don Marco Pozza – Commento al Vangelo di domenica 13 Marzo 2022

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La Chiesa che s’addormenta

Loro, i discepoli, sono gli specialisti del sonno: quando dormono vengono loro dei colpi di genio, quando sono svegli dei colpi di sonnolenza da svenire. Il Tabor, per loro, è il dormitorio della pianura: giù c’è Satàn che sta mettendo alle frusta la loro storia d’amore con Cristo, coi soliti sospetti: “Attenzione, fregatura in arrivo: spostarsi dalla linea di Cristo!” Cristo, per non gettare tutto alle ortiche, ritenta l’impossibile: li porta in gita in montagna per mettere calmo il maremosso del loro cuorematto. Sul monte, nel mezzo di una delle più grosse crisi d’amore, «Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno».

L’evangelista, per non provocar gli animi, non ce lo dice, ma è chiaro che è come dicesse che quei tre non sono innamorati del loro Gesù, giacchè quando sei innamorato non riesci a dormire perchè la realtà è infinitamente più avvincente dei tuoi sogni. Si potesse scontare l’amore dormendolo a rate, sarebbero stati Maiuscoli come amanti.

Poi, d’un tratto, si svegliano da quell’insonnia in pieno giorno. S’accorgono, dalla luce accesa, che Gesù è in casa: come quando, vedendo una luce accesa da fuori, capisci che c’è qualcuno lì dentro. Lui, Cristo, è presente a se stesso come non mai: «Quando si svegliarono, videro la sua gloria». Come un amante che, appena aperti gli occhi, trova il meglio dell’umanità sdraiato accanto a sé, a fargli compagnia: è lo splendore imprevisto di una felicità che si credeva impossibile.

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C’era anche prima, ma dormivano; c’era anche in pianura, mentre dubitavano; c’era a Betlemme, in quella notte santissima, ma pochi s’accorsero. Vedendolo infiammato di luce, hanno l’evidenza e la vergogna d’avere dubitato: è davvero la Bellezza fatta carne. Intuiscono che l’amico Giovanni non è svitato come una vita se sta pensando di scrivere che «La luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta» (Gv 1,5). Vedono, insomma, che Dio non è quell’impostore, che Satàn scredita agli occhi del mondo. È il principe della luce: e «nella luce giusta, al momento giusto, tutto è straordinario» (A. Rose).

Pragmatici come sono, pensano di sistemarsi la vita una volta per sempre: «Facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Il sogno del posto fisso, una comfort zone, nella Chiesa, è congenito fin dalla sua nascita. E stavolta, però, l’evangelista non lo tace: «Non sapeva quello che diceva» lascia scritto ai lettori, quasi un anticipo di simpatia nei confronti di tutti quelli che, nella Chiesa, nei secoli a venire non sapranno ciò che diranno. Di tutti quelli che non accetteranno che il cristianesimo (ri)nasca sempre così: da un’esperienza della bellezza sfavillante. Non da libri, adunanze, sinodi e consulte ma dalla bellezza che, quando non c’è, fa sì che non ci sia niente d’alternativo per il quale valga la pena di sentir battere il cuore.

Poi, guarda caso, Cristo farà risplendere sempre questo bagliore in mezzo a ombre tenebrose: “In conseguenza della libertà data all’uomo – sembra vederlo attaccare l’avviso nella bacheca – sarà necessario che vi sia sempre abbastanza luce per chi vorrà credermi, abbastanza tenebra per chi non vorrà credermi. Troppo facile conquistare il mondo senza lasciargli la possibilità di non farsi conquistar da me”. Dio è un grandissimo democratico.

Consola che i discepoli non capiscano granchè di questa tempesta di luce: ci sono giorni in cui non si riesce a vedere non soltanto perchè manca la luce, ma anche perchè c’è troppa luce. Per strada, col sole dritto in faccia, non è che si riesca a vederci tanto bene. Serve tempo: che gli occhi si abituino, per cercar la giusta distanza, per non scottarsi.

“L’importante – sembra dire Cristo mentre, controvoglia, li spinge giù dal monte, ancora inebetiti – è che abbiate visto con i vostri occhi che non vi racconto balle”. Li spinge giù, assieme agli altri. Vogliono seguitare a dormire? Che dormano! L’importante, per Cristoddìo, è che abbiano capito che Lui resta una faccenda seria, non un’attrazione turistica da luna park.

Commento a cura di don Marco Pozza
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