don Alessandro Dehò – Commento al Vangelo del 22 Marzo 2020

Ti scongiuro, smetti di fare miracoli

Perché l’hai guarito? Lui non ti ha chiesto niente! Sei stato tu a vederlo, lui non ha gridato, non ti ha implorato, non ti ha chiesto niente! Non ti ha pregato di riacquistare la vista, perché hai guarito quel cieco? L’hai fatto solo per dare una lezione ai tuoi discepoli? O forse è solo una leggenda questa delle guarigioni? Sai che preferirei fosse così? Un modo ingenuo che le prime comunità hanno trovato per farsi un po’ di pubblicità.

Non ne posso più dei tuoi miracoli, lo hai capito vero? Anche oggi, se dovesse smettere questa epidemia bastarda, se per qualche strano motivo dovesse fermarsi, dovremmo per caso ringraziarti? E i morti che non tornano più? E chi non hai guarito, e l’ultimo morto di questa catastrofe, ai suoi parenti cosa dovremmo dire? Chi aveva peccato lui o i suoi genitori per non essere contato nell’elenco dei salvati? E i morti che stiamo portando al cimitero senza un saluto, quale il loro torto, di essere morti troppo presto? No, per favore, non fare miracoli.

Il cieco del Vangelo di oggi, perché l’hai guarito? Non mi importa niente se da secoli ogni guarigione è sempre ascritta a tuo vantaggio, come fosse una prova della tua divinità, non mi importa più niente perché sai, in questi giorni, a me una domanda sta mangiando l’anima: ne valeva la pena aprire gli occhi? Non solo al cieco ma a tutti noi, e a me! Sono quarantacinque anni che vedo gente soffrire e morire, la morte mi è compagna di viaggio da sempre, ho visto morire in modo drammatico quando ero infermiere in ematologia tanti anni fa, ho visto morire amici, ho visto morire giovani, ho celebrato tanti funerali, ho sempre cercato di dire parole che reggessero l’urto del dolore ma… troppa morte! In ogni angolo, alla fine, morte. Sai che in ogni cosa che nasce io non posso non pensare che stia già morendo? Ieri mi son messo a scrivere la mia autobiografia scandita attraverso le morti che mi hanno cambiato la vita, giuro, l’ho fatto, sono tantissime. Se un giorno avrò il coraggio lo scriverò quel libro, dolente e tragico, ad ogni pagina non potrei non chiedermelo: ne valeva la pena aprire gli occhi per vedere tutto questo dolore?

Perché ti scrivo queste cose adesso? Perché non ho mai avuto il coraggio di dirtelo prima? Te lo scrivo perché domenica ho visto gli occhi di mio padre. Li ho visti da dietro un casco per la respirazione, lui voleva strapparselo quel casco ma aveva i polsi legati e io dovevo stare lì e guardarlo negli occhi mentre tra me e lui solo lacrime a dire che né io né lui non ne potevamo più. Io spero che mio papà esca da quell’inferno, io spero che torni a vivere ma a me i suoi occhi impauriti chi me li strappa via? Chi me li porta via dal cuore? Come faccio a dimenticarli? Qui si che ci vorrebbe uno dei tuoi presunti miracoli, ma per chiudere gli occhi del cuore su un dramma insopportabile, non per aprirli!

Anche al cieco, perché non hai chiesto a lui se voleva guarire? O meglio, perché non hai chiesto a quell’uomo se volesse nascere, perché di un parto si è trattato, una replica di Genesi, fango impastato per far venire alla luce. Perché a nessuno chiedi mai se vuole nascere? Perché è ancora considerato peccato voler morire?

Ti sei almeno accorto che a quel cieco hai rovinato la vita? Occhi aperti su un mondo infame. Genitori impauriti, amici che non lo riconoscono, una società che lo espelle, una chiesa che litiga su interpretazioni della legge, lui ridotto a un caso giuridico. Lui, solo, dannatamente solo, fuori dalla città, abbandonato. Hai aperto gli occhi sulla sua radicale solitudine. Perché si nasce e si muore soli e qui a Bergamo ce ne stiamo accorgendo con scandalosa quotidiana narrazione.

Ma nelle tue notti di preghiera ti sei mai chiesto se noi volevamo le tue guarigioni? E tutte quelle suppliche per guarire, tutti quelle madonne che dovrebbero far finire guerre e pestilenze, ma chi prega si è mai chiesto come giustificare eventuali prodigi agli occhi dei parenti di chi è morto?

Io spero che i tuoi miracoli siano solo un genere letterario, perché se fossero veri io mi schiererei dalla parte di chi non tu non hai mai esaudito. Di chi è rimasto cieco, sterile, paralitico, muto, indemoniato, peccatore. Io scelgo di andare con loro. Mi metto dalla parte degli inascoltati.

L’ultima parrocchia che mi ha visto parroco aveva un santuario, alla madonna del pianto, in tanti chiedevano grazie e miracoli, io non lo so ma non posso dimenticare chi da quella madonna ha ricevuto solo silenzio. Che parole usavo a quei tempi quando mi chiedevano benedizioni? Che non era la guarigione il miracolo ma l’umanità, che la madonna non era stata esaudita, che miracolo vero era piangere e avere qualcuno da amare, che miracolo è il modo di vivere la morte e la vita con piena umanità, come passaggio di maturità. Ma ti rendo conto? Ho sempre sperato che nessuna madre, dopo aver perso un figlio, tornasse a chiedermi conto di quelle mie parole.

Io spero che le tue guarigioni siano solo un genere letterario, oppure, ed è questa l’unica mia speranza, l’unica speranza che mi permette ancora di scrivere riflessioni sul Vangelo, io spero che sia vero che alla fine tu ti sia convertito, che tu abbia smesso di chiedere miracoli al Padre dei Cieli. Spero che alla fine tu abbia scelto, mentre forse anche il cieco guarito ti vedeva morire tragicamente in croce, di stare dalla parte degli inascoltati. Dei dimenticati, dei non guariti, di chi muore senza amici, di chi non è esaudito, ci chi muore oggi senza funerale, senza affetto, senza liturgie. Io mi auguro che tu abbia scelto di smettere l’arte del miracolo e di stare dalla parte delle madri che piangono e raccolgono cadaveri e non di quelle che promettono guarigioni in cambio di preghiere. Il fatto che tu sia morto fuori dalle mura, per mano della politica e della chiesa, sotto un cielo muto da parte di Padre; io credo che quel tuo modo di morire, quell’ombra dolorosa sia lo spazio che ti fa apparire affidabile ai miei occhi. Io credo e spero di avere il coraggio di morire stando dalla parte degli inascoltati.

Fonte – il sito di don Alessandro

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