Esegesi e meditazione alle letture di domenica 5 Dicembre 2021 – don Jesús GARCÍA Manuel

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Prima lettura: Baruc 5,1-9

Deponi, o Gerusalemme, la veste del lutto e dell’afflizione, rivèstiti dello splendore della gloria che ti viene da Dio per sempre. Avvolgiti nel manto della giustizia di Dio, metti sul tuo capo il diadema di gloria dell’Eterno, perché Dio mostrerà il tuo splendore a ogni creatura sotto il cielo. Sarai chiamata da Dio per sempre: «Pace di giustizia» e «Gloria di pietà». Sorgi, o Gerusalemme, sta’ in piedi sull’altura e guarda verso oriente; vedi i tuoi figli riuniti, dal tramonto del sole fino al suo sorgere, alla parola del Santo, esultanti per il ricordo di Dio. Si sono allontanati da te a piedi,  incalzati dai nemici; ora Dio te li riconduce in trionfo come sopra un trono regale. Poiché Dio ha deciso di spianare ogni alta montagna e le rupi perenni, di colmare le valli livellando il terreno, perché Israele proceda sicuro sotto la gloria di Dio. Anche le selve e ogni albero odoroso hanno fatto ombra a Israele per comando di Dio. Perché Dio ricondurrà Israele con gioia alla luce della sua gloria, con la misericordia e la giustizia che vengono da lui. 

In questo brano un profeta con espressioni prese in prestito dal libro di Isaia e di Geremia presenta il ritorno dall’esilio di Babilonia in forma trionfale attraverso il deserto.

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In una prima strofa (vv. 1-4) vi è un invito a Gerusalemme a passare dall’afflizione alla gioia, cambiando le vesti. Secondo l’antica tradizione ebraica Adamo ed Eva nel paradiso terrestre avevano una veste di gloria, la luce li avvolgeva. Una veste persa quando si sono allontanati da Dio. Ora il Signore ritorna nella sua città e dona ai suoi abitanti una splendida veste di gloria. Il cambiamento è tale che Dio dà alla sua città un nome nuovo: «Pace di giustizia» e «Gloria di pietà» (v. 4). La gloria, cioè l’amore di Dio che ritorna a splendere nel cuore dell’uomo gli ridona la giustizia, lo mette in un giusto rapporto con Dio e con i fratelli. Ne consegue quindi la pace, una vita piena di beni spirituali e materiali, e la pietà, il sentimento religioso di fiducia in Dio e di gratitudine per la sua presenza.

In una seconda strofa (vv. 5-7) Gerusalemme è invitata ad ammirare il ritorno glorioso dei suoi fratelli dall’esilio. È un cammino non faticoso perché Dio stesso guida questo ritorno. È lui stesso che spiana la strada, perché Israele proceda sicuro (v. 7). Anzi egli li fa trasportare sul suo trono regale, e non devono neppure camminare (v. 6).

Nella terza strofa (vv. 8-9) anche il creato è coinvolto nella storia di  salvezza che Dio vuole fare con il suo popolo. Il deserto fiorisce e diventa un giardino di alberi profumati che con la loro ombra impediscono al sole bruciante di far ripiombare il popolo nella morte dopo aver sperimentato la liberazione. La terra promessa viene anticipata. Il paradiso promesso si può già sperimentare qui nella storia concreta, perché il Signore è presente. Il paradiso infatti è stare con il Signore.

Seconda lettura: Filippesi 1,4-6.8-11

Fratelli, sempre, quando prego per tutti voi, lo faccio con gioia a motivo della vostra cooperazione per il Vangelo, dal primo giorno fino al presente. Sono persuaso che colui il quale ha iniziato in voi quest’opera buona, la porterà a compimento fino al giorno di Cristo Gesù. Infatti Dio mi è testimone del vivo desiderio che nutro per tutti voi nell’amore di Cristo Gesù. E perciò prego che la vostra carità cresca sempre più in conoscenza e in pieno discernimento, perché possiate distinguere ciò che è meglio ed essere integri e irreprensibili per il giorno di Cristo, ricolmi di quel frutto di giustizia che si ottiene per mezzo di Gesù Cristo, a gloria e lode di Dio.

Paolo inizia con una invocazione e intercessione che sfocia nella lode. Dalla sua buia prigione egli sta scrivendo alla comunità una lettera piena di gioia, perché proprio lì in una situazione di massimo fallimento umano ha sperimentato un’intimità tale con Gesù Cristo che gli dona una felicità che non può essere intaccata neppure dalla morte.

