don Andrea Vena – Commento al Vangelo di domenica 12 Giugno 2022

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Cosa dice la Parola/Gesù

Con la solennità di Pentecoste, che abbiamo celebrato domenica scorsa, si è concluso il tempo pasquale, e abbiamo ripreso il Tempo Ordinario, ossia il “tempo” nel quale siamo invitati a testimoniare, “fino ai confini della terra” (At 1,8) quanto il Signore ci vuole bene, fino a morire per noi! Una testimonianza che non ha confini, perché – dicevamo durante il tempo di Natale – come Gesù è uscito dalla “sacrestia del Cielo” per condividere con noi tutto, eccetto il peccato, così anche noi siamo oggi invitati a uscire dalle “sacrestie” delle nostre chiese simbolo di ogni “sacrestia esistenziale” o di ogni “poltronite” e andare in tutto il mondo illuminati dalla Parola, nutriti dai Sacramenti per narrare con la vita “com’è bello e gioioso che i fratelli vivano insieme” (cfr Sal 134), amandosi gli uni gli altri come Gesù ci ha insegnato (cfr Gv 15,9). Non possiamo dunque restare chiusi per comodità, paura, timore o vergogna: il Signore ci ha donato lo Spirito per divenire testimoni del suo amore misericordioso, non per restare fermi.

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Possiamo vedere la solennità odierna a sintesi del cammino fin qui compiuto: il Padre, affacciandosi dal balcone del cielo, ha visto quanto disorientata era l’umanità, incapace di accogliere la voce dei suoi profeti, così alla fine ha inviato il suo Figlio Gesù a condividere con noi l’avventura umana e riaprirci la Via verso il Cielo (Natale). Lungo la sua vita terrena Gesù ha annunciato la lieta notizia, la vita Buona del Vangelo, ha compiuto prodigi quali “segno” della sua gloria e ci ha amati fino alla fine, morendo in croce per noi e risorgendo dopo tre giorni perché la morte non può avere l’ultima parola su di Lui (Quaresima-Pasqua). Salito in cielo, il Padre, nel nome del Figlio, ha donato lo Spirito Santo (Pentecoste), primo dono ai credenti. Dalla narrazione spirituale di questo tempo, emerge così la Santissima Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo.

Le tre letture che la liturgia ci presenta oggi ci svelano l’azione delle tre Persone della santissima Trinità. Nella prima lettura, tratta dal libro dei Proverbi, attraverso l’immagine della “sapienza” fatta persona, viene presentata l’azione creatrice di Dio, del Padre: “Quando egli fissava i cieli, io ero là” (Pr 8,27). “Quando condensava le nubi…quando stabiliva i mari…quando disponeva le fondamenta della terra…io ero con lui: …giocavo davanti a lui in ogni istante, giocavo sul globo terrestre…”. La prima cosa che vorrei evidenziare è il gioco: quanto bisogno abbiamo anche noi di recuperare la giocosità di Dio, sapendola fare nostra: giocare con Lui e davanti a Lui, proprio come dei bambini: “Se non vi convertirete e non diventerete come bambini non entrerete nel regno dei cieli” (cfr Mt, 18,5). Il gioco, nella sua accezione più autentica, porta in sé i caratteri della libertà, gratuità, spontaneità, disinteresse, ed è accompagnato da sentimenti di letizia e serenità. Di fronte a questi atteggiamenti, ci viene il dubbio di considerare troppo “seriamente” la fede, non perché non sia importante, ma rischiamo forse di ridurla a qualcosa di “serioso”, di “triste” e non di giocoso: Dio gioca con noi e si attende che noi giochiamo con Lui!

In secondo luogo, i vangeli ci dicono che l’accezione di “sapienza” è fatta propria da Gesù, Sapienza fatta “carne”: Il Figlio dell’uomo, che mangia e beve, e dicono: “Ecco, è un mangione e un beone…Ma la sapienza è stata riconosciuta giusta per le opere che essa compie” (Mt 11,19); “La sapienza di Dio ha detto: “Manderò loro profeti e apostoli…” (Lc 11,49); “E il Verbo si è fatto carne” (Gv 1,1ss). Ecco perché la II lettura, tratta dalla lettera ai Romani, scrive: “Fratelli…siamo in pace con Dio per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo. Per mezzo di lui abbiamo, mediante la fede, l’accesso a questa grazia…”. E nel vangelo troviamo la sintesi dell’azione delle tre Persone della Santissima Trinità. Siamo al capitolo 16 di Giovanni, che contiene il grande discorso di addio di Gesù ai suoi. Ha già promesso che non ci avrebbe lasciati soli (cfr Gv 14,18) e che avrebbe mandato lo Spirito Santo, il Paraclito (cfr Gv 14,15-17…).

