Luciano Manicardi – Commento al Vangelo di domenica 22 Dicembre 2019

Giuseppe, giusto perché umano

L’annuncio della venuta del Signore, che domina tutto l’Avvento, nella quarta domenica diventa annuncio della sua venuta nella carne, diviene la nascita di un uomo. Certo, in questa domenica non si contempla ancora l’evento della nascita, ma si dice ciò che lo prepara – l’annuncio dell’angelo a Giuseppe: “Maria darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù” – e ciò che lo precede – la storia d’amore di un uomo e di una donna. La venuta del Signore diventa un fatto della più ordinaria quotidianità e della più straordinaria umanità: la nascita di un bambino. Qui emerge la figura di Giuseppe e la sua umanità, la contrastata fiducia che arriva a fare a Maria e la sua faticosa obbedienza agli eventi intervenuti nella sua vicenda personale. Giuseppe compie un atto di fiducia che contrasta con il buon senso, ma non con l’amore, contrasta con la ragionevolezza, ma non con il desiderio. E arriva a obbedire a eventi che suggerivano disperazione o violenza, rifiuto o accusa. E la fiducia in Maria si accompagna alla fede nell’azione di Dio.

La nascita di Gesù segue la lunga serie di generazioni che apre il primo vangelo (Mt 1,1-16) ma appare anche in discontinuità con essa. Dice letteralmente il v. 18: “Ora, la genesi di Gesù Cristo era così”. Una sfumatura avversativa sottolinea che la modalità dell’origine di Gesù è diversa da quella dei suoi antenati. Se la nascita di Gesù è inserita nello scorrere delle generazioni che in certo modo continuano a vivere nel nuovo nato (ecco il senso durativo di quell’era), tuttavia ora c’è un novum che si innesta in questa serie genealogica. L’evangelista non scrive: “Giuseppe generò Gesù”, ma “Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è stato generato Gesù chiamato il Cristo” (Mt 1,16). Non c’è un legame immediato fra Giuseppe e Gesù, ma fra Giuseppe e Maria. Ed è la qualità umana di questo rapporto che viene messo in luce come ciò che accompagna la nascita messianica.

“Maria, promessa sposa a Giuseppe, prima che essi venissero ad abitare insieme, si trovò incinta per opera dello Spirito santo” (Mt 1,18). Siamo subito al cuore del dramma e dello scandalo della vicenda: nel progetto matrimoniale tra i due giovani si insinua l’inatteso, l’indesiderato, lo sgradevole. Maria “fu trovata incinta”. L’ordinarietà della comunissima storia di due giovani fidanzati è turbata da un evento che tutto sconvolge, ma anch’esso altrettanto ordinario. Perché quella gravidanza non può essere letta altrimenti, in prima battuta, che come frutto di un tradimento. Matteo dirà che Maria generò un bambino “senza che Giuseppe la conoscesse” (Mt 1,25), cioè senza che avesse avuto rapporti sessuali con lei. Anche quell’inatteso fa parte dell’ordinarietà della vita e rientra in quell’irregolare umano che forse è l’unica regola, la vera costante delle vicende umane. La storia di Giuseppe e Maria si sottrae al quadro regolarmente costruito su usi tradizionali e costumi culturali e religiosi. Dal punto di vista di questi ultimi Maria è adultera e le leggi che sanzionavano l’adulterio erano volte a proteggere il diritto di proprietà dell’uomo sulla donna. L’adulterio era commesso da un uomo e da una donna, ma era sentito come un peccato particolarmente femminile, legato al fatto che la donna, se sposata, era moglie-di …, appartenente al marito; se era vergine, non fidanzata, era figlia-di …, appartenente al padre: così l’adulterio era un peccato sociale che rompeva l’ordine patriarcale. Il comportamento di Giuseppe contravviene alla tradizionale regolamentazione del diritto patriarcale. Appunto, come si comporta Giuseppe? Agisce con umanità. Il testo dice che Giuseppe è giusto. Ma qui giustizia significa umanità: “Il giusto dev’essere umano” (Sap 12,19).

Giuseppe sottrae il legame con Maria alla logica del dominio e del possesso. La giustizia di Giuseppe è coscienza della comune creaturalità. Cioè che l’altro non è anzitutto un peccatore, un errore fatto persona, un traditore, ma un essere che ha ricevuto la vita come dono e come onere, come dono e come compito. Giuseppe non svergogna, non denigra Maria né con parole né con gesti, non agisce neppure in modo formalmente legittimo ma che produrrebbe sofferenza. La giustizia di Giuseppe è empatia, è capacità di sentire l’unicità dell’altra persona, è capacità di sentire in sé la sofferenza che procurerebbe a Maria una certa sua decisione. La giustizia di Giuseppe si manifesta nel “non voler accusarla pubblicamente”, nel non ergersi a suo padrone decidendo che dovrà soffrire.

