don Alessandro Dehò – Commento al Vangelo del 6 Marzo 2022

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Intollerabile libertà

“La libertà è ‘intollerabile’ all’uomo, che si inventa mille obblighi e doveri per non viverla” stamattina inciampo in questa frase di Pasolini, ringrazio l’amico Davide Brullo (“Vedo di fronte a me un mondo sempre più squallido”. Per Pier Paolo Pasolini – Pangea) e capisco immediatamente che non riuscirò ad affrontare il Vangelo della prima domenica di quaresima senza questo pugno di parole conficcato in testa. La pagina è quella delle tentazioni di Cristo nel deserto, inizio e compimento, lotta all’ultimo sangue, deserto ad anticipare il Calvario. La libertà è intollerabile, lo sa bene il tentatore, lo sa bene anche Gesù, la sfida è infinita e noi ci siamo dentro, ogni tentativo di fede non è altro che il coraggio di scendere in questa arena. Uscirne indenni sarebbe la vera sconfitta.

La pagina evangelica è Esodo incastrato nelle costole del Messia: c’è il deserto, il numero quaranta e le grandi tentazioni: pane, potere e idolatria. Tentazioni affilate come denti di tigre ad azzannare le nostre paure o la nostra unica definitiva paura, quella di non reggere l’urto devastante della libertà. Lontani dalla retorica, non si fugge per sempre dal faraone e essere lontani dall’Egitto non è garanzia, forse solo parte di un’illusione che rischia di essere diabolica. Non basta la fuga, nemmeno rinascere dalla rottura di acque, serve una conquista dolorosa, forse solo la morte saprà sugellare l’approdo.

La libertà, quella vera, non procede per disegni politici, non si costruisce con trattati di pace, la libertà, la nostra più scandalosa somiglianza al divino è una lama che trapassa. Intollerabile ai più, imporla all’uomo è una follia, lo sa bene il tentatore, credere che l’uomo sia in grado di reggerne il peso è l’atto di fede più grande di Cristo nei nostri confronti. Compimento di un’alleanza spropositata, delirante, eccedente, scandalosa. Che Cristo non perda la fede nell’uomo è la vera sfida, a noi di decidere se capitolare in questo azzardo d’amore oppure non credere che lui possa arrivare a tanto. Essere creduti più che essere credenti. Il Vangelo si legge e si rilegge per verificare la Sua tenuta.

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Non è per noi la libertà, resta intollerabile e incomprensibile, per noi è solo lo stupore e lo scandalo, per noi l’indecifrabile decisione divina di un Cristo incatenato alle nostre miserie.

Nel deserto la prima tentazione viene da una fame cercata e temuta, quaranta, un itinerario, quali i desideri che resistono alla fine di una vita? Quali quelli che bruciano come eterno roveto che non si annienta? Cristo affronta ad occhi aperti la logica perfetta del male che scommette sull’istinto dell’uomo, per il divisore non esiste nessuna fame inattaccabile, l’uomo cercherà sempre un pane, la manna, un riempimento, un obbligo o un dovere, un padrone qualsiasi pur di non morire tra le pietre di un deserto. La tentazione non è altro che la logica perfetta di chi conosce bene l’uomo, e lo osserva, e lo comprende, e non lo provoca ma lo accontenta.

La tentazione fondamentale in fondo è negarci qualsiasi tentazione. Cristo invece rimane affamato, nessuna manna, nessuna moltiplicazione, nessun intervento divino, come sulla croce, l’esito finale di una vita non è altro che mantenersi famelici, bruciare di desiderio, non cedere alla tentazione che qui ci sia spazio per il riempimento. La vita, questo esodo bruciante, non è altro che un cammino, lo spostamento quotidiano dell’orizzonte, la promessa che si eclissa ad ogni tramonto ma che rimane tale, ma non ora e non qui. Affamati imploriamo baci e carezze e ne godiamo ma occorre che rimangano scavi, uncini a dilatare il desiderio di un amore infinito. La tentazione vera è accontentarsi, non riuscire a comprendere che il vero bene è ciò che svuota dento, ciò che dilata il nostro bisogno di inciampare tra le braccia del Padre. Velenoso ogni amore che non svuota, che non rimanda ad altro che a sé stesso.

