don Marino Gobbin – Commento alle Letture di domenica 3 febbraio 2019

PER COMPRENDERE LA PAROLA

Il profeta in mezzo ai suoi (Geremia o Gesù):
– la sua missione provoca contrasti, di cui egli per primo subisce le conseguenze;
– coloro ai quali annuncia la parola del Signore se la prendono con lui;
– ma Dio che l’ha chiamato gli è accanto per proteggerlo.

PRIMA LETTURA

Questi due passi sono estratti dal cap. 1 e parlano della vocazione di Geremia.
a) Vocazione imperativa. Dio non chiede, non propone. Fa conoscere a Geremia ciò a cui è chiamato: “Ti avevo consacrato… Io faccio di te…”.
b) Vocazione totale. Geremia, immagine di Cristo forse più di tutti i profeti, appartiene a Dio in tutto il suo essere. Conosciuto prima della nascita (cf il mistero del Verbo in Gv 1,1ss), in lui essere e missione sono la stessa cosa.
c) Vocazione universale, “profeta delle nazioni”. Abitualmente il profeta viene mandato a un popolo determinato. La vocazione di Geremia è più ampia. Quella di Gesù si opporrà ad ogni limite. Di qui nascerà il conflitto.
d) Vocazione militante. Geremia affronterà effettivamente “i re, i capi, i sacerdoti, il popolo”. Anche Gesù (e tutti i cristiani con lui, dopo la generazione per la quale scrive Luca) è destinato a suscitare la contestazione.
e) Vocazione nella quale è impegnato Dio. Al suo inviato Dio promette forza e protezione.

SALMO

Canto d’un uomo che in tutta la sua esistenza ha posto la fiducia in Dio. Certamente già vecchio, si ricorda che Dio è intervenuto e interviene in suo aiuto fin dai primi giorni della sua vita. Forse il salmista si ispira a Geremia.

SECONDA LETTURA

L’inno alla carità è concretamente uno sviluppo della precisazione fatta da Paolo sull’uso dei carismi (capp. 12-14).
a) L’amore è il carisma superiore a tutti (12,31 e 13,13).
b) L’amore dà il suo valore agli altri carismi (lingue 13,1; profezie 13,2).
c) La ragione sta nel fatto che l’amore non ci mette in atteggiamento di superiorità di fronte agli altri, ma di accoglienza e di umiltà (descrizione della carità 13,4-7).
d) Soltanto l’amore non è di natura effimera, di utilità passeggera. L’amore “non avrà mai fine”. Esso è eterno, “conosce perfettamente, come anch’io sono conosciuto (da Dio)”. È esperienza di Dio e dell’eternità.

VANGELO

È il seguito del Vangelo della 3ª domenica.
L’episodio della sinagoga di Nazaret ci rivela una delle cause del conflitto che terminerà con la Passione. Tale conflitto ha le sue radici, fra il resto, nello stesso paese di Gesù.
a) Il conflitto è latente nei conoscenti di Gesù. Essi gli rendono testimonianza, ma nello stesso tempo si dicono: “Egli è semplicemente uno di noi, è il figlio di Giuseppe”. Di questo vanno magari fieri! Invece crea difficoltà il fatto che li superi o sfugga loro. Comunque non è certo il Vangelo predicato ai poveri ciò che crea loro difficoltà.
b) Gesù favorisce il conflitto. Come gli altri profeti, anche Gesù è mandato da un Dio che non è il bene particolare di qualcuno, che non è imprigionato da qualche particolarismo umano. Gesù quindi non può lasciarsi accaparrare dai suoi compatrioti. Il conflitto è destinato perciò a crescere (ad esempio: Lc 20,9-19). Luca scrive il Vangelo per i pagani, quindi ci tiene a far notare che Cristo è per tutti.
c) Gesù non semplifica il conflitto, né affrettandone la fine, né sottraendovisi col suo potere divino. La scena finale (vv. 28-30) è enigmatica: supera la semplice realtà. In effetti, la geografia di Nazaret non permette una simile esecuzione sommaria. Inoltre il modo in cui Gesù vi si sottrae rimane vago. Niente costringe a credere che egli abbia fatto qualche prodigio o si sia servito di qualche qualità psicologica per sfuggire ai suoi compatrioti furiosi. L’intenzione di Luca è un’altra:
– Gesù deve seguire la sua strada, pur accettandone le contraddizioni, fino a Gerusalemme (la salita a Gerusalemme è un elemento essenziale della struttura del Vangelo di Luca).
– Il passo precedente (4,1-13) narra le tentazioni; Luca, diversamente da Matteo, le conclude sul pinnacolo del Tempio, dove Gesù rifiuta di gettarsi in basso, invocando l’intervento di Dio. La situazione creatasi a Nazaret è in qualche modo analoga. Gesù non ricorrerà a nessun prodigio. Quindi non dimostrerà agli altri di aver ragione. Non è questa la sua via.