E a un certo punto confessa: “Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso” (cfr 16,12). Ha già detto tutto, ma non tutto siamo in grado di comprendere subito: ci sarà svelato man mano, in base alle nostre forze, in un graduale cammino di crescita interiore. A ricordarci le cose del Padre e del Figlio sarà lo Spirito santo, dono promesso.

Tutto quello il Padre possiede è mio” – dice Gesù nel vangelo. Ce lo aveva già detto, rispondendo a una richiesta di Filippo: «“Signore, mostraci il Padre e ci basta”. Gli rispose Gesù: “Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre…”» (Gv 14,8). “Io e il Padre siamo una cosa sola” (Gv 10,30). Ma è lo Spirito che ci renderà capaci di comprendere, sarà Lui a guidarci alla verità tutta intera. E questa verità non sono idee da imparare a memoria, non è una dottrina…ma è relazione, quella inaugurata dal “comandamento nuovo…”.

Soffermiamoci per un istante a contemplare la dinamica di relazione che c’è tra Padre, Figlio e Spirito Santo: nessuno parla di sé, né parla da sé o dice ciò che pensa o vuole. Ciascuno condivide ciò che a sua volta ha ricevuto! “Lo Spirito santo non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito..:”. Gesù ci dice che ciò che è del Padre è anche del Figlio; e ciò che è del Figlio è “preso” dallo Spirito perché diventi di tutti, dei discepoli di ieri e di oggi: “Lo Spirito mi darà gloria: riprenderà le mie parole e le dirà alla Chiesa” (Antifona magnificat mercoledì VI settimana di Pasqua)

In queste parole possiamo cogliere il segreto di una relazione vera, bella, dove nessuno si impone sull’altro, perché l’altro è per me, a custodire e garantire la mia esistenza. Perché ciò che sta a cuore al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo è la salvezza dell’uomo. La nostra salvezza. Nient’altro. Segno che nella santissima Trinità c’è pura relazione d’amore. Bellissimo! Ma questa relazione d’amore chiede ora di farsi in noi relazione d’amore, a Loro somiglianza, dove unica cosa che dovrebbe muoverci è l’amore per gli altri: non c’è un “mio” o un “tuo”, ma c’è solo un “nostro”, come ci ha insegnato Gesù nella preghiera del Padre nostro. L’errore di Adamo ed Eva, il loro peccato, è stato volersi “impossessare” del frutto dell’albero, illusi che fosse loro: “Allora la donna prese del suo frutto” (Gn 3,6). E di conseguenza la gelosia di Caino riguardo al fratello Abele (cfr Gn 4,5). E potremmo andare avanti: “Sei forse tu geloso perché sono buono?” (cfr Mt 20,15; cfr Lc 15, il figlio maggiore che non vuole partecipare alla gioia del Padre…). Esempi che suggeriscono che impossessandosi delle cose o peggio ancora degli altri, non ci si realizza e non si diviene felici. Gesù ci ha insegnato che è nel dono reciproco la nostra realizzazione, la nostra pienezza umana e cristiana perché “c’è più gioia nel dare che nel ricevere” (At 20,35), perché “Dio è amore; chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in lui…nell’amore non c’è timore, al contrario l’amore scaccia il timore” (cfr 1Gv 4,12ss).

