don Alessandro Dehò – Commento al Vangelo del 21 Febbraio 2021

Tenetevi la dolcezza

Prima domenica di Quaresima anno B 2021

Poi finalmente chiameremo con il Suo divino nome la causa dei nostri deserti. Senza inganni. Sarà un giorno coraggioso, smetteremo gli abiti degli illusi: questa vita è un deserto e nel deserto ci ha spinti lo Spirito della vita.

Muti finalmente i professionisti della tenerezza, i taumaturghi della dolcezza, gli imbonitori di una fede senza storia. Apriremo gli occhi e scopriremo un deserto che non ha mai fine. Un deserto duro, come la vita, senza sconti. Deserto come la malattia, la pandemia, la morte, il sangue, l’abbandono. Ognuno conosce il suo deserto.

E noi dentro, a camminare, spesso senza sicura direzione. Fino a che morte non ci separi. Deserto all’inizio, quello dei quaranta giorni prima della prima predicazione, deserto alla fine, quello dell’approdo in croce. Deserto oltre la fine, che il sepolcro è luogo deserto per eccellenza.

Senza scampo è la vita. Senza pietà ci arpioneranno gli sguardi dei sofferenti e finalmente smetteremo di addomesticarlo il dolore. Di volerlo lenire. Perché? Nel deserto la vita è serpe e morde ed è velenosa. Nel deserto, fino a che morte non ci separi. Gli occhi di chi soffre e i nostri credenti silenzi saranno l’abbozzo più vicino alla descrizione di quello scandalo chiamato Dio. E la morte sarà l’antidoto e non la condanna. Non sarebbe questo il vero miracolo?

Intanto i deserti rimarranno tali. Nonostante le nostre litaniche preghiere, finalmente spazzate vie per pietà e per decenza, piagnucolii di uomini viziati. Nessun Dio a trasformare la realtà, si nasce, si soffre e si muore, questo il deserto, nessuno a dare risposte, nessuno più a dire “vedrai che passerà”. Qui, no. Non passa il deserto, non passa il dolore, passiamo noi se mai, gente da Esodo. Fino a che morte finalmente non ci separi.

I deserti rimarranno tali, dolore dopo dolore, morte dopo morte, fame dopo fame, nessuna illusione più, il paradiso non è terrestre. Feroce salirà in noi l’ingordigia di consolazioni effimere che ci scopriranno, alla fine, sempre in volo, come corvi a volteggiare sopra carcasse di illusioni andate.

I deserti rimarranno tali, cambieremo noi, le nostre preghiere, sempre più consapevoli, che oltre il vuoto c’è un altro vuoto e un altro vuoto ancora fino all’ultimo respiro. Pregheremo di non morire aggrappati a un cumulo di sabbia scambiato per gioia. Pregheremo di attraversarle le oasi, pozze di vita e non sorgenti. Pregheremo di avere la forza di lasciarci alle spalle ciò che eterno non è. Passo dopo passo saremo sempre più millimetrici. E spietati. Non ci illuderemo più. Ci difenderemo da ogni visione dolciastra dell’esistenza. Che la morte inizi a separarci da ciò che eterno non è, comprese certe sacrali idee di chiesa.

Fino all’ultimo respiro, impareremo finalmente che pregare è imparare a morire. Ai bambini non insegneremo più a recitare, ci vedranno morire, rimarrà la nostalgia delle nostre bibliche narrazioni, se avremo trovato il coraggio di raccontare. Storie che parlavano di noi, storie buone per la sera, attorno al fuoco, vicino alla tenda, prima dell’ennesimo cammino. Storie per cuori senza censura.

I deserti rimarranno tali, dalla tentazione al Calvario, lo stesso silenzio, non cambierĂ  nulla e graffierĂ  la tragica sensazione di illusione e di abbandono, e poi il dubbio, vero pane quotidiano, come sabbia rovente negli occhi, di essere stati oggetto di tradimento, quaranta i giorni, quaranta gli anni e quaranta anche i denari di Giuda.

