Lectio Divina di domenica 10 Marzo 2019 – Comunità di Pulsano

Lectio Divina di domenica 10 Marzo 2019 a cura della Comunità monastica di Pulsano.

DOMENICA «DELLE TENTAZIONI DEL SIGNORE»

Gli evangeli sottolineano fortemente il legame tra il battesimo di Gesù e la tentazione a cui è sottoposto dal demonio: condotto nel deserto dallo Spirito ricevuto nelle acque del Giordano, Gesù viene messo alla prova durante il suo digiuno di quaranta giorni. Luca coglie l’occasione per presentare, in un primo scontro, i due protagonisti di un dramma che raggiungerà il culmine «al tempo fissato», cioè al venerdì santo. Affrontando il demonio, personaggio fondamentale della passione, all’inizio della sua vita pubblica, Gesù fa vedere come intende la propria condizione di Cristo, Figlio di Dio.

In che modo Gesù, secondo Luca, si presenta come Figlio di Dio? In primo luogo, egli rifiuta di servirsi della propria potenza come di un potere magico e per fini egoistici. Definisce quindi la propria sovranità di Figlio nei confronti delle istanze politiche del mondo: la sua regalità è sottoposta unicamente a Dio, da cui egli riceve tutto ciò che è. Infine, condotto a Gerusalemme per affrontare la passione, respinge l’idea di tentare il Padre esigendo una protezione particolare che manifesterebbe agli occhi di tutti la sua legittimità. Luca intende dunque presentare Gesù come modello ai cristiani, dato che la prova è la sorte quotidiana di tutti i battezzati.

Ogni vita cristiana deve affrontare tentazioni più o meno radicali. Il culto del denaro, di cui si sente dire facilmente che «non puzza»; l’ipertrofia del potere politico, quando viene esercitato nel disprezzo dei diritti dell’uomo; lo sfruttamento della religione, quando la si riduce al ruolo di semplice strumento dell’ambizione umana. Altrettante maschere sotto cui si nasconde un tentatore che non è mai così maligno come quando fa dubitare della propria esistenza. Come il Figlio di Dio nel deserto, nella prova che prelude alla grande crisi del Getsemani, dobbiamo ripetere: «Solo al Signore tuo Dio ti prostrerai, lui solo adorerai» (Lc 4,8 che è anche l’antif, alla comunone di oggi).

La vita cristiana è scelta e mai è opportunismo! Nella lotta che Gesù conduce contro satana, il cristiano ritrova il suo dramma personale. Nel deserto, Israele aveva dovuto scegliere: la parola di Dio o la sicurezza politica e economica? Dio o gli idoli? Accogliere Dio o esigere da lui dei miracoli? Per l’autore del Deuteronomio, il popolo avrebbe dovuto appoggiarsi unicamente sulla parola di Dio. Gesù fa sua tale visione delle cose, affermando così in che modo egli intenda essere «figlio», di Dio. Venir tentato, non è semplicemente rischiare d’esser sedotti dal male; significa essere messi alle strette per una scelta decisiva: o la sicurezza di una vita sistemata, o la totale fiducia in Dio, senza neppure sapere, come Abramo, dove vorrà portarci.

Dall’eucologia:

Antifona d’Ingresso Sal 90,15-16

Egli mi invocherà e io lo esaudirò;

gli darò salvezza e gloria,

lo sazierò con una lunga vita. 

Già dal primo testo liturgico, nell’antifona d’ingresso, il Sal 90,15ac.l6a, DSap. risuona l’ottimismo. Questo Salmo, conosciuto come il Qui habitat, era molto pregato in ogni caso di necessità e dal pellegrino che recatosi al Tempio di Gerusalemme trascorreva la notte entro il suo recinto (v. 1) attendendo un oracolo di JHWH. Mettendosi sotto la protezione divina il fedele troverà salvezza e liberazione dal nemico, dalla malattia e da ogni pericolo (vv. 3-8.10-13).

Questo salmo è particolarmente conosciuto nel N.T. (cf Mt 4,6: Mc 16,18; Lc 10,19) e il Satana lo utilizza per tentare Gesù che reagisce ribadendo che la fede nella provvidenza divina esclude ogni aspetto magico e non può essere un pretesto per “costringere” il Signore a compiere miracoli. La liturgia giudaica e cristiana (nella Compieta dopo i secondi Vespri della Domenica) lo propone come preghiera serale.

