Don Luciano Labanca – Commento al Vangelo del 7 Febbraio 2021

Il brano di questa domenica, tratto ancora una volta dal primo capitolo del Vangelo di San Marco, ci propone tre scene che si compiono nella giornata di Gesù a Cafarnao. La casa di Simone e Andrea, come si può vedere dagli scavi archeologici in Cafarnao, si trovava a pochi passi dalla sinagoga dove Gesù aveva insegnato con autorità e scacciato uno spirito impuro. Entrando in casa dei suoi discepoli e amici, essi gli presentano immediatamente la sofferenza della suocera di Pietro, che era immobilizzata a letto con la febbre. Questo dettaglio ci invita a riflettere su un aspetto importante della nostra vita di discepoli di Gesù: di cosa parliamo noi a Gesù?

Proprio come i suoi discepoli gli presentano immediatamente una situazione di preoccupazione per quella persona sofferente, così anche noi, nel nostro dialogo con Lui, dovremmo sempre portargli quelle situazioni di sofferenza fisica e spirituale di cui siamo a conoscenza, perché Lui possa intervenire con la sua mano potente. Gli dei dell’Olimpo greco venivano descritti dai poeti e filosofi antichi come totalmente indifferenti alla vita degli uomini, perché totalmente intenti alle loro lotte di potere e ai loro amori. Cristo, invece, è Colui che pro-esiste, ossia esiste per gli altri. Egli sta in una duplice “apertura”, quella verso il Padre, nella cui comunione abita stabilmente, e quella verso i fratelli. Il mistero della sua Persona divino-umana non permette alcuna indifferenza nel Figlio di Dio.

Egli ama così tanto l’umanità da averla scelta come sua dimora e da averne assunto su di sé ogni aspetto, compresa la sofferenza, che in Lui diventa addirittura strumento di redenzione. Gesù, conosciuta la sofferenza di questa anziana donna, senza parlare, prendendola per mano, la fa alzare (il verbo greco è egheiro, esattamente quello usato per descrivere la Risurrezione). Egli le dà una nuova vita! L’effetto della guarigione immediata e miracolosa di Gesù si vede nell’azione successiva della donna, che – come dimenticandosi di tutto – si mette a servirli, preparando il pasto della festa. Ogni guarigione operata da Gesù, fisica o spirituale che sia, alimenta e fortifica la logica del dono. La donna, anziché tenere per sé la gioia della salute e della vita ritrovata, si pone a servizio di Gesù e dei discepoli.

La notizia della guarigione della suocera di Pietro deve essersi subito diffusa nel piccolo villaggio di Cafarnao, tanto che nel giro di poche ore una folla immensa si accalca all’uscio della piccola casa: tutti vogliono essere toccati dalla potenza di Gesù ed Egli, in effetti, continua a curare e liberare molti. È interessante come l’Evangelista Marco sottolinei un dettaglio non secondario: tutti i malati e gli indemoniati erano alla porta di quella casa, ma molti, non tutti, vengono guariti e liberati. L’azione taumaturgica e liberatrice di Gesù, infatti, non è un potere magico e automatico, ma richiede cuori aperti e disponibili ad accoglierlo e ad entrare in relazione con Lui. La terza scena del brano, infine, ci presenta Gesù immerso nel suo dialogo costitutivo e continuo con il Padre. Il suo ministero di annuncio, di guarigione e di liberazione, trova la sua fonte nella preghiera. Egli, cercato da tutti, ha bisogno di ritirarsi, di sottrarsi alla folla, per inebriarsi della presenza del Padre e portarlo all’umanità assetata.

Quanto ha da insegnarci questo stile di Gesù! Troppo spesso, a causa di impegni e presunte priorità, noi siamo portati a trascurare la preghiera, quasi fosse un “tempo morto”, che toglie tempo alla carità. Don Oreste Benzi, grande testimone di carità, era solito ripetere: “per stare in piedi, bisogna stare in ginocchio”.


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