don Marino Gobbin – Commento alle Letture di domenica 5 Maggio 2019

PRIMA LETTURA

Racconta il secondo arresto degli apostoli e la loro comparsa davanti al Sinedrio. I capi dei Giudei appaiono più decisi della prima volta (At 4,1ss), ma anche gli apostoli si dimostrano più fermi. Gli apostoli, arrestati e gettati in prigione una prima volta, sono stati liberati miracolosamente (5,17-24); ora vengono ripresi e il sommo sacerdote ordina loro di smettere la predicazione. Gli risponde Pietro. I Giudei sono decisi a far morire gli apostoli, ma interviene Gamaliele, che riesce ad evitar loro la pena capitale (5,34-40). Gli apostoli vengono liberati, ma dopo esser stati fustigati. Anche con Gesù si erano tentati metodi simili di intimidazione.
Ora gli apostoli hanno scelto di “obbedire a Dio”. Al cospetto del grande consiglio, Pietro, ancora una volta, annuncia Gesù Cristo salvatore. Ritroviamo in questa dichiarazione il kérygma primitivo. Gli apostoli, animati dalla forza dello Spirito Santo, sono i testimoni di ciò che annunciano. Liberati, se ne vanno lieti di soffrire per Gesù e come lui.

SALMO

È il cantico di un uomo salvato da un grave pericolo: malattia o morte. Per esprimere la sua riconoscenza, il salmista usa i termini adoperati abitualmente per esprimere la riconoscenza del popolo. Questa preghiera personale è diventata collettiva: il salmo veniva cantato durante la festa della Dedicazione che celebrava la ricostruzione del Tempio dopo l’esilio.
Il carattere individuale e collettivo del salmo permette di applicarlo a Cristo risorto, che ha vissuto con noi e per noi la sua vittoria di Pasqua: “Mi hai dato vita perché non scendessi nella tomba”.

SECONDA LETTURA

Riporta una delle visioni di Giovanni.
È una scena grandiosa per le mille voci che risuonano: quelle di miriadi di angeli e quelle di tutte le creature. Accoglienza trionfale con la doppia acclamazione. Celebrazione religiosa che termina nell’adorazione silenziosa. Si tratta infatti dell’intronizzazione di Cristo, sovrano dell’universo, l’uguale di Dio, “colui che siede sul trono”.
Nell’Apocalisse il Cristo è presentato coi tratti dell’Agnello immolato. In tal modo promette la vittoria ai martiri della Chiesa primitiva come a quelli di tutti i tempi.

VANGELO

È il capitolo 21, aggiunto al IV Vangelo dopo la conclusione di 20,30-31. Se l’autore non è Giovanni, l’ispirazione globale è senz’altro giovannea. Il ricordo di questa apparizione sulla riva del lago crea un rapporto vivo fra Gesù e la sua Chiesa nascente.
Anzitutto c’è la pesca miracolosa. Fa pensare all’episodio riferito da Luca all’inizio della vita pubblica (Lc 5,1-11). Quella era stata l’occasione della prima chiamata di Pietro e degli apostoli; questa è invece una scena d’iniziazione alla vita della Chiesa, con la chiamata definitiva di Pietro.
Questa Chiesa è fatta di uomini uguali agli altri, di uomini che lavorano duramente. Ma la venuta del Signore trasforma la loro vita: in lui essi trovano il sollievo nella loro fatica apparentemente sterile; lo scoprono accanto a loro nella notte; e il pane condiviso – l’Eucaristia – diventa il vertice dell’incontro dei figli col loro Signore.
Il Signore affida a Pietro la responsabilità della Chiesa. Tre volte gli fa la stessa domanda: vi insiste; vuol ricordargli la triplice negazione? Pietro risponde e ogni volta il Signore gli affida il suo gregge. Da questo momento Pietro compirà questa missione in forza dell’attaccamento che lo lega al Signore. Questo legame d’amore permarrà sino alla morte: che per Pietro sarà un abbandono totale nelle mani del Signore per condividerne la gloria.

PER ANNUNCIARE LA PAROLA

La presenza di Gesù

I racconti delle apparizioni di Gesù risorto sembrano proporsi di inculcarci la fede nella presenza di colui che vive dopo esser morto.
Gesù è presente a coloro che hanno ripreso la loro vita quotidiana di pescatori. È presente, di notte, al lavoro sterile. È presente e coinvolto nella vita familiare: ha preparato il fuoco per il pasto del mattino.
Gesù rimane presente, come un essere vivo, dopo l’Ascensione e la Pentecoste. Ormai il compito essenziale degli apostoli (senza però dispensarli dal guadagnarsi da vivere) consiste nella predicazione.
Il loro cuore e il loro spirito sono colmi di lui. Non possono starsene in silenzio. Per opera loro, Gerusalemme e poi il mondo romano vengono riempiti del suo insegnamento.
È presente nel consiglio del Sinedrio in forza della testimonianza stessa di coloro che si vorrebbe far tacere e che invece fanno esattamente il contrario.
La fede consiste nel credere che Gesù è presente, nello scoprire come è presente nella nostra vita familiare e nel renderlo presente agli altri.

Il rifiuto di Cristo

Il Cristo al quale gli apostoli sono fedeli è il Cristo “giustiziato”, “inchiodato su una trave di legno”. Colui al quale credono è l’Agnello immolato. Colui che appare ai pescatori è il Cristo crocifisso. Colui che affida a Pietro il proprio gregge è il Cristo tre volte rinnegato. Il Cristo risorto ormai riempie la vita, ma non ne cambia il corso: i discepoli sono ritornati al loro lavoro abituale, ma senza rinunciare alla pesca degli uomini.
Il gran consiglio siede in permanenza e quando si parla di Gesù cerca di imporre il silenzio. Il Cristo risorto viene eliminato quietamente o violentemente. Nella nostra vita, i due comportamenti sono simultanei: l’eliminazione pratica e la fede. Lo stesso avviene nella vita delle comunità cristiane.

Fonte

Tratto da “Omelie per un anno 1 e 2 – Anno C” – a cura di M. Gobbin – LDC

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