e lasciati soli. È il grido di chi si trova ad affrontare le tempeste della vita senza una presenza amica. È il grido di chi deve fuggire, lasciando la casa e la terra senza la certezza di un approdo. È il grido di intere popolazioni, private pure delle ingenti risorse naturali di cui dispongono. È il grido dei tanti Lazzaro che piangono, mentre pochi epuloni banchettano con quanto per giustizia spetta a tutti. L’ingiustizia è la radice perversa della povertà. Il grido dei poveri diventa ogni giorno più forte, ma ogni giorno meno ascoltato. Ogni giorno è più forte quel grido, ma ogni giorno è meno ascoltato, sovrastato dal frastuono di pochi ricchi, che sono sempre di meno e sempre più ricchi.

Davanti alla dignità umana calpestata spesso si rimane a braccia conserte oppure si aprono le braccia, impotenti di fronte all’oscura forza del male. Ma il cristiano non può stare a braccia conserte, indifferente, o a braccia aperte, fatalista, no. Il credente tende la mano, come fa Gesù con lui. Presso Dio il grido dei poveri trova ascolto. Domando: e in noi? Abbiamo occhi per vedere, orecchie per sentire, mani tese per aiutare, oppure ripetiamo quel “torna domani”? «Cristo stesso, nella persona dei poveri reclama come a voce alta la carità dei suoi discepoli» (ibid.). Ci chiede di riconoscerlo in chi ha fame e sete, è forestiero e spogliato di dignità, malato e carcerato (cfr Mt 25,35-36).

Il Signore tende la mano: è un gesto gratuito, non dovuto. È così che si fa. Non siamo chiamati a fare del bene solo a chi ci vuole bene. Ricambiare è normale, ma Gesù chiede di andare oltre (cfr Mt 5,46): di dare a chi non ha da restituire, cioè di amare gratuitamente (cfr Lc 6,32-36). Guardiamo alle nostre giornate: tra le molte cose, facciamo qualcosa di gratuito, qualcosa per chi non ha da contraccambiare? Quella sarà la nostra mano tesa, la nostra vera ricchezza in cielo.

Tendi la mano a noi, Signore, afferraci. Aiutaci ad amare come ami tu. Insegnaci a lasciare ciò che passa, a rincuorare chi abbiamo accanto, a donare gratuitamente a chi è nel bisogno. Amen.

ANGELUS

Piazza San Pietro
Domenica, 18 novembre 2018

https://youtu.be/4toa0KtXfKI

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Nel brano del Vangelo di questa domenica (cfr Mc 13,24-32), il Signore vuole istruire i suoi discepoli sugli eventi futuri. Non è in primo luogo un discorso sulla fine del mondo, piuttosto è l’invito a vivere bene il presente, ad essere vigilanti e sempre pronti per quando saremo chiamati a rendere conto della nostra vita. Dice Gesù: «In quei giorni, dopo quella tribolazione, il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, le stelle cadranno dal cielo» (vv. 24-25). Queste parole ci fanno pensare alla prima pagina del Libro della Genesi, il racconto della creazione: il sole, la luna, gli astri, che dall’inizio del tempo brillano nel loro ordine e portano luce, segno di vita, qui sono descritti nel loro decadimento, mentre piombano nel buio e nel caos, segno della fine. Invece la luce che in quel giorno ultimo risplenderà sarà unica e nuova: sarà quella del Signore Gesù che verrà nella gloria con tutti i santi. In quell’incontro vedremo finalmente il suo Volto nella piena luce della Trinità; un Volto raggiante d’amore, di fronte al quale apparirà in totale verità anche ogni essere umano.

