Nicola Montereale – Commento al Vangelo di domenica 21 Febbraio 2021

“CHISSÀ SE NON CAMBI…”

QUARESIMA COME CAMBIO DI ROTTA INTERIORE 

Inizia oggi l’austero cammino della Quaresima, tempo forte dell’anno liturgico e tempo favorevole per la conversione del cuore. 
Il numero 40, che richiama simbolicamente i 40 anni del popolo d’Israele nel deserto e i 40 giorni di Gesù nel deserto tentato dal diavolo, sia per tutti il tempo dell’austerità per ritrovare il silenzio esteriore e interiore e fare il punto sul proprio cammino di fede.
Così la Chiesa canta nell’inno della Liturgia delle Ore alla soglia di questo tempo santo:
“Sia parca e frugale la mensa, sia sobria la lingua e il cuore; è il tempo di ascoltare la voce dello Spirito”.
Quaresima è la quarantena del parlare superficiale, della chiacchiera, dell’ovvietà, che è tutto ciò che si incontra e si incrocia per la via e si raccoglie senza pensarci.
Quaresima è anche il “sostare accanto alle proprie macerie” (André Louf).

In altri termini, questo tempo forte è un itinerario spirituale, interiore, e che ha anche una dimensione ecclesiale e comunitaria, proprio perché non ci si salva mai da soli, ma sempre insieme e con le mani nelle mani.
Il segno eloquente dell’inizio quaresimale sarà la cenere, elemento antico usato per fare il bucato e segno esteriore di una conversione interiore.
La conversione è il cambiamento di rotta verso il bene; è il combattimento contro lo spirito del male.
La Quaresima, inoltre, ha oltre che una connotazione estetica (silenzio esteriore e interiore) anche una connotazione etica (guardare al bene – fare il bene – essere nel bene).

Conversione è “ravvedersi riguardo al male”, fatto e subito, è cambiare direzione di fronte a quel “peccato che ci sta sempre davanti”.
“Laceratevi il cuore e non le vesti” significa frantumare le pareti interiori sporche dalla sozzura del peccato.
Questo ci permette di fare un passo avanti: che cos’è il peccato?
Tale parola letteralmente indica l’atto di fallire il  bersaglio, di non aver centrato il cuore, di essere usciti fuori strada.
Il peccato può avere tre direzioni: una direzione verticale, verso Dio; una orizzontale, verso gli altri e una di profondità, verso se stessi.
Ma il peccato non è l’ultima parola. Ci è data la possibilità in questo tempo di non lavarci più con la nostra stessa acqua sporca.
Ci è data un’acqua nuova, quella di Dio, ed è la misericordia, la quale è sempre più in alto ed sempre oltre ogni nostro peccato.
Il Dio di Gesù Cristo non è un Dio che “ci tratta secondo i nostri peccati o che ci ripaga secondo le nostre colpe”.
La Quaresima, quindi, non è il tempo del delitto e del conseguente castigo, ma il segno sacramentale del “rendere la gioia di essere salvati”.
Ma Dio non forza la porta della nostra libertà; non si permette di decidere al posto nostro. Anzi, tocca a noi prenderci il rischio della nostra libertà.

Mi piace pensare che Dio, proprio nel tempo della nostra scelta, dica tra sé e sé quanto il profeta Isaia ci riferisce: “Chissà se non cambi e si ravveda…”.
Il “chissà” è l’avverbio della possibilità e non dell’incertezza. Potremmo dire che è la locuzione del tempo quaresimale.
Nel Vangelo odierno, Cristo poi ci fornisce la strada del “chissà” della nostra conversione:
carità – preghiera – digiuno.

Questi tre elementi sono “la forza di astenerci dai nostri vizi” e il lavorio della Misericordia di Dio in noi. Ma Cristo non si ferma qui. Ci offre delle indicazioni chiare e precise: questa Misericordia deve tradursi in una carità che non suoni la tromba, ma che rimanga nel silenzio delle proprie mani; in una preghiera che non esca fuori dalla propria stanza interiore; in un digiuno che profumi di novità e non abbia gli occhi tristi.
Tale itinerario ci permetterà di essere tesi e “protési alla gioia pasquale”, anche se ancora soggiorniamo nel deserto quaresimale.
Qualcuno obbietterebbe: ma come possiamo dare agli altri quello che noi per primi non abbiamo ancora? Come possiamo asciugare le lacrime dei vicini se non si fermano quelle nostre interiori?
Fare il bene fa bene agli altri e a noi stessi.
Il bene dato diventa sempre prima o poi bene ritornato e ritrovato.

La filosofa tedesca di origine ebraica Hannah Arendt, nel suo testo “La banalità del male”, asserisce: “Il male è sempre banale e non per questo meno pericoloso. Il male si espande però sempre in superficie, come un fungo. Solo il bene è profondo e radicale”.
Sì, forse il bene ama i tempi lunghi, ma è sempre più profondo e sicuro. 
Isaia quasi ci offre delle dritte per fare il bene:
il bene possibile consiste nel “sciogliere le catene inique, nel dividere il pane l’affamato, nell’introdurre in casa i miseri, senza tetto, nel vestire chi è nudo, senza distogliere gli occhi da quelli della tua gente…”.

Quest’ultima sottolineatura è un monito a coloro che pensano che la carità si sviluppi solo ed esclusivamente verso i lontani e verso coloro che abitano fuori dalle nostre case. 
No, la carità che fa più bene è quella tra le mura di casa nostra.
Continua Isaia: “[…]Se toglierai di mezzo a te l’oppressione, il puntare il dito e il parlare empio, allora brillerà fra le tenebre la tua luce”. 

Chi fa il bene, chi vive di carità – anche se sta vivendo nel fango del peccato – brillerà come luce, perché il bene ha sempre la meglio sul male.
Chi si pone in questa prospettiva sarà chiamato – per usare ancora le parole del profeta veterotestamentario –  “riparatore di brecce, restauratore di case in rovina”. 

Solo allora potremmo quindi essere ambasciatori di quella misericordia che abbiamo sperimentato prima sulla nostra pelle.
La Quaresima – come vedremo nelle cinque domeniche – è fatta di luoghi, di tempi e persone. 
Partiremo dal deserto, andremo sul monte, poi sosteremo nel tempio di Gerusalemme, dopo ci mobiliteremo con Nicodemo di notte per parlare con Gesù e infine entreremo nei luoghi della passione. Ogni domenica sarà una tappa da vivere dentro prima che fuori.
Forti nella fede, camminiamo insieme verso la luce della Pasqua, cuore è fondamento della fede cristiana.


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