Nei versetti liturgici il Signore proclama per bocca di Cristo, l’Orante dei Salmi in Quaresima, che esaudirà sempre chiunque Lo invocherà (il giusto sofferente, Gb 22,27 e Ger 33,3; il giusto caritatevole, Is 58,9), tanto più il Figlio, il sommo Epicleta del Padre nello Spirito Santo (v. 15a). Il Signore lo sottrarrà da qualunque pericolo e gli conferirà la sua gloria (v. 15c; Mt 4,11, gli Angeli che si accostano come al Re e servono come Dio il Tentato vittorioso). È la gloria che il Padre destina al Figlio (Gv 12,26), a cui il Figlio ha diritto (Gv 17,1-3), a cui il Figlio ammette donando lo Spirito Santo.

Canto all’Evangelo Mt 4,4b

Lode a te, o Cristo, re di eterna gloria!

Non di solo pane vive l’uomo,

ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio.

Lode a te, o Cristo, re di eterna gloria!

La citazione di Mt 4,4b. (tratta da Dt 8,3) nel canto all’Evangelo e nella preghiera dopo la comunione[1] dà tono a tutta la Quaresima, e a tutta la celebrazione di oggi

Letta nel contesto dell’Evangelo di oggi, ne dà l’orientamento, accentuando il senso forte della Parola Pane, «il Corpo di Cristo che si mangia ascoltando» (i Padri), il Cibo divino sempre indispensabile, ma tanto più nella tensione spirituale quaresimale.

La Parola si mangia «con la bocca del cuore nostro»:

  • Essa è Corpo di Cristo che nutre.
  • Si prolunga nel Pane e nella Coppa.
  • È nel Corpo di Cristo ch’è la Chiesa Madre.

Induce ad accettare questa triplice unitaria divina Comunione il Dono dello Spirito Santo, il solo che ponga in comunione con il Signore, la Parola del Padre, la Testa del suo Corpo sacrificale ch’è la Chiesa Sposa. Si rende autentica questa celebrazione di Lui accettandone le realtà e le conseguenze di vita. La Vittoria di Cristo Tentato diventa la vittoria di tutti i fedeli. Tale sano ottimismo fa proseguire verso la Casa del Padre, che attende tutti i figli battezzati.

La grande e santa Quaresima per la sua solennità ineguagliabile di tutti i suoi giorni non è soltanto né principalmente sforzo personale, impegno ascetico ma accoglienza e sviluppo della vita divina germinata in noi mediante il battesimo. Per questo il clima quaresimale non è triste, lugubre, pesante ma gioioso perché riflette quello pasquale: «tu doni ai tuoi fedeli di prepararsi con gioia… alla celebrazione della Pasqua[2]». La tradizione liturgica bizantina parla della Santa e grande Quaresima come di un tempo di “radiosa tristezza”.

Tutto questo non è però frutto del nostro desiderio e impegno ma è dono gratuito di Dio Padre in Cristo nell’amore dello Spirito Santo che ci viene comunicato. La duplice indole della Quaresima che come tempo «prepara» alla Resurrezione mentre come contenuti «celebra» la Resurrezione, in specie nelle sue Domeniche è stata affermata già nella Sacrosantum Concilium (cf. SC109 e 110 del Concilio Vat. II).

La serie domenicale quaresimale si apre con una pagina temibile della Vita del Signore presentando l’ottimismo evangelico (sia nelle letture che nelle preghiere eucologiche): i fedeli nutriti dalla Parola divina nella totale fiducia in Dio Salvatore con il dono dello Spirito Santo possono seguire Gesù, l’Adamo nuovo vittorioso nel Regno di gloria.

L’esame della pericope di oggi sulle tentazioni del Signore deve anzitutto considerare la contiguità temporale con il Battesimo dove il Padre consacra e invia in missione agli uomini il Figlio suo. Vale a dire che il battesimo non introduce in uno stato di sicurezza, di tranquillità, ma in uno stato di prova, inizia un tempo di lotta.

