don Alessandro Dehò – Commento al Vangelo del 9 Gennaio 2022

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Ridammi l’esilio

Ridammi, ti scongiuro, l’esilio, ridammi il vuoto, la distanza, la mancanza. Ridammi la forza di scavare a mani nude il sepolcro da cui implorarti. Ridammi la febbricitante lucidità di chi spolpa le proprie illusioni. Ridammi il coraggio di misurarmi ogni istante con la morte che, dolorosa amica, mi scongiura di non credere che sia tutto e solo qui.

Qui è solo il tempo del rischio, quello di abituarsi, addestrare la vita a rispondere nelle piccole cose, qui la trappola della dolcezza, la fede consolante dei baci e l’illusione di una qualche sciagurata felicità.

Ridammi, ti scongiuro, la fame degli inizi, sprofondami nel tempo del lutto, fammi masticare il male che mi abita, non concedermi subito il perdono, fammi travolgere dalle mie miserie. Affogami nei miei limiti. Non avere fretta, non avere fretta mai, di portarmi nelle praterie dell’accettazione. Liberami dalle utopie che impongono paradisi artificiali. Ridammi l’esilio, quello che si apre nascendo, gridami sul muso che questo nostro vivere è solo Babilonia e che il rischio maggiore sarebbe di abituarsi, credere che siamo fatti per restare.

Ridammi il dolore e non liberarmi dai volti amici che, sono sicuro, mi chiamano dall’Altrove a cui sono chiamato. Sono i morti a pregare per i vivi, loro sentono la mancanza e io non posso deluderli. Ridammi padri che non abbiamo paura di vedermi soffrire, dammi di rotolare nelle assenze, e di annientarmi di nostalgia. Ridammi la compagnia dei morti, siano il coro di ogni mio giorno.

Ridammi di sprofondare nel male, nel mio, che è poi quello del mondo, che non abbia paura di guardare alla mia miseria, solo così la preghiera può sciogliersi in pianto e implorare liberazione.

Ridammi l’esilio dalle mie parole, che ogni mia frase sia epigrafe e implorazione e mai, mai, ti prego, adulazione per questo mondo che non deve bastarci mai. Rimettimi alla scuola dei poveri, di quelli che bestemmiano la vita, di chi si sente tradito da eccesive promesse, da chi ha scoperto che i giorni sono solo esplosioni nel cuore, a trasformare in cratere ogni nostro passo.

Ridammi l’esilio, quello che rende la morte alleata, riportiamola a casa insieme, chiediamole di restare, raccontiamola ai nostri figli, sorella che tiene la mano per portarci, alla fine, a casa.

Ridammi l’esilio di un mondo fatto di tende e non di palazzi, di polvere e non di asfalto. Ridammi ossa che bruciano di mancanza e carne sempre crocifissa ai bisogni. Ridammi la sete, la fame, la paura, l’angoscia e i sensi di colpa di quando oso dirmi che in fondo mi basta quello che ho, quello che sono. Ridammi la morte che squarcia le illusioni, che umilia le catechesi saccenti, che compatisce i predicatori ingenui.

Ridammi l’inconsistenza dei progetti, l’impalpabilità delle leggi, la frantumazione delle arroganze, la dissoluzione dei buoni propositi. Ridammi una fede che abbia le stigmate trapassate e il buio negli occhi. Ridammi un motivo per scongiurarti. E se un giorno dovessi darti per scontato, ti prego, toglimi anche la fede in te. Battezzami nella mia miseria, affogami e toglimi il fiato fino a quando non torni a scongiurarti.

Ridammi una predicazione che non si accontenti di plasmare obbedienze, ridammi il grido gelido dei lebbrosi e il tuo cadavere sul Golgota a sfidare il Cielo. Che si apra, che ti accolga, del resto non sappiamo cosa farcene, non ci basta più. Ridammi le preghiere senza grammatica, le implorazioni sfacciate, il coraggio di chiedere conto a Dio. Ridammi l’esilio del vivere, quello che hai solcato anche tu.

Ridammi parole che sappiano di eternità, di resurrezione, della grande sfida tra vita e amore, e non tra vita e morte, la morte ci è sorella, compagna, salvifico appiglio. Non voglio qui l’oro con cui rattoppare le cicatrici dei cocci delle mie azioni, adesso lascia che mi tagli con i frantumi dell’esiliata mia vita, sanguini ogni mio dolore, emorragia di facili consolazioni, l’oro lo pretenderò alla fine, lo pretenderò tutto, affogherò nell’oro, ne berrò fino alla nausea, perché me l’hai promesso. E io voglio crederti ancora.

Liberami da letture moralistiche e infantili, la sobrietĂ , la giustizia e la pietĂ  siano le punte acuminate a impedire alla mia fame di cicatrizzarsi, ridammi la coscienza di essere ferita aperta, smarginata, implorante.

Ridammi la forza di credere che il cielo si possa squarciare come a tagliare con lama il ventre di una animale, ridammi di implorare viscere calde di Spirito e una pioggia di fuoco su questo nostro esilio chiamato vita. Non basta l’acqua, non il battesimo, non le piccole consolazioni, non una fede senza resurrezione, mi nausea una morale che non cammini il confine del morire.
Ridammi la forza di non retrocedere, di seguirti fino alla fine, e di capire che Tu sei la fame e la sfida, che tutto si sveli in terra d’esilio, che tu ci chiedi solo di tornare, che ci prometti un posto, che siamo come in temporanea migrazione. Ridammi ogni giorno di poter sprofondare in te, nella tua di fame, nel tuo infinito bisogno di Eterno. Nella tua fame di me.


AUTORE: don Alessandro DehòSITO WEB Leggi altri commenti al Vangelo della domenica