don Lucio D’Abbraccio – Commento al Vangelo di domenica 6 Ottobre 2019

Signore, accresci in noi la fede!

Il brano del vangelo di oggi si apre con una domanda degli apostoli rivolta a Gesù: «Signore, accresci in noi la fede!». La fede è un dono di Dio per chi si apre incondizionatamente al suo Amore, rispondendo alla sua chiamata e fidandosi delle sue promesse: della fede non si è padroni né la si può imporre agli altri, ma la si può solo accogliere con gratitudine, ben sapendo – come ricorda san Paolo – che «la fede non è di tutti» (cf 2Ts 3, 2). Quante volte le persone, per una prova o una difficoltà, dicono: “Non credo più!”.  Ma cosa significa, allora, avere fede, credere? Significa aderire con tutto se stessi a Dio che ci ha amati per primo, ascoltare – come più volte abbiamo ripetuto nel salmo responsoriale – la «sua voce e non indurire il nostro cuore», avere una fiducia salda in lui che non viene meno di fronte alle difficoltà anche le più grandi, di fronte alle incomprensioni più dolorose. Immaginiamo un bambino: in braccio alla madre si sente sicuro; ecco, questa è la fede, abbandonarci totalmente a Dio. E per un cristiano questo abbandono, questa adesione è necessariamente rivolta anche alla persona di Gesù. Non dimentichiamo ciò che Cristo Signore disse a Tommaso: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me» (cf Gv 14, 6).

Più volte, inoltre, Gesù si rivolge ad alcune persone dicendo: «La tua fede ti ha salvato!» (cf Lc 7, 50; 8, 48; 17, 19; 18, 42).  D’altra parte, però, egli constata proprio in quanti gli sono più vicini la mancanza di fede, l’incredulità, ed è costretto a rimproverarli: «Dov’è la vostra fede?» (cf Lc 8, 25), oppure a chiamarli «gente di poca fede» (cf Lc 12, 28). Anche noi, come i discepoli di Gesù, proveniamo da una condizione di mancanza di fede e per questo siamo sempre tentati dal nostro «nemico, il diavolo, che come leone ruggente va in giro cercando chi divorare» (cf 1Pt 5, 8). Per tale motivo Pietro dice: «resistetegli saldi nella fede» (cf 1Pt 5, 9). Ciò significa che se non vogliamo sprofondare nell’incredulità e nel peccato dobbiamo invocare il Signore affinché aumenti la nostra fede e fiducia in lui, perché «nulla è impossibile a Dio» (cf Lc 1, 37) e «tutto è possibile per chi crede» (cf Mc 9, 23).

Si comprende allora la risposta data da Gesù agli apostoli: «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “Sràdicati e vai a piantarti nel mare”, ed esso vi obbedirebbe». L’immagine del gelso è molto significativa, trattandosi di una pianta dalle radici resistenti, capaci di rimanere abbarbicate alla terra nonostante le tempeste. Ebbene, la fede anche se esigua, anche se ridotta alle dimensioni di un granellino di senapa (che è il più piccolo di tutti i semi che sono sulla terra: cf Mc 4, 31), racchiude sempre in sé una potenza inaudita. Davvero non servono grandi cose, non servono neppure propositi straordinari, che non siamo in grado di mantenere; si tratta semplicemente di mettere con perseveranza la nostra povera fede in quella di Gesù Cristo, il quale «dà origine alla fede e la porta a compimento» (cf Eb 12, 2) e prega perché essa «non venga meno» (cf Lc 22, 32): egli porterà a compimento ciò che noi possiamo solo iniziare.

Aderire a Gesù significa, dunque, vivere come egli ha vissuto, dare testimonianza del suo amore non solo a parole ma con le opere perché il vangelo va annunciato con l’esempio e con la testimonianza di vita (II Lettura).

Ed infine Gesù conclude dicendo: «quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”». È proprio così: Gesù vuole dirci che il nostro atteggiamento dev’essere quello di un servizio disinteressato e gratuito. Il rapporto religioso con Dio non può essere quello di servirsi di lui. Non si entra nel servizio del Regno con lo spirito del salariato: tanto lavoro = tanta ricompensa. Dopo una giornata piena di lavoro, nessun vanto, nessuna pretesa, né di fronte a Dio né di fronte alla comunità, dove ci sono diverse funzioni. Tutti nella comunità siamo e dobbiamo essere poveri e semplici servitori gli uni degli altri. Sforziamoci di vivere come Gesù ha vissuto, rendiamoci conto che è lui e lui solo la nostra ragione di vita: lui, il Signore che si è fatto nostro servo (cf Lc 22, 26-27). Non dimentichiamoci mai che la nostra vita non è che sia inutile, assolutamente no! La nostra vita trova in Cristo Signore la sua ragione profonda: senza di lui non possiamo nulla, è dalla comunione con lui che dipende il nostro amore.

Nella Sacra Scrittura leggiamo che «Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna» (cf Gv 3, 16). Ebbene, questa è la consapevolezza che dovrebbe sempre accompagnare la nostra fede, dono che il Padre ci rinnova ogni giorno attraverso suo Figlio Gesù Cristo: è lui, secondo le parole di sant’Ignazio di Antiochia, «la fede perfetta».

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