L’evangelista Luca fin dall’inizio annota che Gesù è «pieno (plḗrēs) di Spirito Santo» e l’aggettivo “pieno” indica che lo è per natura non come accade per altri personaggi intorno a Lui che sono stati “riempiti” passivamente di Spirito Santo (cfr Elisabetta 1,41 e Zaccaria 1,67) e subito lo Spirito Santo conduce Gesù nel deserto.

Tutti e tre gli anni, con sapienza pastorale, la liturgia apre il tempo della Quaresima con l’evangelo di Gesù nel deserto. La Quaresima di sua natura è simile al deserto che fa da fondale al racconto evangelico delle tentazioni di Gesù. Dire deserto sembra dire solitudine e silenzio; in realtà il deserto biblico evoca la lotta, la convivenza austera con la natura.

Il deserto per Israele è la memoria incancellabile di un esodo di liberazione, che lo ha fatto crescere come popolo; per i profeti è una scuola severa, che li ha attrezzati per la missione. Come il deserto riduce l’uomo all’essenziale, spogliandolo del superfluo e delle vanità e proiettandolo verso alcune poche cose fondamentali (acqua, cibo, strada giusta, riparo dal sole), così la Quaresima ci vuole riportare alla sostanza dell’esistenza cristiana.

Le tre letture liturgiche sono legate tra loro da un tema sottile e tuttavia basilare, radice dell’esperienza personale e comunitaria del popolo di Dio, quello della fede professata.

Il brano del Deuteronomio (I lett) è il più antico Credo di Israele; esso è ambientato all’interno della liturgia primaverile delle primizie. La parte del deserto coltivata offre i suoi primi prodotti e l’ebreo, sacrificandoli a Dio, proclama la sua fede nel Creatore e Signore della storia e la sua libertà. Dio non impone delle tasse ma fa vivere la felicità di colui che finalmente lavora in proprio! Israele ha lavorato molti anni per gli altri, per dei padroni e degli oppressori; ma ora il covone che reca dal campo appartiene a lui. Il suo lavoro può essere ancora penoso, ma è bello perché libero. Prima che il frutto della propria fatica giunga sulla mensa per nutrire i figli ed essere motivo di soddisfazione, l’ebreo lo presenta a Dio in rendimento di grazie; poiché Dio è il solo padrone che non vive del lavoro degli altri!

Il Credo che il deuteronomista professa ruota attorno a tre articoli di fede:

  1. la vocazione dei patriarchi, «aramei erranti»;
  2. il dono della libertà dopo la pesante esperienza dell’oppressione egiziana;
  3. il dono della terra promessa, cioè della patria libera «dove scorre latte e miele».

La più completa formula di fede nella Bibbia è il ringraziamento per la presenza di Dio accanto a noi, per il suo svelarsi nel quotidiano, per il suo intatto e “viscerale” amore per l’umanità, per le sue opere di salvezza che solo gli occhi puri riescono a scoprire.

Dal Credo di Israele passiamo alla professione di fede citata da Paolo nella lettera ai romani. L’apostolo qui si fa eco della Chiesa che proclama la sua fede pasquale attraverso due formule parallele:

  1. la prima è «Gesù è il Signore» [da ricordare che nella versione greca dell’A.T. il termine “Signore” (Kyrios) rendeva il nome sacro e impronunziabile di Dio stesso, JHWH]
  2. la seconda formula è ancora più esplicita: «Dio lo ha resuscitato dai morti», che è l’annuncio gioioso della Pasqua.

Questa fede è aperta a tutti – dice Paolo – e dev’essere professata con la «bocca» e col «cuore», cioè con l’adesione totale della coscienza («cuore») e con quella dell’esistenza e della testimonianza («bocca»). Bocca e cuore, liturgia e vita non sono separabili, come spesso avviene in forma ipocrita.

Nel racconto delle tentazioni abbiamo la professione di fiducia che il Cristo pronunzia tre volte nei confronti del Padre e del suo progetto di salvezza.

Le tentazioni di Gesù (il terzo ed ultimo elemento del trittico presinottico: predicazione del Battista; battesimo e tentazioni) sono descritte nei dettagli da Luca e Matteo (4,1-11), mentre Marco (1,12-13) vi fa solo un brevissimo accenno. Luca poi si discosta anche da Matteo, e assai sensibilmente, nell’interpretazione teologica che ci offre.