Come tra Padre, Figlio e Spirito Santo c’è una relazione perfetta d’amore, così da Loro, in Loro, con Loro noi impareremo a conoscere Dio, a far esperienza vera con Dio, con gli altri, con noi stessi e con il creato. Ed è vita. È cammino. Come ogni relazione si approfondisce nel tempo, così si cresce e si comprende col tempo. Basterebbe ricordare i due discepoli di Emmaus: sapevano tante cose, ma non ne comprendevano il senso, tanto che si allontanavano da Gerusalemme. Sarà Gesù, nel dire la Parola, a far ardere il loro cuore (cfr Lc 24). Nella relazione non è importante solo il sapere, ma il custodire, il gustare…Come dicevano gli antichi, “non multa sed multum”: non molte cose, ma molto bene il poco o, in altri termini, fai bene il bene che devi compiere. Ripensiamo e impariamo dalla Vergine Maria che “Custodiva tutte queste cose meditandole nel suo cuore” (Lc 2,19). Così noi siamo invitati a custodire la Parola della Scrittura, ma anche la parola della vita, lì dove Dio agisce in noi e attraverso noi, certi che nulla avviene per caso, ma tutto fa parte di un progetto di Dio. Ecco cosa fa lo Spirito: ci guida dentro il labirinto della nostra storia, dei nostri pensieri, dei nostri affetti e ci aiuta a dare un senso logico a tutto. Esperienza che sarà resa possibile nella misura in cui resteremo radicati e fedeli in Gesù e nello stesso tempo proiettati verso la Meta del Cielo, guidati dallo Spirito: “Adesso noi vediamo in modo confuso, come in uno specchio; allora invece vedremo faccia a faccia. Adesso conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò in perfettamente” (cfr 1Cor 13,12).

La fede in Dio, Padre Figlio e Spirito Santo è relazione, esperienza che cresce con noi, in noi. In fondo il Vangelo è quello di sempre, eppure crescendo lo comprendiamo sempre meglio. Noi come singoli, ma anche come Chiesa. E a guidarci in questa avventura è lo Spirito santo, nostro Maestro interiore: “Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà alla tutta la verità”, dice Gesù nel vangelo. Possiamo veramente dire di essere mendicanti della verità, ricercatori appassionati del senso più vero e bello della vita, che solo il Signore Gesù sa indicarci e svelarci: “Io sono la Verità” (Gv 14,6). In questa dinamica d’amore, l’evangelista Giovanni ci aiuta a vedere, o meglio, intravvedere Dio come Padre, Figlio e Spirito santo: un Dio che è comunione, relazione, amicizia, mutua appartenenza. Così, se pensavamo che Dio fosse confinato lontano e solitario in cielo, in realtà è un Dio-compagnia, Padre-Figlio e Spirito Santo, che ci rende partecipi del gioco divino della vita.

E se può apparire un discorso difficile, astratto…ripensiamo solo a un gesto che quotidianamente facciamo, quello del segno della croce. Mentre tracciamo sul nostro corpo il segno della croce, diciamo che Dio è Padre, Figlio e Spirito santo. Gesto e parole che dicono che Dio è abbraccio, è misericordia, è amore infinito, è braccia spalancate…In quel segno esprimiamo il nostro desiderio e impegno di permettere a Dio di mettere ordine nei nostri pensieri e affetti, e di riportare tutto in Lui; diciamo il nostro desiderio e impegno di credere con tutta la mente (ci tocchiamo la fronte), con tutte le forze (ci tocchiamo le spalle) e con tutto il cuore (ci tocchiamo il petto). Vorrei concludere riprendendo il concetto di gioco che abbiamo incontrato all’inizio nel testo dei Proverbi. Come il gioco chiede rispetto delle regole ma nello stesso tempo lascia spazio alla creatività di ciascuno, così Dio suggerisce che il modo migliore per contagiare gli altri della gioia del vangelo è mostrare com’è bello giocare con Dio, radicati nella “regola” del Vangelo – che è amore – ma creativi nel saperlo proporre. Così i santi hanno attratto gli altri: giocando con Dio, fino a rendere chi era con loro partecipi del gioco di Dio (cfr Ef 1,4-13).

Cosa rispondo io oggi alla Parola/Gesù

Colletta anno C

Padre santo e misericordioso che nel tuo Figlio ci hai redenti e nello Spirito ci hai santificati, donaci di crescere nella speranza che non delude, perché abiti in noi la tua sapienza.

Giocare con Dio Padre buono

tutti pensano che la fede

sia una questione talmente seria da averla ridotta

a un’esperienza seriosa e triste. Tu, invece,

ci hai donato il tuo Figlio Gesù

per insegnarci che la fede

è giocare  con  Te. Donami il tuo Santo Spirito perché,

fedele alle regole del Vangelo, sappia giocare

con entusiasmo e passione la partita della vita.

E tutto sarà gioia.

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Il commento al Vangelo di domenica 12 giugno 2022 curato da don Andrea Vena. Canale YouTube.