L’amore? Non lo crederemo più definitivo, finalmente. Non qui. Solo sacramento di ciò che sarà, baci scagliati, frantumi di gioia, sogni di pienezza. Sassi lanciati nel buio. Ameremo per non morire. Baceremo e ci avvinghieremo tra noi come naufraghi, senza gentilezza, solo con la ferocia di chi ha paura di morire. Ameremo per paura e non avremo vergogna di ammetterlo. Fino a che morte non ci separi, solo lì scopriremo la vera tenuta dell’amore. Solo lì, a morte compiuta, potremo scoprire se è stato sacramento d’eterno il nostro “sì”. A questo serve il deserto, non facciamoci illusioni, a suscitare una fede a caro prezzo. Una fede che ha come prezzo la vita intera.

Guarderemo il cielo, quello sì, e confuso tra le stelle ci sembrerà di vedere il profilo degli amati scivolati fuori, come manna ritornata al padre, e noi a sperare che almeno Lui sappia chinarsi e fare memoria e raccogliere senza sprecare. Fino a che morte non ci separi dal deserto per unirci a chi ci manca come l’aria.

E nessuno provi ad addolcire il vuoto, per favore basta. Nel deserto le illusioni sono pericolose come miraggi, se siamo qui è solo per scarnificare il volto di Dio. Per lottare con lui, per gridare e disubbidire, per non addomesticare il dramma di non capire, per fare la guerra, per lottare, per il dolore di un travaglio: questa è la vita, smettiamo di fingere. Esodo. Fino a che morte non ci separi da questo dolore, fino a che morte non ci partorisca finalmente vivi.

Nel deserto si frantumerà senza far rumore ogni predicazione seduttiva e furba. Ogni verbo non provato dal dolore. Non ci sarà nessun accanimento basterà un vento leggermente più forte a spazzare lontano chi voleva insegnare a vivere senza aver mai pianto, senza aver fatto i conti con la bestia immonda che ha tana in ogni ombra d’uomo. Tentazione è credere di essere buoni.

Satana a tentare, e solo noi a poter distinguere il Dio selvatico e le parole bestiali profumate d’incenso. Solo noi a non aver fretta, di deserto in deserto, fino a che morte ci separerà dalla nostra illusione di poter riconoscere senza errore chi è bestia e chi angelo. Non possiamo, non qui, non ora, per adesso solo misericordia, e pazienza, frumento e zizzania, nel deserto la vera tentazione è quella della chiarezza. Bisogna camminare e avere pazienza. Nel deserto, fino a che morte non ci separi, saremo selvatici e bestiali anche nel servizio dell’uomo. Ambiguo come il deserto è ogni cuore. Riconoscere l’ombra e chiedere misericordia è l’unico anticipo di paradiso.

Nel deserto, intanto, Cristo avrà imparato a starci accanto, non ci trascinerà in purezze diaboliche o in ipocrite finzioni. Ci amerà con alleanza di esodico padre, ci amerà non perché siamo amabili ma per non tradire se stesso, e parlerà di tempo compiuto, di tempo buono, questo, quello dei nostri deserti, convertire finalmente la nostra idolatrica idea di Dio. Tempo buono questo per iniziare a smettere di trasformare l’uomo in idolo.

Tempo buono per dire che il Padre è vicino e che buona notizia è che un giorno finalmente la morte arriverà a separare il nostro pensiero infantile dalle distorte immagini di Dio, moriranno finalmente, grazie alla prova del deserto.

Finché morte non ci separi dall’illusione e dai miraggi noi cammineremo, di deserto in deserto, e fede sarà chiedere di morire, per non essere più separati da Lui. E fede sarà chiedere, nel deserto del Calvario, di non voler scendere miracolosamente dalla croce, maturi finalmente per la morte. Per non vivere più separati dall’Eterno.  


AUTORE: don Alessandro DehòSITO WEB Leggi altri commenti al Vangelo della domenica

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