don Giovanni Cesare Pagazzi – Commento al Vangelo di domenica 26 Gennaio 2020

Si comincia con un’indicazione temporale: “Quando Gesù seppe che Giovanni era stato arrestato…”.

Il Signore decifra l’uscita di scena del Battista come il momento in cui tocca a lui entrare. Perciò si trasferisce a Cafarnao, comincia a predicare e chiama i primi discepoli. La maestà del Figlio di Dio si rivela anche in questo particolare: cogliere il momento in cui “tocca a lui”. Essere suo discepolo, assumere il suo stile comporta quindi la prontezza nell’intuire il tempo in cui tocca a me. Senza dubbio è tra le cose più difficili, poiché in genere si è più svelti nell’indicare quando tocca agli altri, cioè quasi sempre.

Capire quand’è il nostro tempo è faticoso, non sembra mai quello giusto: adesso “sono troppo giovane”, “sono troppo vecchio”; “sono troppo impegnato”, “sono in vacanza”; “non sto tanto bene”, “sono troppo stanco”; “sono troppo felice”, “sono troppo triste”; “ho i figli piccoli”, “ho i figli adolescenti”, “ho il figlio che si sta sposando”, “ho i nipotini da curare”. Aspettando il tempo ideale, non arriva mai il momento opportuno, perciò toccherà sempre a qualcun altro. Il continuo rinvio dell’ingresso in scena è anche causato dall’insensibilità. Se ho la pelle dura, se niente mi tocca, non toccherà mai a me. Se nulla e nessuno mi risulta toccante, non toccherà mai a me. Cosa mi tocca? Tocca a me!

La pagina evangelica indica anche un luogo. Si tratta della Galilea, a nord della Terra Santa. Una terra di confine: a settentrione la zona pagana di Tiro e Sidone; a est il territorio altrettanto pagano della Decapoli. La scena nella quale il Signore entra è un confine che, come tale, pur ben delineato, catalizza sempre molta confusione. Le frontiere sono linee nettissime e ben difese, eppure gli italiani al confine della Francia sono un po’ francesi e i francesi al confine con l’Italia sono un po’ italiani; vivono una situazione mista.

Così gli abitanti della Galilea sono un po’ pagani. Che bello che Gesù entri in una scena ingarbugliata. Che bello che non tema la fatica di chiarire una situazione confusa, portando la luce. Che bello che il Signore non metta la “chiarificazione” della nostra ambiguità come condizione previa alla sua vicinanza, ma colga il nostro impasto di santità e peccato come il punto di partenza del compito che tocca a lui. Se non fosse stato toccato dalla tristezza del nostro male e dalla speranza per il nostro bene, non sarebbe mai toccato a lui. Cosa mi tocca? Tocca a me!

don Giovanni Cesare Pagazzi (annuario al 04/09/2019)

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