Alcuni autori fanno notare come in Matteo il racconto guardi al passato di Israele e intenda mostrare come i fatti dell’Esodo si ripetano nella vita di Gesù. La narrazione di Luca invece è piuttosto orientata verso il futuro, cioè verso i fatti pasquali nei quali si decide e si compie, non senza il ritorno del tentatore, l’opera della salvezza.

In dettaglio possiamo notare:

  1. Luca sottolinea il rapporto tra tentazione e battesimo di Gesù con due aggiunte nel primo versetto (e lo fa proprio perché egli ha intercalato la genealogia): pieno di Spirito Santo e si allontanò dal Giordano. Più tardi, all’inizio della predicazione di Gesù (4,14ss) Luca richiamerà di nuovo il fatto che Gesù ha ricevuto lo Spirito Santo, per dire che anche l’inizio della predicazione di Gesù fa seguito al suo battesimo.
  2. Luca esprime chiaramente il rapporto tra le tentazioni e la passione di Gesù (v. 13 dove si dice che satana si allontanò per ritornare al tempo fissato). Il riferimento va esattamente a Lc 22,3.53. Satana, per ora, si allontana dalla scena della vita di Gesù (non così per Mt 16,23) per ritornare nel momento finale e più decisivo della passione. Nel frattempo invece, secondo Luca, Satana agisce sui discepoli con varie tentazioni: cfr. Lc 8,13; 11,4; 22,40.46.
  3. l’ordine delle tentazioni ha una curiosa inversione nella seconda e terza scena rispetto al parallelo di Matteo: per Luca il vertice della tentazione non è «il monte molto alto» come per Matteo ma Gerusalemme, la città verso la quale è orientato tutto l’evangelo lucano. È noto, infatti, che l’opera di Luca si apre e si chiude nel Tempio di Sion e ha il suo cuore (cc. 9-19) in quel lungo itinerario di Gesù verso il suo destino. Gerusalemme, secondo Luca è il luogo nel quale deve avverarsi l’esodo di Gesù (Cfr. 9,30-31); qui deve ritirarsi il demonio, proprio perché qui egli ritornerà all’attacco per provocare l’ultima prova.

Esaminiamo il brano

1- «Gesù»: non è chiamato messia o con altro titolo; l’autore sembra voler porre in evidenza che quanto sta per esporre e le conclusioni teologiche che ne derivano, riguardano quel Gesù partorito da Maria e del quale ha esposto gli eventi della nascita e del battesimo. È l’uomo come noi che sta per essere tentato; inserito nella storia di tutta l’umanità ciò che accadde a Gesù riguarda tutti noi (Cfr. 3,23-38 la genealogia di Gesù).

«fu condotto dalloSpirito nel deserto»: Gesù non và nel deserto di sua spontanea volontà; anche Luca come Matteo sottolinea che l’iniziativa del ritiro di Gesù nel deserto risale allo Spirito. Quello stesso Spirito che rese possibile la sua generazione (Lc 1,35) ed era venuto visibilmente su di lui per mostrare a tutti il compiacimento del Padre (Lc 3,21s), ora lo conduce nel deserto come aveva condotto il popolo eletto (Dt 8,2). Secondo la tradizione, teatro delle tentazioni fu la zona desertica intorno a Gerico (deserto della Giudea), non lontano dal luogo del battesimo (zona, sempre secondo la tradizione, individuata con El Maghtas, circa 9 Km a est-sud est di Gerico). I visitatori di Telks-Sultan (la Gerico dell’A.T.) godono un’ottima vista del tradizionale Monte delle Tentazioni (la tradizione risale al VII secolo) sulla cui cima (secondo Matteo, Luca infatti non precisa, dice solo che Gesù fu portato in alto) Satana offrì a Gesù tutti i regni della terra a patto che si prostrasse per adorarlo. Il nome arabo della montagna, Jabal Quruntul, deriva evidentemente dalla parola francese quarante introdotta dai crociati in ricordo dei quaranta giorni delle tentazioni.

2 – «quaranta giorni»: È un’allusione ai 40 anni della generazione del deserto; il tempo della prova; è anche il tempo dell’attesa prima della rivelazione.

