p. Ermes Ronchi – Commento al Vangelo di domenica 16 Gennaio 2022

913

A Cana il volto gioioso del Padre

Padre Ermes Ronchi commenta il brano del Vangelo di domenica 16 Gennaio 2022

Festa un po’ strana, quella di Cana di Galilea: lo sposo è del tutto marginale, la sposa neppure nominata; protagonisti sono due invitati, e alcuni ragazzi che servono ai tavoli.

Il punto che cambia la direzione del racconto è il vino che viene a mancare. Il vino nella Bibbia è il simbolo dell’amore. E il banchetto che è andato in crisi racconta, in metafora, la crisi dell’amore tra Dio e l’umanità, un rapporto che si va esaurendo stancamente, come il vino nelle anfore. Occorre qualcosa di nuovo.

Vi erano là sei anfore di pietra… Occorre riempirle d’altro, finirla con la religione dei riti esterni, del lavarsi le mani come se ne venisse lavato il cuore; occorre vino nuovo: passare dalla religione dell’esteriorità a quella dell’interiorità, dell’amore che ti fa fare follie, che fa nascere il canto e la danza, come un vino buono, inatteso, abbondante, che fa il cuore ubriaco di gioia (Salmo 104,15).

Il Vangelo chiama questo il “principe dei segni”, il capostipite di tutti: se capiamo Cana, capiamo gran parte del Vangelo. A Cana è il volto nuovo di Dio che appare: un Dio inatteso, colto nelle trame festose di un pranzo nuziale; che al tempio preferisce la casa; che si fa trovare non nel santuario, nel deserto, sul monte, ma a tavola.  […]

Continua a leggere tutto il testo del commento su Avvenire


COPPE GRIGIE DI LACRIME, ROSSE DI SORRISI

C’è una festa nuziale a Cana, in Galilea, in quella notte di fiaccole accese, di canti e di balli.
Le porte sono aperte, il cortile pieno di gente. C’è accoglienza perfino per la rumorosa e variopinta carovana di discepoli salita dal lago, al seguito di Gesù.

Una festa un po’strana: la sposa non è neppure nominata, lo sposo è del tutto marginale.
Ma quelle nozze raccontano l’amore tra Dio e l’umanità, una vicenda che si va esaurendo, come il vino di Cana. Occorre qualcosa di nuovo.
Gesù non ha declinato l’invito, come avesse altre cose da fare, ma raggiunge la festa, e lo fa con il suo “vestito nuziale”, un volto di gioia da indossare quando le parole non bastano a raccontare l’anima leggera.
Israele risuonava del grido di schiavi e lebbrosi, di gente che malediceva la vita, e Gesù avvia il suo servizio alla vita partecipando ad una festa.

Anziché asciugare lacrime, colma le coppe di vino!
Dio presente. Comunque.
Anche Maria partecipa alla festa, e nel suo osservare discreto vede ciò che nessuno nota, vede che il vino è terminato. Il banchetto è fin troppo generoso e il vino finisce in fretta, ma gli invitati sembrano non accorgersi di nulla.
Il vino non è indispensabile, è un di più inutile a tutto eccetto che alla qualità della vita, e Maria lo sa.
A lungo abbiamo pensato che Dio non amasse le feste degli uomini. A Cana, invece, la fede ha un battesimo di gioia. Questo segno, il “primo di tutti i segni”, rivela che Dio gode della gioia degli uomini, e vi collabora perché riesca al meglio.
Che Cana sia un fatto storico o un racconto simbolico, poco importa. La bella notizia è che Dio si unisce al nostro piacere di esistere, con quella sinergia che fa cambiare colore alla vita.

Anche a noi a volte manca “quel non so che”, piccoli perdoni, piccoli sorrisi, piccole tensioni da chiarire, piccole parole di tenerezza e di cura.
Manca il vino buono dell’alleanza complice.
Cana ci sussurra una domanda: cosa manca attorno a noi? Cosa, per uscire dal piccolo privato, e vibrare per il bene comune?
E’ Maria ad indicare la strada: “Qualunque cosa vi dica, fatela”. Fate il suo Vangelo, e le vuote e grigie anfore del cuore si riempiranno di energia.

Qui a Cana, Gesù annuncia la sua fede nell’amore tra uomo e donna. Ci crede a tal punto da farne il luogo primario della sua evangelizzazione, originario spazio di vangelo, perché l’amore umano ha fame di eternità e di assoluto, perché è la forza che mette la persona prima della legge, dove la speranza spegne la rassegnazione e i sogni si lanciano nel futuro.
Il Dio in cui credo è il Dio delle nozze di Cana.
E io, cosa posso offrirgli? Solo acqua, nient’altro che acqua. E forse un po’ d’amore.
Eppure Lui lo vuole tutto, ne ha sete e lo benedice, e lo fa maturare, e lo fa crescere, su fino all’orlo di tutte le mie anfore.

Tratto dal mio: “Devo fermarmi a casa tua” – ed. Messaggero – 2021

AUTORE: p. Ermes Ronchi FONTE: Avvenire e PAGINA FACEBOOK