Il non volere di Giuseppe indica una sua lotta interiore, una possibilità reale che gli si presenta, ma che lui sente ingiusta, cioè inumana, e perciò vi si oppone. Anche se un’eventuale denuncia sembrerebbe rivolta verso una persona che ha tradito la sua fiducia e il suo amore. Giuseppe non pensa che la colpa dell’altra persona dia a lui dei diritti su di essa. Né Giuseppe si preoccupa della sua immagine, di uomo ferito nell’onore, leso nel suo diritto nei confronti della sua promessa sposa. Giustizia, come lavoro interiore, è anche capacità di liberarsi da se stessi, dal senso di una ferita ricevuta, di un tradimento subito, che spesso è solo sentimento di lesa maestà di un ego ipertrofico. Questo non volere diviene quindi decisione, scelta di rinviare Maria in segreto per non compromettere il suo futuro, per non rendersi padrone del futuro di una vita che, se anche era legata a lui, non gli appartiene. Ecco ciò a cui giunge Giuseppe con umanità e con amore. Ma qui il testo ci fa compiere un significativo salto verso le profondità di Giuseppe.

Mentre Giuseppe elaborava in sé questo pensiero, ecco il sogno notturno in cui si fa strada una soluzione nuova. Nel lavorio interiore di Giuseppe vengono coinvolte sia la sfera conscia (riflessiva, volitiva, decisionale), sia la dimensione inconscia, espressa dal sogno. Ma la dimensione onirica rinvia alla sfera del desiderio. E Giuseppe, in questo travaglio, viene generato come padre. Nel sogno ecco la rivelazione: prendere con sé Maria come sua sposa accogliendo anche la vita che lei genererà e che non viene da lui, ma a cui lui darà un nome inserendolo in una famiglia e in una storia. Assumendo la paternità legale di Gesù, Giuseppe svolge nei suoi confronti il compito del riconoscimento: gli dà un nome e una storia, lo inserisce in un contesto umano in cui si potrà radicare per sviluppare la sua unicità. Gli dà un passato grazie a cui potrà avanzare verso il futuro. Giuseppe, che non ha fisicamente generato Gesù, tuttavia ha svolto la missione del padre e ci mostra che la paternità non solo non si esaurisce nel generare, ma nemmeno la si può identificare con un ruolo che obbedisce a regole e simbolismi prefissati: essa è un evento pneumatico. È un evento che accade tra la libertà del genitore e la potentissima fragilità del neonato (fragilità che dice: “o tu mi accudisci o io muoio”). E dall’incontro tra la libertà del genitore e la fragilità del figlio nasce la responsabilità del padre, nasce la paternità come responsabilità.

Il sogno è un segno: in Matteo tutti i sogni di Giuseppe si risolvono in parole che indicano una via e una scelta sempre rischiose: fuggire in Egitto, ritornare in terra d’Israele, prendere con sé Maria. La vicenda di Giuseppe e Maria è storia di morte e resurrezione di una relazione. La fede obbediente sa andare oltre la giustizia umana e porta Giuseppe a compromettersi assumendo una storia che sfugge alla sua comprensione e che tuttavia egli vive sensatamente e con amore. Il sogno, rivelazione divina ed emersione del desiderio umano, dice l’incontro fra desiderio di Dio e desiderio di Giuseppe che trova una soluzione inattesa, profetica: prendere con sé Maria e dare il nome a Gesù. L’angelo che visita Giuseppe è segno del desiderio divino che porta Giuseppe a superare la paura: “Non temere!” dice l’inviato celeste (v. 20). Giuseppe, nella fede, deve affrontare la paura delle convenzioni, delle usanze del clan familiare, del giudizio altrui e, più in profondità, la paura del desiderio stesso che lo abita. Il sogno si manifesta essere potenza di realtà, capacità di aprire il futuro, di far sorgere possibilità inedite. Grazie ad esso Giuseppe varca i limiti del ragionevole e fa entrare nel diurno il regno del notturno, dell’inaudito. La giustizia di Giuseppe diviene profezia, coraggio di osare ciò che convenzioni culturali, dettami etici o pratiche religiose interdivano.

Il futuro di Giuseppe e di Maria viene partorito in quel movimento desiderante che è il sogno. Giuseppe manifesta la sua giustizia obbedendo a Dio che, attraverso la Scrittura e il sogno, illumina quella situazione di Maria che di per sé appariva solo come storia di peccato. Giuseppe assume quella storia enigmatica, vedendo la santità e l’azione dello Spirito là dove si poteva vedere solo il peccato. Giuseppe è l’uomo di fede che non fugge la realtà, ma la assume e la significa nella fede, riconosce in tutto un evento di Dio, il compimento della storia di salvezza, riconosce che gli eventi che ha davanti possono essere letti alla luce delle parole di Isaia: “il Signore stesso vi darà un segno. Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele” (Is 7,14). Giuseppe, che non si arrende ai dati del reale è il vero realista, colui che accoglie la realtà facendovi abitare la potenza del desiderio, del sogno. Perché solo così la vita diviene vivibile e l’amore si mostra vittorioso.

 

A cura di Luciano Manicardi – Fonte


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