Esegesi e commento al Vangelo di Domenica 26 Gennaio 2020 – p. Rinaldo Paganelli

Contro le divisioni

I testi biblici di questa domenica mettono in evidenza un pericolo di grande attualità per noi, quello di trasformare la ricerca dell’identità in una sostanziale chiusura di autodifesa, e quindi nella negazione del carattere universale della proposta cristiana. I brani di oggi mostrano che questo fenomeno di chiusura può manifestarsi all’interno della comunità stessa, come anche nei confronti i altre comunità umane, civili e religiose. Il «movimentismo» può provocare questa divisione-chiusura nel popolo di Dio quando, enfatizzando un’intuizione magari giusta e bella e un’appartenenza – «io sono di Paolo», «io invece sono di Cefa» –, non solo ci si distingue ma di fatto ci si divide da chi non condivide, inaugurando un clima di reciproche «scomuniche». Cristo Gesù che si manifesta può vincere queste divisioni.

Ritirarsi per manifestarsi

Nel Vangelo non si parla in realtà di una apparizione di Gesù, ma di un suo ritirarsi, dopo che ha saputo dell’arresto di Giovanni Battista, un ritirarsi che evoca il nascondimento più che la rivelazione. Ma il ritiro di Gesù è come un segno che è venuto il tempo per Gesù di rivelarsi alle genti e dare inizio alla vicenda di salvezza. Di fatto non c’è apparizione senza nascondimento. Le rivelazioni di Dio comportano sempre un aspetto di velamento, perché una piena rivelazione di Dio significherebbe la morte dell’uomo. La rivelazione nel nascondimento ci dice che Dio davvero opera in Gesù. Ma non solo Gesù si ritira in Galilea, lo fa abbandonando Nazaret, e abbandonare richiama quello che avviene nel matrimonio: «L’uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie» (Mt 19,5). Il rischio di chiusure tra cristianesimo e altre culture è simbolicamente allontanato dalla scelta di Cafarnao, che attua la profezia di Isaia circa «la via del mare, oltre il Giordano e il territorio dei Gentili». Questa collocazione di Gesù in una tipica città di confine abitata e attraversata da popolazioni e culture diverse conferma la vocazione e la destinazione della nuova sapienza cristiana sino ai confini della terra. L’invito a conversione è assolutamente universale. Qui inizia il cammino che porterà alle nozze dell’Agnello, e qui si intravede che la sposa non sarà solo Israele. Cafarnao è città di frontiera che evoca quella terra di Zabulon e Neftali, terra umiliata e poi visitata, e quindi terra attraversata da Lui che è cammino, luce, novità; terra della nostra vita a volte tenebrosa, ma chiamata alla conversione dal Dio della vita.

Viandanti per il regno

Il «convertitevi» è passato dalla bocca di Giovanni Battista a quella di Gesù; l’urgenza è diventata enorme perché il regno dei cieli è già presente: è Gesù che è già fra noi. Mentre Giovanni Battista usciva nel deserto e là andavano ad ascoltarlo, Gesù cammina di villaggio in villaggio, passa, vede e stabilisce un rapporto profondo con le persone. La stessa chiamata dei primi discepoli e quel loro trasferimento professionale da pescatori di pesci a pescatori di uomini esprimono bene la disponibilità a una trasmigrazione perenne che è chiesta all’uomo nuovo e che ne fa un viandante e un emigrante, e non uno stabile possessore di terre e di culture. Non c’è nessuna presentazione, solo un invito ad andare, e loro subito, con un’urgenza che dà carattere nuziale alla chiamata, lo seguono. La chiamata di Gesù tocca corde non razionali: seguono uno sconosciuto e, più che una conversione, la loro sembra una spoliazione perché lasciano tutto senza nulla in cambio.

Il Signore mi vuole creatura nuova

Conversione che non è penitenza, rinuncia, mortificazione, ma apertura alla gioia che si moltiplica, alla letizia che invade il cuore. Conversione che prepara la venuta del Regno che dà alla vita la possibilità di lasciare tutto e seguire il Signore, non perché si è incoscienti e superficiali, ma perché il cuore diventa capace di riconoscere ciò che vale e scegliere con libertà. Conversione che avviene in un quotidiano apparentemente ripetitivo e monotono, che avviene in una cornice familiare. Il Signore mi chiama con i miei affetti, con le cose di sempre, con le debolezze e gli affanni di ogni giorno, mi chiama nella mia terra di Zabulon e Neftali e lì, proprio lì in quella realtà, con quella storia vuole farmi creatura nuova.

PER IL CONFRONTO NEL GRUPPO

– Tu sei stato chiamato: riesci a dire quando e per che cosa?
– Che cosa provoca in te la consapevolezza che il Signore ti chiama così come sei e dà nuovo valore alla tua quotidianità?

IN FAMIGLIA

Ogni volta che nella giornata sono interpellato o chiamato, mi esercito a:
– guardare chi mi chiama;
– lasciare che la sua voce entri in me;
– ascoltare in profondità la richiesta.

p. Rinaldo Paganelli

Tratto da: Stare nella domenica alla mensa della Parola, Anno C – ElleDiCi


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