Gesù segue l’esempio dei Padri: Mose aveva digiunato 40 giorni sul monte, alla presenza del Signore, per ricevere la sua Legge santa (cfr Es 34,28; Dt 9,9); spezzate le tavole per il grande peccato del Vitello d’oro, ripetè lo stesso digiuno (Dt 9,18); Elia camminò e digiunò per 40 giorni e 40 notti prima di ricevere la rivelazione di JHWH sul monte Oreb.

«fu tentato»: in gr. peirázō; tentare nel linguaggio biblico ha un duplice significato: «mettere alla prova, saggiare» e «far deviare dalla retta via». Nel nostro brano il secondo significato prevale, ma non si esclude del tutto il primo, a motivo della velata allusione a Dt 8,2.

«dal diavolo»: in gr. diabolon significa «accusatore» (da dia-ballo = abbindolo con parole, accuso) perché davanti a Dio (cf. Gb 1,6) mette in luce reali o supposte colpe o cattivi propositi dell’uomo.

3 – Ecco la prima delle tre tentazioni: l’avere, cioè l’uso del potere per se stessi. Tre è il numero perfetto, la sintesi di tutte le possibili tentazioni.

«Se tu sei Figlio di Dio»: proclamato al battesimo “Tu sei”, ecco il dubbio “se“.

È la radice di ogni tentazione anche per noi, resi da Dio veramente suoi figli, battezzati e segnati dalla Croce di lui. “Figlio di Dio” è detto proprio dai demoni (8,28); dai discepoli (Cfr. Mt 14,33) e da Pietro (Mt 16,16) ; è la domanda del sommo sacerdote (Cfr. Mt 26,63 e Mc 14,61) a cui Gesù risponde con decisione ed estrema chiarezza; è la proclamazione finale del centurione sotto la Croce (Cfr. Mt 27,54 e Mc 15,39).

«dì»: attivo imperativo aoristo positivo: ordina di dare inizio a un’azione nuova. La parola in Oriente ha una forza creatrice e può dare origine anche a ciò che ancora non esiste: Dio dice per creare (Cfr. Gen 1,3.6.9. ecc.);Gesù dimostrerà con i fatti (cfr. Mc 4,39, obbedienza immediata del mare e dei venti) di avere parole di una potenza senza limiti (in ebraico parole di vita eterna, Gv 6,68).

«a questa pietra»: il singolare è proprio di Luca, mentre Matteo usa il plurale; l’impossibilità di una tale azione non riguarda certo il numero delle pietre: chi è capace di trasformare non è fermato certo dal numero.

4 – «rispose»: Gesù usa la parola, ma delude il tentatore; risponde in modo tagliente rimandando alla sola Parola divina.

«Sta scritto»: ossia alla lettera, «è stato scritto da Dio» (passivo della Divinità, usato per non nominare il nome divino). Gesù contrappone alla tentazione la riflessione e l’ammonimento di Mose ad Israele proprio riguardo a quell’episodio (Dt 8,3); Gesù sa che ogni parola di Dio è promessa che non viene mai meno.

«non di solo pane»: che vuol dire anche di pane, ma il “pane” primo è l’obbedire a Dio e il fidarsi di lui. Dio non è in alternativa al pane e non sottrae nulla all’uomo, anzi gli dà tutto perché è sua creatura. Aver suggerito questa alternativa falsa è l’astuzia del nemico che vuole rovinare l’uomo. Dio e la sua Parola non si pongono in rapporto di antagonismo mortale con l’uomo, bensì in rapporto di priorità vitale col resto; quando nel «Padre nostro» preghiamo per il pane, riconosciamo che il nostro pane è da lui, ed è infine lui, stesso la nostra vita.

5-7 A questo punto Luca dà per seconda quella che per Matteo è la terza tentazione: la tentazione del potere. Obiettivo della tentazione è l’acquisto di un potere che non faceva parte del programma messianico e salvifico stabilito da Dio per il suo Figlio.

Si tratta di un potere di tipo politico e Luca è portato a sottolineare che questo tipo di potere viene direttamente da colui che è chiamato «il principe di questo mondo». Usare i mezzi del nemico, significa già lavorare per lui, il cui fine è far usare all’uomo tali mezzi, che producono il male.

