don Carlo De Marchi – Commento al Vangelo di domenica 22 Dicembre 2019

Il coraggio di essere padri

«Giuseppe, figlio di Davide, non temere…». Con queste parole comincia l’annunciazione di Giuseppe, raccontata nel Vangelo dell’ultima domenica di Avvento (Mt 1, 18-24). Ogni volta che Dio si rivolge a una sua creatura, la prima parola è un invito affettuoso a non temere. Il Signore conosce la nostra paura di essere inadeguati, di avere fatto sbagli troppo grossi in passato, di essere soli ad affrontare la realtà.

L’incoraggiamento che l’Angelo rivolge a Giuseppe in sogno non è però generico: «Non temere di prendere con te Maria, tua sposa». Giuseppe sta attraversando una crisi angosciosa: innamorato di Maria, non capisce come sia possibile che lei sia incinta, ma esclude senza dubbio una sua colpa e pertanto decide di uscire di scena da una storia che gli sembra troppo grande per lui (questo significa giuridicamente “ripudiarla in segreto”: lo sposo si assume la responsabilità di abbandonare la sposa, al prezzo di scomparire). Dio invece sorprende Giuseppe e lo invita a prendere con sé Maria e il Bambino.

«Il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù». La spiegazione offerta dall’Angelo a Giuseppe è tutt’altro che chiarificatrice: richiede un anticipo di fiducia da parte sua, un affidamento nonostante molti punti rimangano oscuri. Non temere, sembra dirci a volte il Signore, anche se non capisci bene tutti i dettagli, io mi fido di te e ti affido queste persone, ti affido la situazione in cui ti trovi. Anche se non ti senti adeguato e non capisci, avrai un ruolo: darai tu il nome a mio Figlio. Sarai davvero suo padre.

Siamo chiamati a smettere di pretendere di avere tutto sotto controllo e deciderci a lasciar fare a Dio. Per dirla con le parole di Niccolò Fabi: «La salvezza non si controlla, vince chi molla». Ognuno di noi, come Giuseppe, è chiamato a diventare padre, cercando di fare il bene possibile qui e adesso.

Siamo chiamati a fare del nostro meglio, senza la pretesa di risolvere tutti i problemi, senza la pretesa di sistemare il mondo. Non siamo noi i salvatori, noi siamo solo chiamati a lasciar fare a Gesù: «Egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati».

Entriamo nella logica del Natale soprattutto attraverso i piccoli gesti quotidiani in cui si esprime la paternità (o maternità): cercare di ascoltare il coniuge con affetto, fare salti mortali per arrivare alla recita natalizia (tutte a metà pomeriggio, col traffico che c’è!), mantenere il buonumore nelle trafelate riunioni di lavoro prefestive e nelle concitate giornate di festa… Accogliere la realtà come compito, avendo il coraggio di diventare padri, come Giuseppe.

Fonte

A cura di don Carlo De Marchi


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