PER ANNUNCIARE LA PAROLA (piste di omelia)

Essere veramente profeta

Ogni epoca storica ha conosciuto i suoi profeti. Ogni epoca ha bisogno di profeti. Senza di loro il messaggio di Dio rischierebbe di perdere forza e sapore. Oggi nascono vocazioni profetiche, in molti campi. Ma chi è veramente profeta?
Non è profeta chi vuole. Questa vocazione è prima di tutto una chiamata di Dio. Dio non chiede, non propone, bensì chiama, sceglie chi vuole. La 1ª lettura sottolinea con molta chiarezza questo fatto per Geremia.
Nella vita del profeta non c’è niente di straordinario, di spettacolare. “Non è il figlio di Giuseppe?”, si chiedevano gli abitanti di Nazaret. Eppure “erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca”.
L’originalità del profeta sta tutta nella sua fedeltà alla Parola di Dio. Essa lo rende coraggioso (“Non spaventarti alla loro vista”, 1a lettura). Il profeta è totalmente dedito al servizio del messaggio di Dio. La sua opera lo supera e la sua personale riuscita è del tutto secondaria.
Il profeta per eccellenza è Gesù. Egli parla con autorità di Dio, suo Padre. Alla sua sequela i profeti non possono che ricordare la sua parola e la sua opera. La loro sorte sarà simile a quella di Cristo.

“Nessun profeta è bene accetto in patria”

Gesù, nato in una famiglia, in un popolo, in una razza, si libera da ogni influenza umana. Fin dall’inizio del suo ministero, lo dichiara espressamente a Nazaret, suo paese natale. In seguito confermerà tale indipendenza di fronte a tutti coloro che vorranno accaparrarselo.
Nell’opera di Cristo non esistono frontiere. Egli è profeta per tutti i popoli. I suoi se li sceglierà in piena libertà. Già la vedova di Sarepta per Elia e il siro Naaman per Eliseo – quindi degli stranieri – erano stati i privilegiati della Buona Novella.
Cristo contesterà continuamente coloro che l’ascoltano e lo accolgono. Le sue vedute sono più larghe e più lungimiranti. Non può essere il profeta d’un solo popolo, d’un solo ambiente, a detrimento degli altri. Questo universalismo rimarrà anche la caratteristica della Chiesa. Essa non può scegliere alcuni ed escludere altri, non può essere limitata né completamente a suo agio in alcuna razza, in alcuna comunità umana, in alcuna cultura. Pur sentendosi a casa sua dovunque ci siano valori umani, non può insediarsi né fermarsi da nessuna parte.

Il carisma dell’amore

L’amore è un carisma? Se il carisma è un dono di Dio, l’amore è il più grande dono di Dio.
L’amore supera tutto ciò che potremmo dire in nome di Dio (dono delle lingue e dono della profezia) e supera tutto ciò che potremmo fare in nome di Dio per generosità o per eroismo. Il dono di Dio consiste nell’amare l’altro come se stesso. In questo modo l’uomo entra nel mistero della Trinità.
I carismi sono dono di Dio? Certamente, se partecipano della carità. È quanto sottolinea Paolo parlando alla Chiesa di Corinto.

Fonte

Tratto da “Omelie per un anno 1 e 2 – Anno C” – a cura di M. Gobbin – LDC

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LEGGI IL BRANO DEL VANGELO

QUARTA SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

Puoi leggere (o vedere) altri commenti al Vangelo di domenica 3 Febbraio 2019 anche qui.

Lc 4, 21-30 Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù cominciò a dire nella sinagoga: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato». Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è costui il figlio di Giuseppe?». Ma egli rispose loro: «Certamente voi mi citerete questo proverbio: “Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui, nella tua patria!”». Poi aggiunse: «In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria. Anzi, in verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elìa, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elìa, se non a una vedova a Sarèpta di Sidòne. C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro». All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino. C: Parola del Signore. A: Lode a Te o Cristo.

Fonte: LaSacraBibbia.net

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