Don Luciano Condina – Commento al Vangelo del 9 Maggio 2021

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Nel comandamento nuovo, quello dell’amore, troviamo il cuore del passaggio dalla legge dell’Antico testamento alla grazia del Nuovo. A questo cuore è legata la gioia, quella vera e piena che l’uomo perennemente rincorre fin dai primi istanti della sua esistenza e che pare non essere mai pienamente raggiungibile, perché sembra trovarsi, ogni volta, un passo avanti ai nostri.

La gioia piena auspicata per i discepoli – annuncia Gesù – è la «mia gioia», ossia quella che Egli possiede e che ha presupposti ben diversi dalla gioia fondata su questo mondo che noi perseguiamo; così come l’amore citato nel primo versetto: «Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi» (Gv 15,9), è l’amore ricevuto dal Padre.

Riguardo all’amore dobbiamo obbligatoriamente fare un po’ di chiarezza sul termine, perché non esiste forse parola più inflazionata, citata a sproposito, che soprattutto oggi assume significati sempre più distanti da quello evangelico. Prendiamo in considerazione quelli principali.

C’è un amore “volontaristico”, ossia quello che sta alla base dell’impegno morale, dell’imperativo categorico kantiano, dell’impegnarsi nel mantenere i propri doveri. Questo tipo di amore tiene in piedi i matrimoni combinati – esistenti tutt’oggi – che generalmente avvengono senza il coinvolgimento sentimentale. Questo tipo di amore spesso genera frustrazione e acidità, condizioni presenti in chi vive la fede in modo esclusivamente volontaristico.

Esiste, poi, un amore “sentimentale”, legato all’innamoramento, al romanticismo: quello letterario e cinematografico. È nota la grande volubilità dei sentimenti, che portano ad agire secondo “umore”, secondo quanto “ci vada” di fare una cosa o l’altra. L’amore sentimentale esiste finché c’è il sentimento e si è disposti a soffrire e sacrificarsi per l’altro, finché si prova qualcosa per lui.

C’è infine il più povero concetto di amore, instabile e tutto contemporaneo, legato al fatto che ci si ama se si sta bene, se uno fa stare bene l’altro; «Ti amo perché mi fai stare bene». Potremmo definirlo amore “egoistico”: non appena il benessere passa, quando «le cose non vanno più bene», ci si lascia, perché amarsi significa stare bene insieme.

La forma di amore più alto è, senza dubbio, quello genitoriale, incondizionato, indipendente da null’altro se non la genitorialità; è quello di cui appunto parla Gesù nel primo versetto. E aggiunge il comandamento nuovo: «che vi amiate come io ho amato voi».

Questo «come» – kathòs in greco – si può intendere in senso comparativo, ma anche “in quanto”, “siccome”, cioè in senso causale: “Amatevi gli uni gli altri, in quanto io vi ho amati”; “(Sic)come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi”. L’amore si può dare se lo ricevi da qualcuno. Amare come ama Gesù è possibile solo se l’amore lo ci è donato da lui, perché amare come ci ama lui – in senso comparativo – è impossibile all’uomo per se stesso. «Senza di me non potete far nulla» (Gv 1,5) riguarda anche la capacità di amare.

Tanti problemi affettivi e relazionali derivano da carenze di amore familiare. Nei carcerati spesso troviamo persone orfane sia fisicamente che in senso figurato, con genitori lontani o violenti. Ricevere amore ci forma, ci dà sostanza, ci rende abili ad amare.

Nel marasma contemporaneo di amori fasulli lasciamoci amare e riceviamo da Dio l’amore unico e autentico, il solo in grado di renderci veri amanti. Il segreto della gioia risiede proprio nell’accoglierlo.

Commento di don Luciano Condina

Fonte – Arcidiocesi di Vercelli