Padre Giulio Michelini – Commento al Vangelo di domenica 22 Marzo 2020

Vedere la luce

Il racconto della guarigione del cieco nato occupa tutto il capitolo nono del vangelo di Giovanni. La sua composizione è facilmente ricostruibile: dopo la descrizione del miracolo, assistiamo ad una lunga controversia che vede al centro l’uomo che ormai ha recuperato la vista, e che viene interrogato dai farisei (vv. 13-17). Sono poi interrogati i suoi genitori (18-23), finché torna ad essere interrogato il cieco guarito, ancora dai farisei (24-34), ed infine addirittura da Gesù (35-38). La fine del brano è la dichiarazione di Gesù sui motivi della sua venuta (39-41): perché gli uomini abbiano la vista, ma anche per giudicare quelli che dicono di averla.

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Rivelazione e giudizio (krisis): sono forse questi i motivi teologici principali che si intrecciano nel brano. La rivelazione infatti è l’opera principale di Gesù nel vangelo di Giovanni: per questo Gesù si autodefinisce qui la luce del mondo (v. 5); se la luce brilla per davvero, non può che rivelare la realtà, mostrarla, a chi non la vedeva prima (come il cieco nato), o a chi pur vedendola, ora può finalmente coglierla con occhi diversi, quelli della fede in Cristo. La rivelazione di Gesù è quella del Padre, che ha mandato il suo Figlio per dare luce al mondo. Ma la rivelazione, la luce, comporta inevitabilmente un giudizio: ciò che è nascosto, rimane occultato se non vi è luce, ma quando la luce risplende, tutto è chiaro e visibile. Così sono svelati i cuori di tutti gli uomini, compresi quelli di “alcuni farisei” (v. 40), che mostrano tutto il peccato che li abita.

Infatti il tema del peccato occupa gran parte del nostro brano: questo però non si trova lì dove si crede di poterlo vedere. Facile sarebbe credere – come pensano anche i discepoli (v. 2) – che il peccato porti con sé una conseguenza subito evidente, come quella di una malattia o della cecità; magari non subito in chi compie il peccato, ma anche solo nella generazione seguente. Ma non è così, il peccato si annida proprio dove è difficile scovarlo, lavora spesso lontano da ogni visibilità, scava un suo spazio proprio in chi crede di esserne immune: «Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: Noi vediamo, il vostro peccato rimane» (v. 41).

Ma non è questa la trama principale della nostra pericope. La è invece – come scrive un commentatore dell’evangelista Giovanni, G.R. Beasley-Murray – quella della scoperta di chi è Gesù, proprio come era accaduto alla Samaritana. Il cieco nato acquista anzitutto la vista, e poi a poco a poco, progressivamente, cresce nella comprensione della realtà e di chi questa realtà l’ha svelata. All’inizio il cieco nato pensa a Gesù come ad “un uomo”, ma del quale non sa nulla (v. 11-12); poi però lo dichiara un “profeta” (v. 17), poi ancora un “inviato di Dio” (v. 33), ed infine lo riconosce come “Figlio dell’uomo” e “Signore” (Kyrios) (vv. 37-38). «Il contenuto della rivelazione apportata da Gesù è il suo stesso mistero; per gli uomini, si tratta di scoprire progressivamente chi è Gesù. Questo mistero è quello della sua filiazione divina: la luce venuta nel mondo (Gv 3,19) è il Figlio di Dio inviato nel mondo, affinché il mondo sia salvato da lui. La luce della rivelazione che cosa dunque è in definitiva? È la rivelazione della comunione tra il Padre e suo Figlio Gesù Cristo, rivelazione destinata a farci entrare a nostra volta in questa stessa comunione» (De la Potterie).

Specularmente, dalla parte dei farisei avviene il contrario: questi affermano che Gesù non è da Dio (v. 16) e che è un peccatore, e anzi negano addirittura i suoi miracoli (v. 24). Non sono in grado nemmeno di capire da dove venga quest’uomo, e nemmeno l’origine della sua autorità (v. 20). Mentre il cieco nato riesce a dare un nome alle persone che incontra e che poi arriva a conoscere profondamente, fino a dire che Gesù è il Signore, i farisei sono troppo presi dalla loro apologetica e dal loro peccato per mettersi in discussione.

Il nostro brano è un punto fermo nel cammino quaresimale. L’affermazione del cieco nato, apice della sua scoperta, «Io credo, Signore!» costituisce il culmine del rito battesimale, e lo è anche nella rinnovazione delle promesse battesimali durante la celebrazione della veglia pasquale. Per questa ragione, come ci ricorda un altro esperto del Quarto vangelo, R. Brown, l’episodio della guarigione del cieco nato è stato interpretato dai padri della Chiesa in chiave sacramentale: «Tertulliano apriva il suo trattato sul battesimo con le parole: “La presente opera vuol trattare il nostro sacramento dell’acqua che lava via i peccati della nostra cecità originale e ci fa liberi per la vita eterna”». Per questo possiamo pregare con la Colletta: «Padre, che per mezzo del tuo Figlio operi mirabilmente la nostra redenzione, concedi al popolo cristiano di affrettarsi con fede viva e generoso impegno verso la Pasqua ormai vicina».

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