La storia dell’umanità, come la storia personale di ciascuno di noi, non può essere compresa come un semplice susseguirsi di parole e di fatti che non hanno un senso. Non può essere neppure interpretata alla luce di una visione fatalistica, come se tutto fosse già prestabilito secondo un destino che sottrae ogni spazio di libertà, impedendo di compiere scelte che siano frutto di una vera decisione. Nel Vangelo di oggi, piuttosto, Gesù dice che la storia dei popoli e quella dei singoli hanno un fine e una meta da raggiungere: l’incontro definitivo con il Signore. Non conosciamo il tempo né le modalità con cui avverrà; il Signore ha ribadito che «nessuno lo sa, né gli angeli nel cielo né il Figlio» (v. 32); tutto è custodito nel segreto del mistero del Padre. Conosciamo, tuttavia, un principio fondamentale con il quale dobbiamo confrontarci: «Il cielo e la terra passeranno – dice Gesù –, ma le mie parole non passeranno» (v. 31). Il vero punto cruciale è questo. In quel giorno, ognuno di noi dovrà comprendere se la Parola del Figlio di Dio ha illuminato la propria esistenza personale, oppure se gli ha voltato le spalle preferendo confidare nelle proprie parole. Sarà più che mai il momento in cui abbandonarci definitivamente all’amore del Padre e affidarci alla sua misericordia.

Nessuno può sfuggire a questo momento, nessuno di noi! La furbizia, che spesso mettiamo nei nostri comportamenti per accreditare l’immagine che vogliamo offrire, non servirà più; alla stessa stregua, la potenza del denaro e dei mezzi economici con i quali pretendiamo con presunzione di comperare tutto e tutti, non potrà più essere usata. Avremo con noi nient’altro che quanto abbiamo realizzato in questa vita credendo alla sua Parola: il tutto e il nulla di quanto abbiamo vissuto o tralasciato di compiere. Con noi soltanto porteremo quello che abbiamo donato.

Invochiamo l’intercessione della Vergine Maria, affinché la constatazione della nostra provvisorietà sulla terra e del nostro limite non ci faccia sprofondare nell’angoscia, ma ci richiami alla responsabilità verso noi stessi, verso il prossimo, verso il mondo intero.

Dopo l’Angelus

Cari fratelli e sorelle,

in occasione dell’odierna Giornata Mondiale dei Poveri, ho celebrato questa mattina nella Basilica di San Pietro una Messa alla presenza dei poveri, accompagnati dalle associazioni e dai gruppi parrocchiali. Tra poco parteciperò al pranzo nell’Aula Paolo VI con tante persone indigenti. Analoghe iniziative di preghiera e di condivisione sono promosse nelle diocesi del mondo, per esprimere la vicinanza della comunità cristiana a quanti vivono in condizione di povertà. Questa Giornata, che coinvolge sempre più parrocchie, associazioni e movimenti ecclesiali, vuole essere un segno di speranza e uno stimolo a diventare strumenti di misericordia nel tessuto sociale.

Con dolore ho appreso la notizia della strage compiuta due giorni fa in un campo di sfollati nella Repubblica Centrafricana, in cui sono stati uccisi anche due sacerdoti. A questo popolo a me tanto caro, dove ho aperto la prima Porta Santa dell’Anno della Misericordia, esprimo tutta la mia vicinanza e il mio amore. Preghiamo per i morti e i feriti e perché cessi ogni violenza in quell’amato Paese che ha tanto bisogno di pace. Preghiamo insieme la Madonna…[Ave, o Maria]

Una preghiera speciale va a quanti sono colpiti dagli incendi che stanno flagellando la California, e ora anche alle vittime del gelo nella costa est degli Stati Uniti. Il Signore accolga nella sua pace i defunti, conforti i familiari e sostenga quanti si impegnano nei soccorsi.

E ora saluto voi, famiglie, parrocchie, associazioni e singoli fedeli, che siete venuti dall’Italia e da tante parti del mondo. In particolare, saluto i pellegrini di Union City e Brooklyn, quelli di Puerto Rico con il Vescovo di Ponce e il gruppo di sacerdoti di Campanha (Brasile) col loro Vescovo; come pure gli accompagnatori ai Santuari mariani nel mondo, la Confederazione italiana ex-alunni delle scuole cattoliche, i fedeli di Crotone e il coro di Roncegno Terme.

Auguro a tutti una buona domenica. E per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Buon pranzo e arrivederci!

 

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Fonte: Radio Vaticana via FeedRss

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