Fabio Quadrini – Commento al Vangelo di domenica 19 Gennaio 2020

Anche questa domenica siamo sulle sponde del Giordano, e siamo dinanzi alla testimonianza di Giovanni Battista. Azzardando un’espressione, possiamo dire che siamo al cospetto della “professione di fede” di Giovanni.
Di solito quando si menziona tale manifestazione, si ricorda sempre Simon Pietro a Cesarea di Filippo (Mt 16, 16: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente», in sinossi con Mc 8, 29 e Lc 9, 20. Nota curiosa come in queste tre somme professioni, prima che Pietro prenda la parola, viene risposto a Gesù che la gente crede che lui sia proprio Giovanni Battista). In realtà i Vangeli sono pieni di testimoni che rendono “professione di fede” su Gesù, primo fra tutti il demonio (cf. Mc 1, 24: «Che c’entri con noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci! Io so chi tu sei: il santo di Dio»). Possiamo ricordarne tre proprio nel Vangelo secondo Giovanni: Natanaele (Gv 1, 49: «Rabbì, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d’Israele!»); Marta (Gv 11, 27: «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio che deve venire nel mondo») e Tommaso (Gv 20, 28: «Mio Signore e mio Dio!»).
E un quarto testimone è proprio l’odierno Giovanni Battista (si precisa che il Vangelo secondo Giovanni è “costruito” tecnicamente come un grande processo a Gesù).

Che lo Spirito Santo renda la nostra testimonianza priva di ogni vergogna.

Data la premessa or ora proposta, la parola che sceglieremo quest’oggi viene quasi da sé: TESTIMONIÒ.
Essa si trova al versetto 32 («emartùresen»), e, sotto altra coniugazione, al versetto 34 («ho testimoniato», in greco «memartùreka»): il verbo in questione, ovvero da cui derivano le forme coniugate presenti nel testo evangelico, è «marturèo».
Come al solito, per rendere più comprensibile il percorso e lo sviluppo del discorso, segniamo le tappe del nostro tracciato.

Primo punto
Non crea problemi il verbo in esame, ovvero «marturèo», che si traduce così come lo ascoltiamo o leggiamo: «testimoniare/attestare». Ma se proseguiamo, come al solito, nello scavo del termine, possiamo estrapolare notevoli espressioni di senso.

Secondo punto
Il verbo «marturèo» è espressione del sostantivo «màrtus» che significa logicamente «testimone», ma di particolare interesse è proprio la sua radice («smarati») che intende «ricordarsi»: non è difficile la connessione tra il «testimone» (che è colui che ricorda) e il «ricordare» (che è esercizio proprio del testimone).
Direttamente connesso a «màrtus» è l’aggettivo latino (facilmente riscontrabile anche in italiano) «memor», che significa «memore/che_ricorda». Tuttavia è interessante ascoltare il greco e l’ebraico che vibrano sotto «màrtus» (una nota: i Vangeli, nel loro testo originale, sono tutti scritti in greco, ma si può ritenere che essi, con buona possibilità, derivino da scritti precedenti in ebraico; è certo, comunque, che rispecchiano palesemente l’ambito semitico a cui appartenevano i relativi redattori, nonché la vicenda raccontata).
1-Ebbene, partiamo dal greco.
Nel nome «màrtus» è presente il verbo «mimnèsko» ovvero «ricordare», e, in conseguenza di ciò, anche un sostantivo fondamentale per noi: «mnemèion» che significa «sepolcro» (Cf. Sepolcro – Smettiamola di dirci: “Buona Pasqua”): non è forse vero che il «sepolcro vuoto» è il supremo «testimone» della Risurrezione, in quanto ci «ricorda» la definitiva vittoria del Signore Gesù sulla morte?
2-Ma da qui, occorre scendere ancora.
Il greco «mimnèsko» respira il verbo ebraico «zakàr», che significa «ricordarsi»: ma «zakàr» non è un semplice «ricordare/far_tornare_alla_mente», poiché da esso viene il sostantivo «zikkaròn» ovvero «memoriale», che significa «memoria_attualizzante» (il «memoriale», infatti, è quando il fatto ricordato viene reso presente; è attualizzare l’evento di cui si fa memoria, in modo che lo si renda contemporaneo e partecipato, così come ne parteciparono i primi che lo sperimentarono).
Ecco, allora, chi è il testimone di Cristo: è colui che non solo fa memoria del Signora, ma lo rende presente e sperimentabile (una nota curiosa: Giovanni Battista è figlio di Zaccaria; il nome di quest’ultimo viene proprio da «zakàr»).

