don Alessandro Dehò – Commento al Vangelo del 7 Febbraio 2021

Uscito

(Marco 1,29-39)

Quinta domenica del Tempo Ordinario anno B 2021

Mentre nella sinagoga di Cafarnao lo spirito impuro lascia finalmente in pace un corpo d’uomo provato da precoce verità anche Gesù è come costretto a uscire allo scoperto, anche in lui avviene un cambiamento. Perché così è la vita, e Cristo lo insegna bene, così è anche Dio. Compromissione con la storia significa accettare di lasciarsi cambiare dagli eventi. Nessuna azione, nessuna decisione, nessuna relazione, nemmeno nessun miracolo ci lascia indenni, ogni cosa ci mette alla prova e ci cambia, nel bene e nel male.

E così, nello stupore soffocato di una sinagoga capace di riconoscere solo un’incompresa autorità, Cristo, accetta l’espulsione al mondo, come un battesimo feriale, l’immersione nelle nostre povere febbri quotidiane. Come ad accettare di misurarsi con la banalità dell’essere umano. Siamo noi, siamo spesso colpiti da lieve malessere. Siamo roba da poco, stiamo a letto, unica diagnosi è che ci pare che ogni giorno sia uguale all’altro e che noi, a dirla tutta, non serviamo a nulla. Paura di essere esseri inutili. Un lieve malessere, niente di grave, nemmeno capaci di arrivare a diagnosi depressive, solo ci sembra che il mondo vada avanti benissimo anche senza di noi, ecco. Il lieve malessere di non essere indispensabili. Quel giorno la Sua autorità accettava di fare i conti con la banalità. Ecco perché non possiamo più sentirlo lontano.

Siamo poca cosa ma Lui no, questo è già miracoloso, puoi essere al Tempio o nella casa di un amico ma lui, comunque, è sempre la liturgia cosmica della resurrezione, lui è il Creatore che danza in punta di piedi nell’Eden, lui è vita che si avvicina, perché non c’è nessuna risposta alla noia di vivere, non c’è nessuna risposta a niente se non nella prossimità. Noi siamo banali ma lui no, lui è regale, tende la mano come a farebbe un padre con la figlia, come l’amante con l’amata, come il Creatore con Adamo. Noi siamo banali, lui no, lui non si limita a guarirci, lui ci resuscita e poco importa se la nostra è una morte feriale, cosa povera, di cuori semplici, lui resuscita, l’Amore non è mai banale.

Concedersi alla mediocrità del mondo non vuol dire sminuire l’Amore, questo dovremmo finalmente capire, abbandonare gli spazi sacri non significa desacralizzare la fede, sacro è il nostro atteggiamento con il reale, con tutte le sfumature del mondo: dalla morte di Lazzaro alla febbre della suocera di Pietro. Uscire dalla Sinagoga non significa decidere di occuparsi di cose di poco conto ma, al contrario, poetizzare tutto e dire che anche il guarire dalla febbre è una piccola resurrezione. Usare, come l’evangelista, lo stesso verbo per risorgere e per risollevare quella donna stesa nel suo letto.

Andare nelle periferie non significa sminuire il Vangelo ma, al contrario, meravigliarsi di come le grandi parole della fede siano all’opera anche lì, perché nulla, davvero nulla è banale, se non sono banali gli occhi di chi guarda.

Avete mai incrociato occhi che non vi fanno sentire inadeguati? Che vi trattano con cura e grazia, con gesti e parole che vi fanno scendere un brivido lungo la schiena? Vi siete mai commossi nello stupore di perdervi in occhi che vi accudiscono e che vi adorano? Occhi che vedono in voi quello che nemmeno voi riconoscete? Quella sera a Cafarnao dalla sinagoga è stato partorito uno sguardo così, e infatti nessuno più poteva farne a meno. Che se trovi occhi così non ti nascondi più, non hai vergogna di essere malato, di essere spezzato dentro, di sentire che c’è male in quello che fai perché occhi così ti resuscitano. Non c’è più vergogna a mostrare le proprie nudità a occhi in venerazione della nostra vulnerabilità. C’è tutto qui capite? Chi di noi non correrebbe alle porte delle nostre comunità cristiane se sapesse di trovarci occhi compassionevoli? Chi di noi avrebbe ancora paura? Chi di noi si nasconderebbe? Servono occhi capaci di risorgere il nostro bisogno di essere accuditi e amati. Non sentite anche voi che non serve nient’altro?

Quella notte Cafarnao si addormentò leggera, come se si sentisse custodita da uno sguardo lieve e buono, come se l’autorità si sposasse con la dolcezza, come se Dio avesse finalmente occhi buoni.

E così l’unico a svegliarsi presto fu Gesù, perché aveva un solo desiderio: immergersi nello stesso sguardo. Cosa è pregare se non perdersi nello sguardo compassionevole del Padre? Nel silenzioso deserto della prova per liberarsi da tutte le false immagini di Dio. Nel deserto della notte, perché l’unica luce sia quella dei suoi occhi buoni su di noi. Cosa possiamo raccontare se non la luce di quegli occhi?

Poi sono i discepoli che cercano Gesù ma Gesù, dopo essere uscito dalla sinagoga esce anche da Cafarnao, non devono cercare lui, devono cercare lo sguardo del Padre. Lo troveranno nella sinagoga se qualcuno saprà mostrare i suoi occhi attraverso le parole della Scrittura, lo troveranno nel deserto se avranno la sapienza di smontare l’idea idolatrica di Lui, lo troveranno in ogni villaggio, se avranno la pazienza di seguire l’itinerario di Cristo, lo troveranno nel pane e nel vino e perfino sul Calvario, se avranno occhi liberi. Fin oltre il sepolcro se avranno imparato occhi coraggiosi. Sarà solo questione di sguardo.   E’ sempre e solo questione di risorgere lo sguardo.


AUTORE: don Alessandro DehòSITO WEB Leggi altri commenti al Vangelo della domenica

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