Alla fine non ci saranno pani, lontane le logiche di moltiplicazione e anche quelle di condivisione, Lui solo trasformato in pane appena prima di trasfigurarsi in una Assenza. Il suo testamento è una scia di nostalgia radicale, a noi la condanna di credere che non valga la pena cedere, per noi la pena di una dilatazione radicale delle nostre fami più profonde. E la morte, solo la morte, come mare da attraversare, confidando finalmente nel compimento. Qui solo la lotta per riuscire a non sedare mai la fame di Lui.

La seconda tentazione confida che per l’uomo la libertà sia così intollerabile da costringerlo ad ubriacarsi in mille “obblighi e doveri”, e come non pensare alla deriva di una religiosità così esigente da essere consolante? Come non sentire l’illusione consolante di ogni tipo di potere? Anarchico ed apocalittico invece è l’Amore.

La terza tentazione riguarda il divino, costringerlo a intervenire, a trasformare questo deserto che è la nostra vita in una sorta di paradiso terrestre. Svuotare l’Approdo, scardinare l’Eterno, accontentarsi di sentirlo vicino e utile e premuroso. Non reggere la libertà, piegare il divino alle nostre miserie. Annullare l’alterità, costringere il tempo e lo spazio e a un eterno presente, confondere il paradiso con l’inferno.


Oppressi tra mille obblighi e doveri, storditi in una declinazione della libertà in progetti che ci illudiamo essere utili, non smettere di riempire e di riempirsi, barattare ogni tipo di libertà con una più commestibile “utilità”, questa è la tentazione, purtroppo spesso travestita da progetto pastorale.

Fare qualcosa per qualcuno, essere indispensabili o quantomeno importanti. E fingere di non ricordare che il servo deve imparare a essere inutile e che qualsiasi forma di potere, qualsiasi, impedisce al deserto di essere esodo, implica la costruzione di regni che inevitabilmente diventano copie pericolose dei governi di questo mondo.

Invece crocifiggersi all’umiliazione, impedire alle mani di fare miracoli, svuotarsi e sformarsi, annientarsi, servo sfigurato e obbediente all’unico comandamento, all’unico padrone che muto, nel cielo del Golgota, abbandona il figlio. Ed è quello il vertice della libertà. Abbandonarsi, un Padre che abbandona la sua presunta perfezione fino a incarnarsi nelle carni macellate del Cristo e un Figlio che alla fine di tutto, abbandonato dagli amici, si abbandonerà consegnandosi in Lui.

Tentazione, tentazione vera è quella di prostrarsi in adorazione e di credere che la terra possa essere regnata a fin di bene. Ma non sarebbe deserto, non sarebbe esodo, non sarebbe libertà. Lasciare che gli altri ci abbandonino invece, e subire la solitudine e il tradimento, e non forzare mai nessuna amicizia, nessun ricatto, solo accettare gli abbandoni subiti e infine, noi stessi, abbandonare. Lasciare ognuno alla propria solitudine. Allo smarrimento di un mondo che non chiede di essere governato ma lasciato. Diventare abbandono, senza non ci sarebbe consegna, le radici sarebbero inestirpabili e la morte non sarebbe altro che l’ultima definitiva sconfitta. Intollerabile è la libertà ma noi non siamo fatti per eternamente restare, noi siamo chiamati alla fede, alla consegna, “nelle tue mani consegno il mio spirito”.      

La libertà è intollerabile per l’uomo, credo abbia ragione Pasolini, non resta che sperare in Cristo, che si ripeta sempre nuovamente l’itinerario evangelico, che dal deserto si possa arrivare al sepolcro, che tra le nostre mani non resti altro che la “sparizione” di Emmaus. Intollerabile è la libertà, intollerabile è il mondo, perché non è tollerabile essere stati partoriti a questa vita se non ci fosse la promessa di un parto nuovo, eterno e definitivo. Intollerabile questa fame che ci brucia nel cuore se ci fosse qualcosa, qui e ora, in grado di sedarla.


AUTORE: don Alessandro DehòSITO WEB Leggi altri commenti al Vangelo della domenica