Fabio Quadrini – Commento al Vangelo di domenica 19 Luglio 2020

Ma cosa significa «zizzania»?

Gli studiosi e i linguisti propongono varie tesi etimologiche, ma la radice certa da cui far derivare «zizzania» rimane molto dubbia.
C’è chi afferma che codesto sostantivo possa ricavarsi dal verbo greco sinóo/sínomai, che significa «nuocere/danneggiare».
C’è chi indica, invece, quale tema portante un altro verbo greco, ovvero izáno/ízo, che vuol dire «posare/collocare», ma che, in senso figurato, può arrivare a valere «cadere/perire».
Ebbene, dato che siamo nel campo delle ipotesi, anche noi azzardiamo la nostra interpretazione, e ce la facciamo suggerire direttamente dal testo evangelico odierno.

Nel versetto di Mt 13, 25 troviamo un verbo, ovvero «dormivano», il quale nel greco del Vangelo è reso con katheúdein.
Tecnicamente kath-eúdo (da cui la coniugazione katheúdein) significa «sotto/giù-riposare/quietare».
Tuttavia, come sempre, è interessante andare ad approfondire la radice.
Orbene, il verbo eúdo è strettamente connesso al tema di euné/énnumi, termini che significano «letto/vestire», ma che intendono, come senso profondo, l’idea dell’«entrare dentro/penetrare/riempire» (come non sentire, da euné/énnumi, il nostro «nanna»).
Dato atto di quanto, nel greco zizánion («zizzania») è possibile ritrovare tanto il suono quant’anche il tema euné/énnumi.
Difatti, non è forse vero che nel campo la zizzania «dormiva» (eúdo) assieme al grano? Non è forse vero che la zizzania «aveva penetrato/riempito» il campo, «entrando dentro» (euné/énnumi) assieme al grano?
E da ciò è molto interessante notare come la preposizione eu, che qui assume valore di «pienezza/pienamente», valga come prima accezione «bene/buono/dolce» (Cf. eu-tanasia [«dolce-morte»]).
Molto spesso, invero, la «zizzania» penetra «dolcemente», e sembra esattamente il grano, «vestita» come il grano, ovvero «buona/bene» come il grano («[…] non succeda che, raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano» – Mt 13, 29).

Ma non ci basta.
Nel nome «zizzania» vogliamo ascoltarci non solo la radice di euné/énnumi, ma riteniamo opportuno intravvedere in questa «zizz-ania» un composto.
Ebbene, uno dei vari temi del verbo greco gígnomai («essere/nascere/divenire») è esattamente gig/gigen (rammentiamo che «g» in greco si pronuncia e suona sempre «gh»).
A seguito di ciò, è da rilevare come in glottologia e in fonetica «g» e «z» spesso arrivino ad essere lo stesso, tanto è vero che due settimane or sono parlavamo di «g-iogo», che in greco è z-ugós (Cf. GIOGO). A corollario di ciò si pensi all’inflessione dialettale emiliano-romagnola, che spesso fa scivolare la «g» proprio in una pronuncia che tende a «z» (ad esempio «z-enitori» per «g-enitori»); oppure al fatto di come i genovesi chiamino «Z-ena» la loro «G-enova».
Di ciò dato atto, quindi, nel greco zizánion («zizzania») è possibile ritrovare il composto gigen- énnumi, che se volessimo renderlo letteralmente andrebbe ad intendere un «generare che penetra dentro», ovvero un «essere intrufolato».
Difatti, rileggendo il versetto di Mt 13, 25, non è forse vero che ritroviamo tutto il nostro percorso («Ma, mentre tutti dormivano [katheúdein], venne il suo nemico, seminò della zizzania [zizánia] in mezzo al grano e se ne andò»)?

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Ebbene, bastandoci per oggi queste poche righe, forse troppo tecniche (o forse troppo azzardate? Noi crediamo proprio di no), semplifichiamo, in chiusura, un messaggio che è possibile trarre dal Vangelo di questa domenica, il quale sembra esattamente scritto proprio per questi giorni (nei quali stanno spuntando testi di legge sull’omotransfobia).

Sveglia cattolici!

Il nostro sonno è terreno fertile per la zizzania, la quale chetamente si insinua utilizzando ogni possibile via; la quale va astutamente a confondersi col grano, grazie al fatto che le viene concesso di indossare il «vestito» del «rispetto della dignità umana» e dell’«uguaglianza».
Non sia la nostra fede a crogiolarsi nel sonno, ovvero nel tepore (o meglio nel timore) del politicamente corretto, perché il nostro dormire è l’eutanasia più nociva, è l’eutanasia dei valori, dei veri valori, veri non perché appartenenti ad un gruppo di persone religiose, ma veri perché da Dio (la famiglia per essere tale esige un papà e una mamma: e questo è nostro dovere proclamarlo con forza, senza timore né vergogna: «Chi si vergognerà di me e delle mie parole davanti a questa generazione adultera e peccatrice, anche il Figlio dell’uomo si vergognerà di lui, quando verrà nella gloria del Padre suo con gli angeli santi» – Mc 8, 38).

Tuttavia, il Vangelo odierno, ci invita a non temere, ma a continuare e a confidare in Gesù Cristo, anche quando la nostra opera sembra vana; anche quando attorno al seme da noi gettato e distribuito spuntano continuamente le infestanti: la zizzania, invero, sarà certamente prima legata in fasci e poi bruciata; il grano, invece, riempirà il granaio del Signore.

Ma «vano» sia, quantomeno, attributo del nostro umano operare; giammai effetto del nostro dormire: c’è forse vergogna nel proclamarsi cattolici e agire da cattolici? È vergogna dirsi appartenenti al Signore Gesù Cristo?

Fonte

Per gentile concessione di Fabio Quadrini che cura, insieme a sua moglie, anche la rubrica ALLA SCOPERTA DELLA SINDONE: https://unaminoranzacreativa.wordpress.com/category/sindone/


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