Terzo punto
Dalla stessa radice di «màrtus» viene il sostantivo greco «mèrimna».
Esso significa «pensiero/cura», ma anche «ansietà/affanno».
Interessante al tal proposito è il termine latino che deriva da «mèrimna», ovvero «mora», che, come in italiano, significa «ritardo», ma vale anche «ostacolo/impedimento».
A ben riflettere sembra tutto un po’ paradossale: chi ha «pensiero» di una cosa, o su una cosa, come può «ritardare»? Ma è altrettanto vero che gli «affanni» (ovvero i «pensieri esasperati») sono «ostacoli» alla puntualità (ovvero portano al «ricordarsi [se va bene] in ritardo»).

Quarto punto
Per dare sviluppo al discorso aperto al punto precedente, occorre analizzare un altro termine greco legato a «màrtus» e «mèrimna», che è precisamente l’aggettivo «mèrmeros» che significa «pieno_di_cure», ma anche «molesto».
È un po’ lo stesso discorso del punto precedente: troppe attenzioni generano morbosità.
Ebbene, possiamo, quindi, riscontrare delle criticità legate all’essere testimoni, ovvero alla testimonianza, anche in connessione con il Signore Gesù?
Certamente si!
Ne individuiamo solo tre.
1-se il pensiero, il ricordo, verso il Signore è motivo di ansia, di affanno, esso non è piena testimonianza: significa che viene prima «io», non «Dio». Seguire Gesù e i sui precetti non è un dovere, da quale scaturisce una retribuzione, ma è immensa gioia che viene da una nostra libera scelta;
2-se la cura, il ricordo, verso il Signore è invasamento (eccitazione/esaltazione), esso non è piena testimonianza: significa che viene prima «mio», non «Dio». Seguire Gesù e i sui precetti non è una esclusiva di pochi, ma è «cattolicità» (dal greco «katholikòs» ovvero «universale»);
3- se il pensiero, la cura, il ricordo verso il Signore, è considerato un ostacolo al piacere (ma quale piacere c’è fuori dal Signore!) della vita, un impedimento al godersi la vita, bisogna stare bene attenti coi tempi: il Signore non bada al ritardo, né fa pagare una mora a chi lo abbraccia alla fine, fosse anche l’ultimo istante, l’ultimo respiro, perché se l’uomo non si ricorda di Dio, Dio si ricorda sempre dell’uomo (cf. Lc 23, 42: «Gesù, ricordati [in greco è proprio «mnèstheti», ovvero coniugato da «mimnèsko»] di me quando entrerai nel tuo regno»). Ma giunta la scadenza, non c’è proroga alcuna: chi avrà scelto liberamente di perseverare fino alla fine nel ritardare, egli stesso, non Dio, sceglierà di porre per l’eternità un ostacolo tra lui e il Signore.

qasr_el_yahud_battesimo_sindone
Qasr el Yahud (luogo dove si ricorda il battesimo di Gesù) – Sindone

Quinto punto
Chiudiamo ritornando al testo evangelico odierno. Giovanni Battista dice: «Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo!».
Il termine «peccato» in greco è «amartìa».
Tale sostantivo deriva dal verbo «amartàno» che in primo luogo non significa «peccare», ma «non_raggiungere/non_centrare» (come dicevamo all’inizio, interessante è ascoltare il sottofondo ebraico dei Vangeli: ebbene, in ebraico la parola «peccato» è «hattà» che ha come significato originario quello di «mancare_il_bersaglio»). La radice di «amartìa» («mrsyati»), infatti, esprime il concetto di «trascurare».
Ebbene, pur se «marturèo» (radice «smarati» ovvero «ricordarsi») e «amartàno» (radice «mrsyati» ovvero «trascurare») hanno, in apparenza, derivazioni radicali lessicalmente e graficamente diverse, esse, tuttavia, sono chiaramente dello stesso ceppo fonetico e semantico.
Riflettiamo: il «ricordarsi» è un «curarsi_di» (cf. il terzo punto di sopra); il «non_ricordarsi» è un «tras_curare», ovvero un «a(privativo)_martàno».
Il «peccato», quindi («a_martìa», ovvero «a_martàno»), altro non è che un «a_màrtus», ovvero è «non_ricordo/non_pensiero/non_cura/non_testimonianza» del Signore nostro Gesù Cristo; il peccato è esattamente quando la vita ha curato «io» e «mio» invece che «Dio», mancando disastrosamente il Bersaglio.