È il Signore colui il quale ha iniziato (v. 6), il primo agente della evangelizzazione, e anche, se Paolo è stato tolto forzatamente alla comunità questa continua la sua cooperazione per il Vangelo (v. 5). È una comunità viva: tutti per gratitudine partecipano all’evangelizzazione. Il tempo che intercorre tra la presente semina del vangelo e la raccolta del frutto di giustizia che si ottiene per mezzo di Gesù Cristo (v. 11) della parusia è un periodo in cui può crescere l’amore e la fedeltà a Dio. Tutto lo zelo missionario di Paolo e della comunità cristiana ha come scopo non l’autoglorificazione, ma a gloria e lode di Dio (v. 11).

Vangelo: Luca 3,1-6

Nell’anno quindicesimo dell’impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetràrca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetràrca dell’Iturèa e della Traconìtide, e Lisània tetràrca dell’Abilène, sotto i sommi sacerdoti Anna e Càifa, la parola di Dio venne su Giovanni, figlio di Zaccarìa, nel deserto. Egli percorse tutta la regione del Giordano, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati, com’è scritto nel libro degli oracoli del profeta Isaìa: «Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri! Ogni burrone sarà riempito, ogni monte e ogni colle sarà abbassato; le vie tortuose diverranno diritte e quelle impervie, spianate. Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!». 

Esegesi

Luca presenta Giovanni Battista come l’ultimo dei profeti dell’Antico Testamento. Questo lo possiamo dedurre dal suo modo di descriverlo. Anche gli scritti profetici iniziano presentando il contesto storico in cui si svolge la predicazione profetica e la protagonista è la Parola del Signore. Gli stessi termini infatti troviamo in Geremia: La Parola di Dio che fu su Geremia (Ger 11). La Parola del Signore non rimane una teoria, una nuova filosofia, ma è una realtà storica: «non sono fatti accaduti in un angolo» (At 26,26), ma hanno delle coordinate storiche e geografiche molto concrete.

Siamo informati su l’anno dell’inizio della predicazione di Giovanni, figlio di Zaccaria. Nell’anno quindicesimo dell’impero di Tiberio Cesare, che corrisponde al 27/28 dopo Cristo. I grandi avvenimenti della storia della salvezza hanno dei testimoni molto concreti, pagani ed ebrei. Innanzitutto l’imperatore romano, Tiberio, quindi il responsabile della Giudea-Samaria dal 26 al 36, il procuratore romano Ponzio Pilato. Entrando nel mondo giudaico sono citate altre autorità politiche: Erode Antipa, figlio di Erode il grande, Filippo suo fratellastro e Lisania. Come ai tempi dei profeti non solo le autorità politiche, ma anche quelle religiose sono testimoni della Parola di Dio. Vengono quindi ricordati i nomi del sommo sacerdote in carica (anni 18-36) Caifa e del suo suocero deposto nel 18, Anna, che continuava a far sentire la sua influenza politico-religiosa. Viene presentata anche la mappa geografica: Giudea-Samaria, Galilea, Iturea, Traconitide, Abilene.

In questo quadro geografico c’è un luogo privilegiato in cui Dio ha parlato come uno sposo al suo popolo, il deserto: ecco la attirerò a me nel deserto e parlerò al suo cuore (Os 2,16). E nel deserto di Giuda la parola di Dio venne su Giovanni, figlio di Zaccarìa (v. 2). Chi parla attraverso la sua voce è la Parola. Quando la Parola si renderà visibile, la voce scomparirà. La parola non è solo un grido, una chiamata a conversione, ma essendo parola (dabar) di Dio incomincia già a sentirsi la sua efficacia. Il brano infatti termina con una inclusione dicendo: ogni uomo vedrà la salvezza di Dio (v. 6).

È l’esperienza più stupefacente, che aveva fatto la comunità cristiana primitiva, di vedere risplendere la vita e l’immortalità mediante l’annuncio del vangelo (cfr. 2Tim 1,10). Era un annuncio itinerante come quello di Giovanni che percorse tutta la regione del Giordano (v.3). Si concretizzava nella discesa delle acque del Giordano, significato dal fonte battesimale. Lì si lasciava il corpo del peccato e avveniva una reale conversione perché sorgeva una creatura nuova, che il battesimo di Giovanni prometteva. È una salvezza che ogni uomo vedrà (v. 6). È a disposizione di tutti gli uomini, non solo degli ebrei. Tutti allora sono invitati a preparare la via del Signore (v. 4). Questa strada non è materiale ma una via interiore attraverso la quale il Verbo di Dio, possa entrare dentro l’uomo e prendere il suo posto nel suo cuore.

