Padre Giulio Michelini – Commento al Vangelo di domenica 13 Dicembre 2020

Giovanni: voce e testimonianza

Nuovamente, come già la scorsa domenica, ecco il Battista che prende la scena del tempo d’Avvento. Questa volta a presentarcelo è il Quarto Vangelo, che nel suo Prologo dedica largo spazio a “quest’uomo, mandato da Dio, il cui nome era Giovanni”.

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Quante cose, Giovanni, dice di non essere. Non è la luce, perché la luce è Cristo. Non è il Cristo, perché lo è Gesù di Nazaret. Non è Elia, non è il profeta. Insomma, Giovanni rifiuta i ruoli che gli vogliono imporre, quelli tradizionali che rappresentavano in modo standard le attese degli ebrei di quel tempo. Di se stesso, diceva piuttosto: «Io sono voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore», e l’evangelista scrive di lui che era «il testimone della luce». Voce e testimonianza: su questi due aspetti ci concentriamo.

La voce. Agostino osserva che Giovanni era la Voce “provvisoria”, ma Cristo sarebbe stata la Parola “eterna”: ma di quale voce sta parlando il Battista? La stessa di Isaia che annuncia la consolazione. La scorsa settimana è stato proclamato un solo versetto del profeta, quello riportato da tutti i vangeli, che serve per presentare Giovanni; oggi possiamo soffermarci su tutto il brano da cui quello era stato estratto. Il testo isaiano dice così: «Consolate, consolate il mio popolo, dice il vostro Dio. Parlate al cuore di Gerusalemme e gridatele che è finita la sua schiavitù, è stata scontata la sua iniquità, perché ha ricevuto dalla mano del Signore doppio castigo per tutti i suoi peccati. Una voce grida: Nel deserto preparate la via al Signore, appianate nella steppa la strada per il nostro Dio» (Is 40,1-3). Come vediamo, si sta parlando del tempo dell’esilio di Israele a Babilonia, visto dai profeti come un giudizio sulle iniquità di Israele, come un castigo per la sua infedeltà alla Torah. Ebbene, Giovanni annuncia – come aveva già fatto Isaia – che l’esilio è finito, il castigo è terminato, e per chi accoglie la conversione attraverso il battesimo, una grande consolazione è pronta.

La testimonianza. Ma l’aspetto più caratteristico dell’interpretazione giovannea del Battista viene dall’idea di testimonianza alla verità. Ben poco di quello che colpisce i sinottici a proposito di Giovanni (il suo modo di vestire o di mangiare, ad es.), appare nel Quarto Vangelo, perché l’evangelista si interessa di lui, piuttosto, vedendolo come il primo testimone nel grande processo alla Parola. Come ha notato Raymond Brown, se nei sinottici abbiamo un solo processo a Gesù, quello all’interno del racconto della passione, il Quarto vangelo invece mostra che tale cruciale avvenimento della vita del Messia percorre tutto il suo ministero. Il lessico giudiziario, come confessare, testimoniare, ecc., si ritrova in tutto il vangelo e ovviamente anche nel Prologo. La Parola di Dio ormai è stata rivelata agli uomini, ma questi la respingono o la tengono sotto scacco, insomma la mettono alla sbarra; e Giovanni il Battista è parte di questo processo.

Si comprende allora perché il Battista, diversamente dai vangeli sinottici, nel Quarto Vangelo è colui che mostra l’agnello di Dio. «Al di là del Giordano, dove Giovanni stava battezzando», il testimone offre la sua prima testimonianza. Leggiamo, infatti, al v. 29 (quello che segue al vangelo di oggi): «Il giorno dopo, Giovanni vedendo Gesù venire verso di lui disse: Ecco l’agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo! Ecco colui del quale io dissi: Dopo di me viene un uomo che mi è passato avanti, perché era prima di me. Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare con acqua perché egli fosse fatto conoscere a Israele». Continua l’Evangelista, commentando: «Giovanni rese testimonianza dicendo…» (Gv 1,32). Il Battista qui non solo (come nei sinottici) annuncia, prepara, intravede, ma capisce e indica, riconosce e testimonia. Come in un processo, quando viene chiesto ad un teste di parlare, Giovanni puntando il dito dice: “sì, è lui, lo riconosco: è il Messia”.

Nel Vangelo secondo Giovanni, la parola “testimonianza” (martyria) è molto più usata che in qualsiasi altro scritto neotestamentario. Il Battista la rende per primo, ma anche il discepolo che scrive il vangelo (cfr. Gv 21,24); il Padre, poi è Colui che può attestare che Gesù è il Signore (cfr. Gv 5,32), perché lo risusciterà dalla morte. Come ha fatto il Battista, ogni cristiano è invitato a dare la sua testimonianza. In questo nostro mondo, è sempre più necessario che i credenti “mostrino” chi è che salva le vite delle persone, chi è la luce nelle tenebre che coprono la terra; molte altre proposte circolano ormai tra noi: Gesù – lo testimonia chi vive il Vangelo – può salvare le nostre vite.

Betania. «Questo avvenne in Betania, al di là del Giordano, dove Giovanni stava battezzando». Betania, da non confondere con un’altra Betania (vicino Gerusalemme, cfr. Gv 11,18): il Quarto vangelo è l’unico a darci l’indicazione esatta del posto in cui il Battista riconosce il Messia. In quel sito – localizzato dal più famoso archeologo dei luoghi santi, il francescano minore Michele Piccirillo – ora c’è un parco archeologico, visitato dai pellegrini, tra i quali Giovanni Paolo II durante il viaggio in Terra Santa nel 2000. Serve tornare lì, dove tutto è iniziato, sulle rive del Giordano, per vedere di nuovo chi ci mostra Colui che può prendere su di sé, e togliere da noi, il peccato del mondo.


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