Certo, la fine del «martire» (guarda un po’, in greco «màrtus» significa tanto «testimone» quanto «martire»), è il «sepolcro» (in greco «mnemèion», che come abbiamo visto sopra viene sempre da «màrtus»), ma chi si cura e si ricorda di Gesù come «Marta» (in greco è «màrtha», che lessicalmente e graficamente sembra non derivante da «màrtus», ma sono, in verità, lo stesso a livello fonetico e semantico), sperimenterà che il sepolcro non è la morte, ma la Risurrezione e la Vita (cf. Gv 11, 25)!

Fonte

Per gentile concessione di Fabio Quadrini che cura, insieme a sua moglie, anche la rubrica ALLA SCOPERTA DELLA SINDONE: https://unaminoranzacreativa.wordpress.com/category/sindone/


Letture della Domenica
II DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO A
Colore liturgico: VERDE

Prima Lettura

Ti renderò luce delle nazioni, perché porti la mia salvezza.

Dal libro del profeta Isaìa
Is 49,3.5-6

Il Signore mi ha detto: «Mio servo tu sei, Israele, sul quale manifesterò la mia gloria». Ora ha parlato il Signore, che mi ha plasmato suo servo dal seno materno per ricondurre a lui Giacobbe e a lui riunire Israele – poiché ero stato onorato dal Signore e Dio era stato la mia forza – e ha detto: «È troppo poco che tu sia mio servo per restaurare le tribù di Giacobbe e ricondurre i superstiti d’Israele. Io ti renderò luce delle nazioni, perché porti la mia salvezza fino all’estremità della terra».

Parola di Dio

Salmo Responsoriale

Dal Sal 39 (40)

R. Ecco, Signore, io vengo per fare la tua volontà.

Ho sperato, ho sperato nel Signore,
ed egli su di me si è chinato,
ha dato ascolto al mio grido.
Mi ha messo sulla bocca un canto nuovo,
una lode al nostro Dio. R.

Sacrificio e offerta non gradisci,
gli orecchi mi hai aperto,
non hai chiesto olocausto né sacrificio per il peccato.
Allora ho detto: «Ecco, io vengo». R.

«Nel rotolo del libro su di me è scritto
di fare la tua volontà:
mio Dio, questo io desidero;
la tua legge è nel mio intimo». R.

Ho annunciato la tua giustizia
nella grande assemblea;
vedi: non tengo chiuse le labbra,
Signore, tu lo sai. R.

Seconda Lettura

Grazia a voi e pace da Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo.

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi
1 Cor 1,1-3

Paolo, chiamato a essere apostolo di Cristo Gesù per volontà di Dio, e il fratello Sòstene, alla Chiesa di Dio che è a Corinto, a coloro che sono stati santificati in Cristo Gesù, santi per chiamata, insieme a tutti quelli che in ogni luogo invocano il nome del Signore nostro Gesù Cristo, Signore nostro e loro: grazia a voi e pace da Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo!

Parola di Dio

Vangelo

Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo!

Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 1, 29-34

In quel tempo, Giovanni, vedendo Gesù venire verso di lui, disse: «Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo! Egli è colui del quale ho detto: Dopo di me viene un uomo che è avanti a me, perché era prima di me. Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare nell’acqua, perché egli fosse manifestato a Israele». Giovanni testimoniò dicendo: «Ho contemplato lo Spirito discendere come una colomba dal cielo e rimanere su di lui. Io non lo conoscevo, ma proprio colui che mi ha inviato a battezzare nell’acqua mi disse: Colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito, è lui che battezza nello Spirito Santo. E io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio».

Parola del Signore

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