Meditazione

«Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!» (Lc 3,6).

L’antico annuncio del profeta Isaia, così universale da apparire generico, così radicalmente esistenziale e teologico da sembrare fiabesco, dopo secoli viene ribadito e nuovamente proclamato da Giovanni Battista. Soprattutto viene storicizzato e reso contemporaneo, mettendolo in relazione con luoghi e figure di una scena per nulla religiosa, che, da remotamente locale, si apre e vuole interessare la terra intera. Ma qualcosa che sembra avvenire, risuonare in uno sperduto deserto, può – e deve – avere ricadute perfino sul titanico e onnipresente/onnipotente impero romano? L’impalpabilità e leggerezza di una voce – questo il fatto annunciato – può giungere fino all’orecchio dell’imperatore e osar pretendere di cambiargli la vita?

A essere onesti, sì, di cose del genere ne possono succedere – e succedono! – anche ai giorni nostri. La speranza di un’umanità senza distinzioni di sesso e di razza e che vive nella giustizia, speranza antica quanto il mondo ma riformulata da un Martin Luther King o da un Ghandi, è arrivata fin dentro stanze ovali ed è riuscita a superare l’invalicabile sbarramento di uffici e segreterie che difendono i potenti della terra (non chiamiamo grandi quanti sono spesso solo più forti economicamente e militarmente!). E certamente la forza di quella parola qualcosa ha fatto, ha segnato lo sviluppo delle vicende storiche, anche su scala mondiale, universale. Ha operato nel profondo. E val la pena ricordare che è certamente più difficile cambiare il cuore di un solo uomo che compiere qualsiasi mirabolante impresa astronomica, architettonica, politica o militare…

Questa Parola, questa voce può sperare di ottenere questo risultato perché viene dal profondo, dall’alto, da Dio. Prende sempre carne in uomini attenti, vigili e disponibili, non teme di mescolarsi ad altre voci richiamando ogni uomo alla sua responsabilità di scelta, fa affidamento solo sull’autorevolezza della propria sapiente verità. Ma quale dunque il contenuto di questa discreta eppur energica Parola? Il suo involucro esterno potrebbe spaven-tare ogni ‘amante delle alture’: chiede infatti che «Ogni monte e colle siano abbassati», per poi proseguire «Le vie tortuose diverranno diritte e quelle impervie spianate» (Lc 3,5). Il senso autentico di queste strane parole non è certo da ricercarsi in ambito geologico/stradale ma ci è ben ritradotto dall’orazione della colletta eucaristica: «O Dio grande nell’amore, che chiami gli umili alla luce gloriosa del tuo regno, raddrizza nei nostri cuori i tuoi sentieri, spiana le alture della superbia, e preparaci a celebrare con fede ardente la venuta del nostro salvatore, Gesù Cristo tuo Figlio».

Un invito, quindi, a farci, come Giovanni, maggiormente attenti ai desideri più profondi della nostra esistenza ma, al contempo, anche ai segni dei tempi, alle vicende storiche che attraversano in modo apparentemente casuale la nostra vita. C’è infatti il rischio di lasciarsi passare sotto gli occhi una grande occasione perché si sta guardando altrove e si sta attendendo altro. Il profeta Baruc, nella prima lettura, richiama la città di Gerusalemme ad abbandonare lo stato di prostrazione e lamento che la affliggono per aprirsi alla speranza: «Dio mostrerà il tuo splendore ad ogni creatura sotto il cielo» (Bar 5,3). Ma la città santa deve mettersi nella posizione, nella condizione della sentinella, che guarda e aspetta di vedere il ritorno glorioso dei propri figli, dispersi e incalzati dai nemici (cfr. Bar 5,5-6). Non sarà lei a riportarli in patria, saranno «la misericordia e la giustizia che vengono da Dio» (Bar 5,9) ad operare tale meraviglia. Ma sperare e domandare, cercare e attendere allargando il cuore è compito dell’uomo.

Il periodo liturgico dell’Avvento è tempo di meditazione, di sollecitazione alla profondità, a ritrovare i grandi desideri che abitano la nostra vita e che la parola di Dio ci allarga e concretizza ancor più. Per tutti possiamo e dobbiamo sperare, a tutti dobbiamo rilanciare la fiducia per un orizzonte più vero e autentico. «Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!» (Lc 3,6).

Commento a cura di don Jesús Manuel García