«se ti prostri dinanzi a me»: Si pecca di “idolatria” quando si conferisce il carattere di assoluto e necessario a qualcosa che non è Dio; quando l’uomo assolutizza qualunque realtà al di sotto di Dio: la legge, l’ordine, la proprietà, il lavoro, la produttività, il consumo, il piacere, il benessere, la libertà, la scienza, lo stato, la chiesa, le varie ideologie ecc. I mezzi, anche quelli buoni, diventano negativi se assolutizzati.

8 – «Sta scritto…»: la risposta di Gesù ispirata a Dt 6,13 si oppone diametralmente a questo modo di usare il potere ed è da collegarsi a Es 32,6, dove si parla del culto idolatrico del vitello d’oro, il dio visibile e disponibile che Israele si era costruito e dovette trangugiarsi (Es 32,20; e 1 Cor 10,7).

9-11 La terza è la tentazione più diabolica, ammantata anche dalle parole della Scrittura. Il diavolo mostra di conoscere perfino i testi «messianici» e di saperli applicare; cita il Sal 91(90), 11a. 12ab (il salmo responsoriale), un salmo didattico sapienziale e l’applicazione al Messia calza a pennello, beninteso quello immaginato dal diavolo.

Gesù è «la Parola Vivente» del Padre; egli è il contenuto della Scrittura; la conosce solo lui e la sa applicare solo lui. Con pazienza respinge la terza tentazione citando ancora la Scrittura, questa volta dal Deuteronomio cap. 6, celebre contesto dello Shema’Jisrael!, «Ascolta, Israele!», che inculca il precetto dell’amore verso il Signore unico, che è fedele e non va tentato come avvenne a Massah (Es 17,7).

Gesù ha subito nuovamente questa stessa tentazione durante la passione (cfr Mt 26,51-54). “Salva te stesso” sarà il tragico triplice ritornello della tentazione che risuona ai piedi della croce (23,35.37.39).

12 – «non tenterai»: la risposta di Gesù viene ancora dalla Bibbia: Dio va obbedito, non tentato; non deve esibirsi nei segni che chiediamo per la nostra sfiducia nella sua santità. La nostra vita è salva solo se ci si rimette a lui, alla sua giustizia che grazia.

13 – «si allontanò per ritornare al tempo fissato»: dopo aver esaurito ogni tipo di tentazione che chiude a Dio, il diavolo si allontanò. Luca annotata preziosamente per noi la breve espressione áchri kairoû (= per un certo tempo) che è densa di significato.

«kairós»: è il «tempo per la salvezza» concesso da Dio, è il tempo della Croce sotto la quale il diavolo farà ripetere le tre tentazioni.

Colui che al momento del battesimo era stato proclamato “figlio amatissimo” ora e fino alla Croce mostra che cosa vuol dire essere figlio. E cioè, come non sia una situazione tranquilla, statica, acquisita una volta per sempre, ma al contrario, una volontà da riaffermare e da riconquistare ogni giorno. Essere figlio di Dio è un impegno cui si può essere fedeli solo vincendo le tentazioni dell’autosufficienza, della potenza e della paura.

Il racconto delle tentazioni di Gesù non è dunque una favola per bambini, né un pio racconto edificante, ma al contrario gli evangeli ci suggeriscono che ciò che Gesù ha provato tocca ad ogni uomo. La prova sarà ormai il clima di ogni fede: chi sarà provato come lui, sarà figlio come lui.

II colletta:

Signore nostro Dio,

ascolta la voce della Chiesa

che t’invoca nel deserto del mondo:

stendi su di noi la tua mano,

perchè nutriti con il pane della tua parola

e fortificati dal tuo Spirito,

vinciamo col digiuno e la preghiera

le continue seduzioni del maligno.

Per il nostro Signore Gesù Cristo…

[1]          – Dopo la Comunione: Il pane del cielo che ci hai dato, o Padre, alimenti in noi la fede, accresca la speranza, rafforzi la carità, e ci insegni ad avere fame di Cristo, pane vivo e vero, e a nutrirci di ogni parola che esce dalla tua bocca. Per Cristo nostro Signore.

[2]  Prefazio di Quaresima I: Ogni anno tu doni ai tuoi fedeli di prepararsi con gioia, purificati nello spirito,

       alla celebrazione della Pasqua,

       perché assidui nella preghiera e nella carità operosa,

       attingano ai misteri della redenzione

       la pienezza della vita nuova

       in Cristo tuo Figlio, nostro salvatore.

 

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