mons. Vincenzo Paglia – Commento al Vangelo del 29 Novembre 2020

Oggi inizia l’anno liturgico. Non è una replica di una storia già conosciuta. Siamo peraltro tutti analfabeti della vita e di Dio.

Ogni anno è comunque diverso dall’altro. Anche noi non siamo gli stessi. Stare con il Signore non è una ripetizione sempre uguale: lo diventa quando teniamo la nostra vita lontana da Lui o siamo superficiali. Le domeniche ci aiuteranno a capire nell’oggi il mistero della sua presenza tra gli uomini. Come ogni storia di amore, anche quella di Dio con noi ha vari momenti, tutti importanti.

Cercheremo di riviverli assieme, per non invecchiare, per riscoprire, per capire come dei bambini. Il suo amore dona senso e futuro ai nostri giorni. La prima cosa che viene chiesta, a tutti, è di aspettarlo. Dice Gesù: “Vigilate dunque, poiché non sapete quando il padrone di casa ritornerà”. Tutta la nostra vita è un’attesa. Quando non aspettiamo più nessuno, quando il domani sembra non esserci più, ecco che iniziamo un po’ a morire. Quando lasciamo solo qualcuno lo aiutiamo a morire. Qualche volta pensiamo che in fondo gli altri non aspettino niente, che non serva loro nulla, che stiano bene così. Non è vero. Chi aiuta gli uomini a sperare? Chi cerca di capire e rispondere all’attesa dell’altro o di interi popoli segnati dalla guerra e dalla violenza? Chi incoraggia e risponde all’attesa dei giovani? Anche per questo dobbiamo essere “vigilanti”.

Il tempo liturgico viene scandito dal tempo di Dio; o meglio, è il tempo di Dio che entra in quello degli uomini. Ed è misurato dal mistero stesso di Gesù: inizia dalla sua nascita, alla predicazione in Galilea e in Giudea sino alla morte, resurrezione e ascensione al cielo. Ogni domenica, da questa prima di Avvento sino alla festa di Cristo Re, la Parola di Dio ci prende per mano, ci sottrae in certo modo alla schiavitù dei nostri ritmi, e ci introduce dentro il mistero di Cristo, per renderci partecipi della sua stessa vita. Con il tempo liturgico riceviamo il grande dono di divenire contemporanei di Gesù. È questa la “forza” delle domeniche, che faceva dire ai primi cristiani: “Per noi è impossibile vivere senza la domenica”.

“Avvento”, lo sappiamo bene, significa “venuta”, ossia la nascita di Gesù in mezzo a noi. E fin dai tempi antichi la Chiesa ha sentito il bisogno di preparare il cuore dei fedeli ad accogliere il Signore. La Liturgia di oggi mette sulle nostre labbra le parole di Isaia: “Perché Signore ci lasci vagare lontano dalle tue vie e lasci indurire il nostro cuore, così che non ti tema? Ritorna, per amore dei tuoi servi Se tu squarciassi i cieli e scendessi!” (Is 63,17.19). Sì, chiediamo al Signore: “ritorna, Signore, per amore dei tuoi servi”. Ne abbiamo bisogno. Ne ha bisogno il mondo intero. Ne hanno bisogno i paesi più poveri ove milioni e milioni di uomini e di donne muoiono di fame ogni giorno. Ne hanno bisogno le grandi città dei paesi ricchi che emarginano schiere innumerevoli di deboli, di anziani, di malati. Ne hanno bisogno i cuori di tanti perché si allontanino dalla durezza e dalla violenza, si commuovano sui poveri e sui deboli e si adoperino per edificare un nuovo futuro di pace per tutti.

Con il profeta gridiamo ancora: “Se tu squarciassi i cieli e scendessi!”. È la nostra preghiera dell’Avvento; è la preghiera universale di questo tempo. L’Avvento irrompe nelle nostre giornate per ricordarci questa invocazione del profeta e per fare nostre le grida dei tanti che aspettano qualcuno che li salvi dalla tristezza della vita. Queste grida, spesso lontane dalle nostre orecchie, sono in realtà la vera nostra coscienza. Esse ci aiutano a comprendere il senso concreto dell’Avvento e ci spingono a non restare addormentati nella nostra ricchezza e nella nostra avara tranquillità. Noi, pur così smaliziati, abbiamo forse smarrito il senso dell’attesa; siamo convinti che non verrà nessuno a salvarci; tanto vale rassegnarci e ciascuno pensi a se stesso.

Che triste una società senza Avvento, senza un po’ d’inquietudine! Dio non lascia “avvizzire la nostra vita”; non vuole che vaghiamo come chi cammina senza sapere verso dove; non lascia senza forma l’argilla, la creta della nostra vita. Squarcia i cieli e diventa lui la via per il cielo. Ci fa scoprire il desiderio di cielo, di speranza, che c’è in ognuno di noi e in ogni uomo. E quando aspettiamo qualcuno c’è in noi la speranza, anzi la gioia dell’attesa. E a gioirne per primo è il Signore che ci viene incontro per stare con noi. Egli viene come uno che ci ama. La richiesta dell’Avvento è fare spazio nel nostro cuore al Signore che viene.

Egli si avvicina alla porta del nostro cuore. Dobbiamo vigilare in questo tempo come quando aspettiamo qualcuno che deve tornare a casa e stiamo attenti a sentire il suo rumore, i suoi passi, per potergli aprire subito la porta della casa. “Ecco dice il Signore, nell’Apocalisse sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me”. L’Avvento ci invita a stare svegli, a non lasciarci sorprendere dal sonno. Svegliamoci dal tepore dolce di chi pensa di stare a posto, perché ha già fatto molto; dal sonno triste del pessimismo, per cui non vale la pena fare nulla; dal sonno agitato e sempre insoddisfatto degli affanni e dell’affermazione di sé.

Svegliamoci dal sonno distratto di chi non ascolta più, dal sonno dell’impaziente che vuole tutto e subito, che non sa attendere, che resta deluso e anche addormentato. Diciamo invece al Signore: “Vieni Signore Gesù, vieni presto, dona consolazione e pace. Squarcia i cieli e apri un futuro per chi è schiacciato dal male. Liberaci dall’amore per noi stessi che addormenta il cuore. Insegnaci a stare attenti per riconoscerti e aprirti la porta del cuore, dolce ospite, amico di sempre, speranza nostra”.


Fonteil sito web di mons. Paglia

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